Due importanti mostre a Parigi nel 2010. Il grande artista racconta il suo mondo di memoria e oblio Colloquio con Christian Boltanski
Invecchiando un artista si mette ad assomigliare alle sue opere. Che poi è un modo per proteggersi, perché è più facile essere un'opera che un essere umano... A 66 anni, Christian Boltanski non rinuncia a sovrapporre arte e vita, spiazzando l'interlocutore, come fa spesso con le sue emozionanti installazioni, capaci di sorprendere e trasformare radicalmente lo spazio artistico. Francese, uno dei maggiori artisti viventi, le sue opere sono un invito alla meditazione, a gennaio Boltanski sarà al centro della scena artistica, con due eventi. Dopo Anselm Kiefer e Richard Serra, sarà lui il terzo artista invitato dalla rassegna 'Monumenta' a confrontarsi con i 13.500 metri quadri del Gran Palais, dove, dal 13 gennaio al 22 febbraio, proporrà una spettacolare istallazione intitolata 'Personnes', incentrata sul tema della casualità ineluttabile della morte. Contemporaneamente, al museo Mac/Val, dal 15 gennaio al 28 marzo, presenterà 'Après', una stupefacente città fantasma nella quale i visitatori saranno invitati a inoltrarsi nelle tenebre dell'alidilà. Boltanski ce ne parla nel suo atelier alla periferia di Parigi, uno spazio spoglio dove lavora in solitudine, senza assistenti, lasciando maturare lentamente le sue opere. Negli anni ha sfruttato le soluzioni più diverse, dalla pittura alla fotografia, dal cinema all'assemblaggio di oggetti, dai video alle grandi istallazioni. "Nel mio lavoro lo spazio è un interrogativo da risolvere. Mi interessa costruire percorsi, dove l'osservatore non sia davanti all'opera d'arte, ma dentro l'opera, sprofondato in un universo in grado di sollecitare tutti i suoi sensi", spiega Boltanski, che per l'anno prossimo sta anche preparando un libro insieme a Daniel Mendelshon, l'autore degli 'Scomparsi' (Neri Pozza). "L'istallazione al Grand Palais sarà come un'opera lirica, in cui l'architettura avrà il ruolo che tradizionalmente è della musica. Al centro ci sarà una grande gru, il cui braccio si muoverà sopra una montagna di vestiti. Al Mac /Val invece allestirò un labirinto: i visitatori si perderanno e saranno sollecitati, anche corporalmente. Le due istallazioni sono come due gironi danteschi. 'Personnes' è l'ingresso nell'aldilà, la fabbrica della morte dominata dalla casualità, 'Après' rappresenta invece il limbo. Sarà popolato di manichini che interrogheranno i visitatori sul passaggio dalla vita alla morte".
Il tema della morte la ossessiona. "Quando ero più giovane, lavoravo sulla morte degli altri. Invecchiando m'interesso alla mia futura scomparsa".
È per questo che ha venduto la registrazione della sua vita a un collezionista in Tasmania?"È una scommessa con il diavolo. Il collezionista è uno scommettitore. E io invece di vendergli un'opera, ho preferito scommettere con lui sulla mia speranza di vita. Da gennaio, una telecamera filmerà 24 ore su 24 tutto quello che accade nel mio atelier, fino al mio ultimo giorno di vita. Tutto il materiale registrato sarà di proprietà del collezionista, che lo potrà utilizzare dopo la mia scomparsa. La registrazione della mia vita artistica sarà la mia ultima opera. È come se gliene vendessi la nuda proprietà, contro un vitalizio mensile. Visto il prezzo complessivo che abbiamo stimato, se muoio prima di otto anni, il collezionista ci guadagnerà. Se invece vivo più a lungo, il guadagno sarà mio. Lui è sicuro di vincere. Vedremo. E poi, tutta la mia vita artistica è stata una battaglia contro l'oblio, benché sapessi quanto questo tentativo fosse vano. Nasce da qui la mia riflessione sulla memoria, cui ho dedicato molte opere. Ad esempio l'istallazione per il Museo per la memoria di Ustica, dove, più che ricordare il passato delle vittime, ho cercato di conservare la memoria del loro futuro spezzato".
Confrontarsi con la memoria storica è più difficile che lavorare sulla memoria privata?"Sono nato nel 1944, mio padre era ebreo e durante tutta l'infanzia e l'adolescenza ho sempre sentito parlare della Shoah. Avevamo l'impressione di essere dei sopravvissuti. Viene da qui la mia ossessione per i morti, gli scomparsi, l'oblio. Le mie istallazioni sono monumenti a coloro a cui nessuno dedica mai un monumento: le persone comuni. Cerco di conservare la piccola memoria quotidiana di queste persone, fatta di fotografie, oggetti, come le scatole di biscotti. Tutti hanno diritto di essere ricordati".
Nasce da qui l'idea degli 'Archivi del cuore'? "Per rendere omaggio all'unicità di ciascuno, mi sono messo a registrare il cuore di molti individui. Oggi possiedo le registrazioni di 30 mila battiti cardiaci, e nei prossimi mesi saranno di più. Durante le due mostre di Parigi, spero che molti spettatori accetteranno di lasciarmi registrare il loro ritmo cardiaco. Tutte le registrazioni saranno affidate a una fondazione che si trova in una piccola isola giapponese, dove chiunque potrà andare ad ascoltarle. Tra qualche anno molti di questi battiti cardiaci saranno tutto ciò che resta di persone scomparse. Il viaggio verso l'isola giapponese potrà diventare così una sorta di pellegrinaggio per ascoltare il cuore di una persona cara".
In quale misura un'operazione come questa è un gesto artistico?"Non m'interessa che un'opera o un'istallazione sia bella o meno. Più che allestire un'esposizione, penso a fabbricare storie concrete, partendo da una realtà visiva e sonora. Il mio gesto artistico è sempre l'inizio di un racconto, di una parabola. Più che all'arte tradizionale, si avvicina a una certa tradizione teatrale, quella di Tadeusz Kantor e Pina Bausch, che sono per me due punti di riferimento fondamentali. Viene dallo spettacolo anche l'idea di un'arte effimera che non si rinchiude nei musei. Le mie istallazioni alla fine vengono distrutte, non possono essere appese a un muro. Mi piacerebbe però che restassero nella testa di chi le ha viste".
Lei è un autodidatta che ha iniziato a dipingere giovanissimo. Oggi nel suo lavoro resta qualcosa di quello spirito iniziale?"Penso di sì, perché nelle mie opere pongo interrogativi semplici ma essenziali, mi faccio le domande che si fanno tutti. Non ho una grande cultura e ho letto molto poco. Ci sono artisti che lavorano soprattutto sulla vita e artisti che lavorano soprattutto sull'arte. Manet e Monet ne sono i due migliori esempi. Sono due artisti geniali, ma hanno due approcci diversi. Io mi colloco dalla parte di Manet, m'interesso più alla vita che alla riflessione sulle forme. Mi piacerebbe essere un artista popolare, dato che non mi rivolgo solo a coloro che conoscono la storia dell'arte. Per avvicinarsi alle mie opere non c'è bisogno di sapere che sono un artista postconcettuale della fine del Ventesimo secolo. L'arte deve solo trasmettere emozioni e suscitare interrogativi. A tutti, senza distinzioni".