L'euforia non è durata molto. Le oscillazioni delle Borse hanno ricordato a tutti quanto le ferite inferte al sistema bancario siano profonde. In Gran Bretagna la nazionalizzazione di tre colossi come Royal Bank of Scotland, Hbos e Lloyds Tbs è il prologo di una rivoluzione che partirà con il taglio della testa di numerosi manager di primo piano. In Italia gli aiuti hanno mirato a scongiurare il rischio che qualche banca si ritrovasse senza soldi, minacciata dalla fuga dei depositanti verso i titoli di Stato e dalla necessità di rifinanziare i prestiti obbligazionari che numerosi istituti hanno in scadenza (150 miliardi entro il 2009) e che nessuno voleva più. A richiesta la Banca d'Italia potrà ora scambiare quei bond bancari con più sicuri Bot e Btp.
A dispetto degli aiuti, però, i banchieri italiani sanno benissimo che per loro è iniziata una nuova era. L'era dell'austerità. Negli ultimi anni le banche avevano realizzato utili stratosferici. Nel 2003 il nostro sistema creditizio aveva accumulato profitti complessivi per 11,7 miliardi. Quattro anni dopo, nel 2007, l'utile globale è quasi raddoppiato: 22 miliardi. Una crescita che ha fatto la fortuna dei soci, premiati da ricchi dividendi, ma anche dei banchieri che hanno visto aumentare i loro compensi. Ora tutto cambierà. Il primo a reagire è stato l'Unicredit, l'istituto più colpito dalla crisi, costretto a cercare sul mercato 6,6 miliardi di capitali freschi. Altri seguiranno. La Banca d'Italia preme perché tutti rafforzino il capitale che serve a garantire i depositi dei clienti. Ma gli azionisti degli istituti non saranno gli unici a pagare il conto della crisi. La nuova austerità riguarderà correntisti, sottoscrittori di mutui, imprese e manager.
CONTO CORRENTE COL CATENACCIO
Il modello di business delle nuove banche? Simile a quello del vecchio Padova di Nereo Rocco, la squadra che negli anni Sessanta elevò ad arte il catenaccio. Difesa strenua dei depositi e contropiede senza fronzoli, affidato alle classiche obbligazioni bancarie, oppure al ritocco dei depositi in conto corrente, già saliti all'1,83 per cento lordo, ad agosto. Spazzate via dagli scandali le obbligazioni strutturate e le polizze index-linked rifilate a risparmiatori convinti di sottoscrivere una tranquilla assicurazione finanziaria, l'obiettivo numero uno degli istituti è trattenere i soldi in casa: "Nel futuro prossimo alla stragrande maggioranza della clientela saranno fatte proposte di estrema semplicità e sicurezza", sottolinea Ettore Pastore, esperto della società di consulenza AT Kearney.
Il risparmio gestito, un'industria in crisi ormai da anni, difficilmente sarà rilanciato: nel corso del 2008, dai fondi d'investimento sono usciti circa cento miliardi e l'emorragia non pare destinata a fermarsi. I grandi gruppi bancari razionalizzeranno l'offerta ma la necessità di rastrellare denaro con le obbligazioni della casa continuerà a penalizzare i fondi. Oggi, il concorrente più temibile dei bond bancari sono i titoli di Stato. Finché dominerà la voglia di sicurezza, il braccio di ferro tra Bot e Btp da una parte e obbligazioni dall'altra non lascerà troppo spazio ad altro. E tra i banchieri c'è anche chi cavalca la sfiducia dei correntisti verso i grandi istituti per rilanciare il modello della banca locale. "I clienti vogliono tranquillità e fiducia, e noi gliele diamo", dice Luca Barni, direttore della minuscola Banca di credito cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate, in provincia di Varese. Barni ha affidato a un comunicato ufficiale l'exploit della sua banca: 234 nuovi correntisti in pochi giorni, che hanno lasciato altre banche, depositando 10,7 milioni.
Sul fronte del mutuo è scoppiata la rivoluzione della portabilità del mutuo. Lanciata nella primavera 2007 dall'allora ministro Pierluigi Bersani, si è avviata in pratica solo dal febbraio scorso, vivacizzando un settore che interessa 10 milioni di famiglie. I tassi delle rate dei nuovi mutui sono stati ritoccati verso l'alto, nelle ultime settimane, da 0,10 a 0,40 punti. Una mossa tattica che risponde alle urgenze della crisi. Più interessante sarà capire cosa faranno in futuro. "Il fenomeno della portabilità potrebbe spingere molte banche a non trattenere strenuamente la clientela con sconti sulle condizioni del prestito", sottolinea Roberto Anedda di Mutuinoline, un sito che riceve tra le 300 e le 500 richieste di consulenza sui mutui al giorno. Oggi i tassi migliori viaggiano intorno al 5,5 per cento a vent'anni, quelli più cari costano anche 2 punti in più. In rapido declino la moda degli ultratrentennali, è il momento dei contratto a 20-25 anni a tasso fisso. Circa l'80 per cento delle nuove erogazioni è a rata fissa, contro il 14 per cento del 2004.
QUI NON SI FA CREDITO
"Il governo si rende disponibile a salvare le banche ma nessuna grande impresa dovrà fallire perché non riesce a trovare credito". Nei maggiori istituti, i decreti firmati da Tremonti vengono letti così. Il motivo è semplice. Nella settimana chiusa domenica 12 ottobre con l'euro-vertice, dalle banche erano partite raffiche di richieste di rientro dei prestiti a suo tempo erogati alle aziende.
Ora il patto tacito con il governo impone ai banchieri maggiore cautela. Ma la stretta creditizia si farà comunque sentire: gli istituti stanno stilando elenchi dei clienti migliori, che non saranno abbandonati. Per gli altri sarà dura. Le imprese italiane, anche quelle di medie dimensioni, ricorrono soprattutto a finanziamenti a breve, sui quali pagano interessi più bassi. Ora le banche faranno pressioni per allungare la durata dei debiti. "Aumenteranno le richieste di garanzie sugli immobili e gli altri beni delle imprese; di un livello di capitalizzazione superiore; di fideiussioni da parte delle società capogruppo o degli azionisti", prevede Stefano Gatti, che insegna Economia degli intermediari finanziari alla Bocconi.
L'altro fronte caldo è quello delle partecipazioni nel capitale delle imprese. In tempi di vacche grasse, non creano problemi, ma adesso il piatto piange. Le banche fanno fatica a rispettare i livelli minimi di patrimonio fissati dalla Banca d'Italia e non possono imbarcarsi in operazioni troppo onerose. Risultato: molte operazioni varate di recente rischiano di essere riviste. Il caso più clamoroso, tuttavia, è la quota che Intesa e Mediobanca possiedono in Telco, la holding che custodisce il pacchetto di maggioranza relativa di Telecom Italia. Le partecipazioni danno potere. Ma comportano anche grandi rischi: dopo gli ultimi ribassi, Telco ha in carico i titoli Telecom a un valore più che doppio rispetto alle quotazioni di Borsa. E sui soci incombono svalutazioni miliardarie.
Sembra infine destinata a sgonfiarsi la bolla del private equity, in passato sostenuta a colpi di prestiti bancari miliardari. Ferretti (yacht), Sisal (scommesse), Gardaland (parchi a tema), Valentino (moda), per citare solo i casi più noti: in Italia i fondi chiusi hanno comprato negli ultimi tre anni circa 300 aziende. Con imprese che passavano di mano più volte, garantendo profitti da favola agli investitori. "Adesso la stretta creditizia è destinata a prosciugare le tradizionali fonti di finanziamento per queste operazioni", dice un operatore del settore come Fabio Carlotti, presidente di Argos Soditic. Peggio: con la recessione in arrivo, molte aziende che fanno capo ai fondi, messe alle strette dal calo degli utili, rischiano di non riuscire a sostenere gli oneri finanziari legati all'acquisizione.
I PICCOLI RISCHIANO DI PIÙ
Ma a viaggiare sul filo del rasoio sono innanzitutto le piccole imprese. Mario Pozza è presidente della Confartigianato di Treviso, una provincia dove gli artigiani sono oltre 26 mila e danno lavoro in media a 3-4 persone. "Negli ultimi giorni ai nostri associati sono state recapitate numerose lettere di disdetta dei prestiti da parte di numerose banche", racconta. Il paradosso è che l'ordine di rientro è arrivato anche a chi beneficia delle garanzie offerte dal Consorzio fidi dell'associazione, che si assume metà del rischio. L'inghippo è il solito: più piccola è l'azienda, più facilmente revocabili i prestiti, che possono essere disdetti anche con un semplice fax. Le previsioni sulla stretta creditizia mettono in allarme Pozza. La recessione in arrivo colpirà un po' tutti, a cominciare dalle imprese edili, la meccanica, i trasporti e l'importante distretto del mobile, che si estende fino a Pordenone. Dice Pozza: "I primi provvedimenti del governo hanno allentato la morsa che stava stringendo le banche ma, per noi, non prevedono nulla: è necessario che Regioni, Comuni e altre istituzioni mettano a disposizione risorse per rafforzare le garanzie sui prestiti alle piccole imprese".
ADDIO BONUS DORATI
Chissà se i politici manterranno le loro promesse di una nuova austerità nelle buste paga dei supermanager. Certo, da qui a pochi mesi gli stipendi caleranno. Il crollo degli utili bancari nel 2008 finirà per dare un taglio anche ai compensi legati alle performance di gruppo. Un banchiere come Alessandro Profumo, il più pagato in Italia con 9,4 milioni di stipendio, nel 2007 ha incassato circa 6 milioni alla voce 'bonus e altri incentivi'. Questo tipo di emolumenti, calcolati sulla base dei risultati, verranno ridimensionati, se non addirittura azzerati. Ma tutti gli esperti pronosticano che nel medio-lungo termine sono destinati a cambiare anche i parametri a cui agganciare le retribuzioni. Le pressioni del mercato e dell'opinione pubblica sono troppo forti perché gli stessi consigli di amministrazione non siano costretti a lanciare almeno un segnale di cambiamento. La festa è finita anche per gli specialisti in fusioni e acquisizioni, per i maghi dei finanziamenti corporate, per i trader in azioni, derivati e reddito fisso. Negli anni del boom questi manager bancari hanno spesso incassato gratifiche generosissime, a volte milionarie. La finanza faceva faville e i premi di rendimento erano agganciati al volume ai profitti delle divisioni bancarie che cavalcavano l'onda del boom. Adesso sono a rischio stipendi e posti di lavoro. La ristrutturazione dovrebbe innanzitutto colpire quei settori più legati ai mercati finanziari. Unicredit, per esempio, ha annunciato che nel 2009 taglierà 700 posti di lavoro, in gran parte all'estero, nella divisione Markets & Investment banking. Ma le campane a morto suonano soprattutto per quelle attività comprese nella categoria della cosiddetta finanza strutturata. Cioè quei prodotti derivati, che negli anni scorsi si sono trasformati in un gigantesco moltiplicatore dei profitti per le banche e del rischio per gli investitori. Per molti di questi prodotti il mercato si è praticamente volatilizzato per mancanza di compratori. Basta citare i comuni e le regioni italiane che negli anni scorsi hanno fatto a gara per comprare strumenti finanziari per proteggersi dai rischi di variazione dei tassi d'interesse e di cambio. Solo che quei titoli, in gergo swap, si sono trasformati in mine vaganti per gli enti locali. E anche questa bolla alla fine si è sgonfiata. Gli utili alle banche. Le perdite ai cittadini.