Politica
10 aprile, 2008

Business al vento

Sovvenzioni più alte d'Europa. Prezzo generoso dei certificati verdi. Così in Italia gli impianti eolici sono diventati un affare. Che attrae grandi aziende internazionali. Ma anche la criminalità

La data in cui tutti hanno capito che le turbine non sono un giochino per ambientalisti, ma uno dei più grandi affari del secolo, è il 6 agosto del 2007. Quella mattina il 'Wall Street Journal' raccontava che il colosso britannico IP, International Power, aveva comprato al prezzo enorme di un miliardo e 830 milioni di euro una parte dei parchi eolici sviluppati nel Mezzogiorno dal principale operatore italiano: la Ivpc fondata da Oreste Vigorito. Per avere un ordine di grandezza, nella classifica dei dieci contratti più importanti del 2007, la cessione figurava al nono posto, mentre all'ottavo c'era lo stilista Valentino con una valutazione di 2,1 miliardi.

Tutto il mondo conosce Valentino, pochi sanno chi è Vigorito. E invece questo avvocato di Ercolano in soli 15 anni ha costruito un impero in uno dei settori più importanti per il futuro del nostro Paese. La ragione per cui International Power e gli altri colossi europei scalpitano per afferrare il vento italiano è l'incredibile massa di incentivi che piove sulla Penisola. La legge impone alle società che inquinano di compensare i propri peccati comprando i cosiddetti certificati verdi dai produttori di energia pulita. Grazie al prezzo generoso dei certificati italiani e alla riduzione dei costi di produzione, l'utile lordo delle imprese è aumentato di otto volte in quattro anni. Ecco perché l'Italia viene descritta nei report delle banche d'affari come la nuova frontiera, l'isola del tesoro, il paese della cuccagna.

Tutte le società nostrane cercano di cavalcare l'onda quotandosi in Borsa. Ivpc dovrebbe farsi accompagnare a Piazza Affari da Unicredit mentre la Fri-El di Bolzano, che è il quarto operatore italiano (dietro Ivpc, Enel ed Edison), ha già annunciato la quotazione con una valorizzazione oscillante tra i 900 milioni e il miliardo e 300 milioni di euro.

Mulini di carte
La ragione di questi prezzi miliardari è spiegata nella tabella di pagina 71: lo Stato italiano paga 200 euro per lo stesso megawatt che nei maggiori paesi europei vale 80. Una simile abbondanza di sovvenzioni farebbe pensare a un paese che corre con il vento in poppa. E invece no. Nonostante i 500 milioni di euro pubblici versati dai cittadini con i sovrapprezzi delle bollette e con le tasse, la quota di energia eolica italiana non è paragonabile a quella dei leader europei che sono Germania, Spagna e Danimarca.
Certo l'eolico italiano sta crescendo grazie a un gran numero di aziende serie. Ma il peso della politica e dei troppi speculatori rischia di farlo somigliare a un castello di carte: ci sono tantissime autorizzazioni concesse, un buon numero di turbine montate e pochi megawatt davvero funzionanti. Dieci anni fa non eravamo lontani dalla Spagna. Ora il confronto mette tristezza: nelle giornate di vento, la fonte eolica copre il 25 per cento del fabbisogno energetico iberico, mentre l'Italia, quando va bene, si ferma al 3,3 per cento. Nonostante gli incentivi più bassi, gli spagnoli hanno installato 15 mila megawatt contro i 2 mila e 700 italiani. Certo, ci sono altri fattori: in Spagna le condizioni meteorologiche sono migliori e da noi ci sono forti resistenze degli ambientalisti e della burocrazia. Ma la differenza più importante è dovuta all'assalto degli speculatori. A presentare le domande per le centrali e per i contributi spesso non sono le grandi società che poi realizzano il campo eolico, ma un sottobosco di 'facilitatori' che vantano buone entrature nel Palazzo e arraffano permessi da vendere al miglior offerente. L'autorizzazione per un impianto vale oro: 500 mila euro per ogni megawatt.

La firma dei dirigenti regionali sul pezzo di carta che dà il via libera a una centrale da 30 megawatt vale quindi 15 milioni di euro. Le chiavi di questo forziere sono in mano alla politica. Che ha partorito un sistema sballato: gli impianti nascono in posti inadatti, vicino ai centri abitati o dove non ci sono cavi per trasportare l'energia pulita. Prendiamo la Sicilia: la rete non è in grado di sopportare gli impianti attuali ma, invece di costruire gli elettrodotti, Stato e Regione continuano a regalare centinaia di milioni a imprese che ingolfano il sistema. In questo Far west, le turbine spesso non nascono dove c'è più vento, ma dove c'è un sindaco che si fa 'convincere' con l'assunzione dei figli, c'è l'interesse di un politico che conta o peggio una famiglia di mafia alla quale non si può dire di no.

Lupare e turbine
La capitale dell'energia alternativa sta diventando Isola Capo Rizzuto. In questo paese della costa calabrese di 12 mila abitanti sorge già un campo eolico costruito da Erg-Cesa. Ora stanno partendo i lavori per il più grande parco eolico d'Europa: 48 torri per 120 megawatt. Vista la concentrazione di pale ci si aspetterebbe di incrociare un uragano di vento e invece il mare qui è spesso calmo. In effetti il luogo non è famoso per lo scirocco, ma per le spiagge dorate. E per una famiglia di 'ndrangheta: gli Arena.

Il campo eolico più grande d'Europa nascerà sui terreni della famiglia. Il boss Nicola Arena, 70 anni, è recluso al 41 bis, come Riina e Provenzano. Mentre Nicola junior (figlio del fratello) è incensurato e segue una delle opere più importanti della Calabria. La costruzione della centrale è stata finanziata da una banca tedesca con 33 milioni garantiti da un pegno sulle quote della società che ha avuto l'autorizzazione. Si chiama Vent1 Capo Rizzuto Srl ed è partecipata dalla Purena di Nicola Arena che ne detiene il 10 per cento e da un gruppo di azionisti tedeschi rappresentati da Martin Josef Frick. 'L'espresso' ha verificato che diversi ettari del terreno sul quale sorgerà il parco sono intestati ai fratelli del padrino Arena, Carmine, Francesco e Raffaele e al figlio di quest'ultimo, Nicola junior. La presenza della famiglia potrebbe destare preoccupazione, visto che in passato il Comune è stato sciolto per le infiltrazioni di questo clan nel municipio. Eppure il commissario prefettizio, Giustino Di Santo, sembra tranquillo: "Il Comune svolge semplicemente un'attività amministrativa. L'azienda ha il certificato antimafia e non si può negare un permesso per il cognome di uno dei soci".

Alle cosche, comunque, il vento piace. Due settimane fa sono stati arrestati gli uomini del clan Bruno di Brindisi che volevano costruire un parco eolico sui terreni del boss. Mentre a Vicari, in provincia di Palermo, il Comune è stato sciolto per mafia anche per le turbine che stavano sorgendo sui terreni di presunti picciotti. In fondo le pale girano in cielo, ma si piantano nel territorio. E con le logiche del territorio devono fare i conti. Non sarà un caso se la principale società eolica nel paese di Zapatero, la Iberdrola, sta diventando un gigante mondiale grazie alla sua capacità industriale di produrre turbine con la consorella Gamesa. Mentre in Italia il campione nazionale è un avvocato amministrativista che, secondo la Guardia di Finanza, avrebbe brigato con i contributi della legge 488. Un mago delle domande, più che delle eliche.

L'avvocato del Bene-vento
Oreste Vigorito, il padre dell'energia eolica italiana, oltre a essere presidente dell'Anev, l'associazione industriale di categoria, è uno degli uomini più ricchi e potenti della Campania. Presidente del Benevento Calcio e finanziatore di Clemente Mastella con un contributo della Ivpc Sardegna da 25 mila euro, con il suo accento campano e la sua travolgente cordialità è un buon esempio di imprenditore che pensa globale e agisce locale. I capitali per iniziare li ha avuti da americani e giapponesi, ma alcune controllate della sua Ivpc si sono viste assegnare finanziamenti pubblici per un centinaio di milioni di euro. Al riguardo 'L'espresso' è in grado di rivelare che il pm Maria Luisa Buono di Avellino ha iscritto da mesi Vigorito nel registro degli indagati per truffa aggravata finalizzata alla percezione dei fondi pubblici della legge 488. L'inchiesta del nucleo di polizia tributaria di Avellino, guidato dal colonnello Maurizio Guarino, ricostruisce i sistemi disinvolti adottati dalle controllate di Ivpc (e dai suoi partner siciliani) per acquisire contributi per una trentina di milioni. I finanzieri hanno già perquisito il ministero dello Sviluppo economico, la sede dell'Ivpc e quella di Centrobanca. L'estate scorsa, nel più completo riserbo, hanno sequestrato l'ultima tranche dei finanziamenti: 9 milioni che sarebbero andati a tre società, ora cedute al gruppo International Power. Secondo l'ipotesi dell'accusa, Vigorito e il suo rappresentante in Sicilia, Vito Nicastri, avrebbero prodotto nella domanda per i contributi pubblici "falsi contratti di locazione dei terreni su cui si sarebbero dovute installare le turbine eoliche" in modo da ingannare i funzionari del ministero. "Il Parco è stato realizzato ed è in funzione", ribatte Vigorito, "e comunque le domande dei contributi in questione sono state presentate da Nicastri, che non ha più rapporti con il gruppo".

Professione sviluppatore Vito Nicastri è il personaggio chiave dell'indagine. Questo imprenditore di Alcamo è il classico esemplare di 'sviluppatore', una figura tutta italiana che ottiene le autorizzazioni e poi le cede a un prezzo profumato. Nei primi anni Novanta è stato coinvolto in una storia di corruzione e ne è uscito indenne raccontando le mazzette pagate ai politici per costruire impianti di energia solare. Un patteggiamento e la prescrizione hanno cancellato quelle vicende penali e così, all'inizio del nuovo Millennio Nicastri si è lanciato sull'eolico. Secondo la Procura di Avellino avrebbe taroccato i dati sul vento e i contratti di affitto, dichiarando anche la disponibilità di capitali che non aveva. Eppure al ministero dello Sviluppo non si erano mai accorti di nulla. Complessivamente si è interessato di una dozzina di pratiche e ha ottenuto un centinaio di milioni di agevolazioni, rivendendo poi i progetti approvati a colossi come Ivpc ed Endesa.

Ogni regione ha i suoi sviluppatori. Quelli calabresi sono finiti nel mirino della Procura di Paola insieme ai loro referenti politici. Il pm Eugenio Facciolla ha iscritto nel registro degli indagati l'ex assessore alle Attività produttive dei Ds Nicola Adamo e il suo amico Nicola D'Agni. A metterli nei guai è stato un altro imprenditore del settore, Mario Nucaro, uno che conosce bene il sistema perché ne è stato un protagonista. Nucaro, nel periodo d'oro nel quale con la benedizione dei Ds locali era presidente del Cosenza calcio, è riuscito a firmare addirittura una convenzione con la Regione Calabria che stabiliva una corsia preferenziale per la sua società, la Cesp. Leggendola si apprende che in meno di tre anni la Cesp aveva ottenuto autorizzazioni per 230 megawatt, tutte girate al colosso italo-spagnolo Erg-Cesa. Non solo. Cesp dichiarava di avere in ballo altri progetti per ulteriori 500 megawatt. Invece di interrogarsi su questo mostro che stava crescendo sotto i suoi occhi, la Regione Calabria quel giorno si impegna con la convenzione ad aiutare Nucaro a realizzare tutti i suoi progetti: praticamente una selva di turbine pari a a un terzo di quelle esistenti in Italia. Poi Nucaro ha fatto bancarotta, ha litigato con i suoi referenti politici e ha raccontato tutto al pm. Il risultato di questo dispiego di carte e inchieste è il solito: la Calabria produce solo 4 mila kwh sui 4 milioni prodotti in tutta Italia.

E Moncada disse no
Anche il gruppo siciliano Moncada ha deciso di varcare lo stretto. Il gruppo di Aragona è una realtà industriale importante, protagonista della svolta antimafia di Confindustria, che sta sviluppando una propria turbina con lungimiranza industriale unica tra le imprese italiane. Moncada ha costruito cinque impianti grazie al contributo di 28 milioni della Regione Sicilia e tre anni dopo l'inaugurazione del primo impianto sta cedendo una quota della società, che oggi potrebbe valere centinaia di milioni, a un gruppo straniero. L'incasso potrebbe essere investito in Calabria. A questo fine Moncada aveva creato la Sibaris New Energy, una società con sede a Cosenza e una compagine interessante. Tra i soci fondatori troviamo due cari amici dell'ex ministro Enrico La Loggia di Forza Italia. Sono l'ex dirigente Enel Francesco Massa e Maria Concetta Caldara, una collaboratrice dell'ex ministro che è indagata a Palermo in un procedimento di mafia per i terreni ereditati dal padre e cointestati a un prestanome vicino a Provenzano. L'altro socio della Sibaris è Ferdinando Marini, consulente che ha seguito alcune richieste di contributi per la legge 488 finiti nel mirino della Finanza e di un'inchiesta di 'Report'.

Marini compare su Internet come presidente della Federazione della massoneria europea di Lugano e ha creato nel dicembre scorso una seconda società a Milano con un avvocato vicino ai verdi, Angelo Gangi, esperto di energia rinnovabile e collaboratore dell'assessore all'Ambiente della Calabria Diego Tommasi. Nella società, a sorpresa, troviamo anche Maria Elena Woodrow, moglie di Enrico La Loggia. Quando 'L'espresso' lo ha contattato, Salvatore Moncada ha risposto: "Non conosco questa società milanese. Comunque, dopo aver parlato con 'L'espresso' il mio gruppo ha deciso di cedere le quote della Sibaris New Energy, che voleva costruire tre centrali eoliche nell'alto Ionio. Non c'è niente di male, ma preferiamo perdere un'occasione di profitto piuttosto che lasciare adito a critiche".

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