Cultura
agosto, 2009

Ho fatto un sogno: poker

Non è più un gioco d'azzardo, ma sport. Ovunque ha un boom clamoroso. E Las Vegas è la sua grande capitale

All'Hotel Rio di Las Vegas il tintinnare delle chip maneggiate senza sosta dai partecipanti alle World Series of Poker 2009, il campionato mondiale di categoria, ricorda le cascate di monetine sputacchiate dalle slot machine di buona memoria, quando la vincita scrosciava sotto gli occhi del vincitore nel cestino della macchina. Ora non esistono più. Le macchine dei casinò di Las Vegas adesso distribuiscono le vincite in forma di voucher da cambiare in una specie di Bancomat. Ma a Las Vegas non sono cambiate solo le slot machine. È cambiato anche il poker. Non più gioco d'azzardo, si è trasformato in sport. "Una disciplina", dice Cristiano Blanco, italiano, campione della categoria 'hold'em' per i colori della Everest Poker, quarta sala da gioco on line del pianeta.

Per il quarantesimo campionato mondiale di poker, su Las Vegas sono calati oltre 60 mila giocatori, o forse atleti, da tutto il mondo. Si sono sfidati in 57 specialità dall'head to head, tipo di poker a scontri diretti, al razz, genere reso famoso da Tom Waits che lo celebra in una canzone. "Sono stato in un luogo dove una scala reale non può mai battere una coppia", canta Waits per dire che è stato anche lui in prigione. Perché il razz, poker in cui vince il giocatore che ha il punto più basso, è il preferito dai detenuti statunitensi, che lo giocano per ore ogni giorno.

La perla del torneo è però il Main Event, dove si gioca il Texas Hold'em, forma di poker in cui il giocatore riceve due carte che rimangono coperte e le deve accoppiare con tre, scelte da un gruppo di cinque che il croupier lascia scoperte sul tavolo. Oltre 6 mila giocatori prendono parte quest'anno al Main Event, qualche centinaio in meno di quelli dell'anno scorso: la crisi ha colpito anche il gioco. Cassa da 10 mila dollari, tanti ne devono sborsare i giocatori per partecipare al torneo, giocate senza limiti e premi che alla fine, a partire dagli ultimi 648 giocatori che rimarranno in gara, pagheranno da decine di migliaia a milioni di dollari. Il tavolo finale, che si terrà a novembre, si spartirà una ventina di milioni di dollari e il vincitore riceverà una borsa di 8 milioni e rotti. Di un milione, più o meno, inferiore a quella (9,15 milioni di dollari) vinta nel 2008 da Peter Eastgate, olandese ventiduenne che a sorpresa finì con l'aggiudicarsi il titolo battendo campioni del calibro di Scotty Nguyen, Daniel Negreanu e soprattutto Doyle Brunson. "I vincitori a sorpresa sono diventati uno dei punti di forza del torneo", spiega Marco Trucco, capo della delegazione italiana di Everest Poker: "Le World Series infatti ne fanno una ragione per attrarre nuovi giocatori".

Niente male per un torneo cominciato 40 anni fa con sette giocatori in un retrobottega fumoso del Binion Horseshoe Casino, Las Vegas. E che fino al 2001, quando vinse Daniel Mortensen, contava solo 613 appassionati. "Da piccolo torneo siamo cresciuti a fenomeno colossale, con milioni di persone che ci seguono in tv", sintetizza Chris Moneymaker, vincitore del torneo nel 2003.

A trasformare il poker in evento di massa sono stati due fattori: Internet e il passaggio nel 2004 della gestione delle World Series dalla famiglia Binion alla Harrah's Entertainment, la maggiore proprietaria di casinò del mondo, fatturato annuale di 11 miliardi di dollari. Il boom del gioco on line, coniugato agli sforzi di Gary Loveman, nuovo ceo della Harrah's, di trasformare i giocatori in consumatori di eventi spettacolari e sportivi, ha spalancato le porte del poker al grande pubblico, dandogli pure una connotazione più popolare, più giovanile e perfino più democratica, visto che ora in tanti possono cullare il sogno di diventare milionari.

Secondo la Jupiter Research in Europa, il numero dei giocatori di poker on line tra i 18 e i 24 anni è cresciuto significativamente, raggiungendo punte del 41 per cento in Germania, del 58 in Polonia e del 61 in Ungheria. Anche tra le donne è netto l'incremento: più 34 per cento in Italia, più 44 in Spagna. In America, dove il gioco on line è proibito, per la Poker Players Alliance i giocatori sarebbero oltre 15 milioni. "Si può guardare il campionato in tv a novembre e decidere che a maggio si parteciperà. E ci sono buone probabilità di finire al tavolo dei migliori atleti", afferma Jeffrey Pollack, presidente della World Series. A patto che ci si sia prima qualificati in uno dei tanti tornei locali e che si abbiano 10 mila dollari per l'iscrizione.

Proprio il processo di qualificazione è stato rivoluzionato da Internet. "Potendo partecipare ai vari tornei on line che si svolgono nel mondo, un giocatore in gamba si può qualificare con una trentina di euro", spiega il bolognese Isidoro Alampi, presidente della Federazione italiana gioco poker, che grazie ai tornei on line e alla sponsorizzazione della game-room PlayPoker.it ha portato a Las Vegas una squadra di 20 giocatori e piazzato uno al 149 posto. Anche Maria Maceiras, spagnola, è arrivata al poker via Internet. "Mio padre mi ha mostrato come si gioca su Internet", spiega Maria, che in poco tempo, vincendo due campionati spagnoli, si è fatta la fama di giocatrice da battere. Attraverso la Rete sono arrivati al poker anche gli italiani Salvatore Bonavena, vincitore di un milione di dollari all'ESP di Praga del 2008, e Francesco De Vivo. Si sono già dati appuntamento al prossimo evento, il campionato europeo a Londra, in settembre. n

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