Una vita randagia. Dalla Siberia agli Usa, all'Europa. Scoprendo l'amore e la violenza. Ma sempre accompagnato dalla passione per la scrittura

Caro mio Shura, andate a Kiev e chiedete a qualsiasi persona, chi ero io prima della rivoluzione. E vi risponderanno, che prima della rivoluzione comunista io ero cieco. Sì, sì, caro mio Shura, ero un uomo ricchissimo, grazie ad un paio di occhiali scuri e un semplice bastoncino da passeggio, tutto qui.".

E perché avete smesso con questo affare? "Per via della rivoluzione comunista. Prima della rivoluzione io pagavo cinque rubli al mese al vigile che stava sul angolo delle vie Cresciatik e Proezdnaya. Cinque rubli, e nessuno osava a toccarmi! Lui era una persona magnifica! Di cognome faceva Nebaba, dall'anima pura come un diamante. L'ho incontrato qualche tempo fa, adesso lui è diventato critico musicale, si è rifatto la vita!'".

Dal romanzo di Ilf e Petrov 'Il vitello d'oro'.

Sarà perché arrivo da un paese grande e caotico, per questo credo di avere nel mio Dna la capacità di comprendere i cambiamenti più radicali e adattarmi alle situazioni più diverse e a volte inimmaginabili. Sono nato in Transnistria, un posto lontano dalla Siberia, la terra che da bambino ho imparato ad amare più di ogni cosa, perche mi insegnavano che quella era la mia vera Patria. Il fatto di avere un sentimento profondo per qualcosa che non ho mai visto mi ha spinto a creare un mondo tutto mio, nel quale la Siberia era il paese dei sogni. Un immenso tappeto dei boschi selvaggi e ricchi, fiumi larghi e potenti, uomini puri e giusti, che vivono nell'armonia con la natura, seguendo le antiche regole donate loro da Dio in persona. Quando all'età di dieci anni ho fatto il primo viaggio in Siberia, accompagnato da mio zio Vitalii, ho scoperto che creare mondi immaginari basati sui racconti degli adulti non rende felici. Il 'magnifico bosco siberiano' era pieno di moscerini che ci mangiavano vivi, gli spazi erano talmente vasti che per raggiungere la casetta del fratello maggiore di mio nonno dovevamo attraversare quasi mille chilometri, muovendoci a nord della stazione più vicina della Transiberiana. I fiumi erano belli, ma l'acqua era gelida e faceva paura per come correva veloce. Abbiamo incontrato tanti cacciatori locali, la vera gente del posto, che si rivolgevano a noi da cinquanta metri di distanza, urlando poche frasi: non gli piaceva avvicinarsi di più agli sconosciuti, avevano un'idea dello spazio privato molto dilatata e questo loro spazio era troppo grande per me. Alla fine, quando siamo arrivati alla casa del nonno (noi in Russia chiamiamo tutti i vecchi della famiglia 'nonni'), quello ci ha salutati e non ci ha nemmeno invitato ad entrare. Ci sono volute due notti - che abbiamo trascorso in una specie di magazzino della legna - perché si decidesse a farci entrare in casa sua. In quel momento ho capito che ogni essere umano, con ogni nuova esperienza della vita, è sempre costretto a cambiare qualcosa dentro se stesso. Abbandonare certe idee, rifiutare qualche piacere, imparare nuove cose, insomma, cercare di essere attivo e pronto per realizzarsi nella nuova realtà. Partendo dalla mia infanzia, dal mio viaggio in Siberia, ho dovuto adattarmi a tante situazioni diverse e, mio malgrado, spesso estreme.

Il carcere minorile violento e disperato, i cambiamenti radicali nella frenetica società post sovietica, il servizio militare finito male perché sono stato catapultato in mezzo a una carneficina, una guerra alla quale ancora adesso a volte stento a credere di essere sopravvissuto. Infine il ritorno dall'esercito nella società civile, che però si era dimostrata più violenta e crudele delle esperienze di guerra. Ho perso dei buoni amici, una delle più belle storie d'amore che avessi mai vissuto è finita male, perche tutto andava contro i sentimenti che mi univano a quella ragazza. Sono diventato apatico, ho perso la capacità di reagire, come quando dopo una forte esplosione per lo choc si entra in una condizione strana, come se si restasse sospesi nell'aria e anche se ti sparano addosso non senti più nulla: nessuna emozione, perché sei completamente svuotato e le uniche cose che sai ancora fare sono respirare e aspettare in silenzio.

Arrivato al capolinea delle mie possibilità di comprensione del mondo, non riuscivo più ad adattarmi alla realtà, cercavo una via di fuga, volevo fare qualunque percorso potesse portarmi lontano da tutto. Così decisi di abbandonare il mio paese, la grande madre Russia, per buttarmi nella ricerca di nuova vita. Ero consapevole del fatto che la colpa delle disgrazie che accadevano nella mia vita era soprattutto mia: mi sono reso conto che non ero fatto per vivere nella nuova società furba. Non ero abbastanza scaltro, non avevo l'abitudine di chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie destinate a rimanere 'invisibili', non mi interessavano le banconote americane color verde, la raccolta delle quali era diventato lo sport nazionale, la gara che durava tutta la vita e nella quale non esistevano le regole. Per quei soldi si faceva di tutto, anche i crimini peggiori. E il fatto più terribile era che a commettere questi delitti non erano veri criminali, ma semplici cittadini che si erano persi in quella febbre. Io non ero più in grado di essere un russo, non ce la facevo: mi sentivo straniero nella mia patria. Volevo ricominciare da capo, cambiare completamente il mio modo di esistere.

Il fatto di partire, di mettersi in viaggio, già di per sé è una forma di cambiamento, una liberazione che fa spesso bene all'animo umano. Che si tratti di un pellegrino, un viaggiatore o un nomade, chi si trova da solo per strada, chi non ha niente che lo leghi alla terra, ad un paese, si trova in una forma dell'anima che sfiora la purezza primordiale. Mi muovevo per l'Europa, fermandomi in luoghi dei quali avevo solo sentito vaghi racconti, e scoprivo che erano abitati da persone come me, gente semplice con le loro tradizioni e abitudini. Ho incontrato gente buona, persone oneste e semplici, ma ho avuto a che fare anche con la malvagità, con uomini distrutti dentro. In Olanda quando non sapevo dove dormire sono stato accolto da un gruppo di studenti; in Danimarca ho vissuto con due lesbiche, imparando a disegnare ritratti da una di loro; in Germania mi sono fidanzato con una nazista, una ragazza bellissima, che era fiera di essere nipote di un ufficiale delle SS e dalla quale sono dovuto scappare dopo qualche mese di convivenza. In Inghilterra la sera del mio arrivo sono finito in mezzo a una rissa: ne ho prese ma ne ho anche date. A un certo punto nella mischia è sbucato un coltello e io l'ho usato. Ma ho capito che dovevo andarmene immediatamente, per non sfidare il destino era meglio lasciare il regno della pioggia e degli hooligans. In Irlanda sono finito prima a Derry, poi più al nord, in un borgo dove c'erano solo un pub, uno spaccio, due magazzini di pesce e l'oceano freddo e agitato. Mi sono fidanzato con una ragazza del posto, e presto ho scoperto che nella sua famiglia c'era un'antica tradizione di resistenza al regime inglese: due cugini uccisi nel Bloody Sunday, un fratello maggiore morto in un carcere britannico perché era terrorista e ogni tanto sparava contro i militari nei posti di blocco; padre e madre con un passato turbolento nell'Ira, e nelle serate al pub mi ha insegnato a cantare 'The rifles of the Ira'.

La prospettiva di rimanere in Irlanda e sposare la figlia dei terroristi era allettante, ma ho preferito partire ancora e spostarmi in Italia. Qui abita da tempo mia madre e da anni volevo venire a trovarla. Ma quando l'ho vista ho capito che dovevo restare, perché lei soffriva la mia lontananza e nella sua vita aveva già patito tanto a causa di mio padre, un uomo violento, pericoloso e incosciente: io non potevo lasciarla sola.

In Italia ho subito trovato nuovi amici, molti dei quali con il tempo sono diventati persone veramente importanti, con i quali si potevano condividere i ricordi, i pensieri, le riflessioni sulla vita. Ho scoperto nuovi interessi e nuovi mondi, mi sono impegnato nell'ambito culturale, lavorando con l'associazione 'Libre', che è diventata per me una specie di famiglia. Tra progetti legati al teatro, mostre e concerti, ho sviluppato nuovi sentimenti, ho imparato a condividere la gioia del lavoro collettivo, l'importanza dell'impegno e della creatività personale.

Certo, per sostituire la violenza con l'impegno artistico, il coltello con la penna, l'estremismo con la creatività, serve tempo. Ci vuole un ambiente positivo e una grande forza di volontà. Ma questa magia accade quando c'è la voglia di cambiare, quando una persona con tutta la sua anima cerca di sfuggire ai suoi vecchi schemi e si tuffa nel nuovo, senza portarsi dietro pregiudizi, paure, preoccupazioni e sentimenti negativi, tutti i fattori che soffocano la coscienza.

Quando i miei amici mi hanno consigliato di cominciare a scrivere, ho preso quel suggerimento con impegno. Mi sono detto: "Se non avrò una fortuna, almeno mi divertirò". Così, per puro divertimento ho scritto 'L'educazione siberiana'. Per ricordare le cose passate, per rivivere momenti della mia infanzia, che io, nonostante la mia giovane età, spesso vedo molto lontana. Così oggi spesso sento che mi chiamano 'lo scrittore'. E sorrido, perché penso che nel gergo criminale russo si chiama così chi è molto abile con il coltello. Sorrido perché ormai sono lontano da quegli anni, da quel mondo, dal carcere e dalla guerra. Sorrido perché ho il mio impegno di scrivere per raccontare la vita che cambia attraverso mille storie. Qualche volta scrivo con la rabbia, altre addolcito dall'amore, qualche volta sono ipnotizzato dalla calma, un'altra agitato dal caos. Ma il risultato finale sono le parole che trasmettono a tante persone i miei sentimenti, ciò che vivo e i ricordi di quello che sono stato.

È l'aspetto più gratificante della mia nuova vita, la consapevolezza che lo faccio per gli altri. Per questa sensazione di essere considerato, di poter conquistare l'attenzione di migliaia di lettori, mi farei tutto il mio percorso di vita un'altra volta senza batter ciglio, senza aver paura di cambiare. Mi rifarei la mia vita ancora tante, tantissime volte.