Sono tornato nel mio paese con la mia famiglia ma tutto era cambiato. Anche la festa

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Una volta o due all'anno ci debbo andare. Nel paese natale di mio padre. È in Polonia orientale, vicino alla frontiera bielorussa. Mia zia, la sorella di mio padre, abita ancora lì, in una casetta isolata. È vedova e vive da sola. Ha due figli, ed entrambi sarebbero contenti che andasse a stare con loro in città, ma la zia non vuole. Preferisce la sua vita solitaria nella casetta ai margini del paese, da cui si vedono boschetti di abeti, casolari abbandonati che vanno in rovina e l'altra riva del fiume Bug. La fattoria della zia è composta da alcuni edifici disposti in quadrato. Nei tempi andati, che ora ricordo in maniera sempre più netta e vivace, nel cortile sabbioso ribolliva la vita di campagna. Le mucche rossastre uscivano dalla stalla dirette al pascolo, le galline raspavano in terra, i maiali si crogiolavano al sole, il cavallo, che godeva di privilegi e di una libertà speciale, passeggiava maestoso e si appisolava in piedi all'ombra di alti pioppi. Della fattoria facevano parte un alveare e un orto, di cui la cosa che meglio ricordo sono le piantine di tabacco. Trascorrevo giornate intere ad osservare le mutevoli costellazioni degli animali e delle ombre che lanciavano. Galline, cani, pecore, gatti seduti nelle macchie di sole. Odore di sabbia riscaldata, di fieno, di stalla. Ero un bambino di città, ma appunto queste immagini e questi profumi sono parte di me cento volte di più dei paesaggi varsaviani. Perciò vi faccio ritorno non appena posso. Il cortile è ricoperto d'erba. Non ci sono più animali eccetto un cane e qualche gallina. I figli e i nipoti della zia portano dalla città piantine fiorite e le sistemano in tutti i punti liberi. La fattoria sembra un giardino, ma vi manca la vita. Non c'è odore di animali. Tutto è immobile. Sull'intera zona grava un silenzio assoluto. Lungo la strada sabbiosa per l'intera giornata non è passato nessuno.

Ci sono andato all'inizio di agosto, nel giorno della Trasfigurazione, perché è la festa della parrocchia locale e c'è la fiera. La più grande festa del paese in tutto l'anno. Non era mai cambiato nulla: prima la messa solenne, poi il mercato davanti alla chiesa, banchetti di cianfrusaglie colorate, il tiro a segno dove si potevano vincere fiori di piume multicolori, riffe, banchetti con dolci e gelati, un paradiso per i bambini, la fiera delle meraviglie. Semplicemente una festa plebea, dove la religione si mescolava alla magia e al commercio in proporzioni adeguate. E la sera festa nella rimessa dei pompieri: suonava la musica, i giovani ballavano, e accanto alle pareti sedevano le donne anziane con il fazzoletto in testa e badavano a che tutto si svolgesse secondo le usanze. Sedevano, commentavano e rammentavano, come il coro delle tragedie greche. Di tanto in tanto i ragazzi uscivano fuori, al buio, per assaggiare dell'alcool o un corpo di ragazza, o semplicemente per fare a pugni.

Stavolta non c'erano riffe né tiri a segno. Su una decina di banchetti si vendevano armi cinesi di plastica da due soldi: Mp tedesche, Ingram americane, Franchi Spas italiane. Non c'erano quasi compratori. Nostra figlia, a cui avevo tanto raccontato di quella festa strana e della mia privata mitologia infantile, trovò subito nell'erba un cosiddetto dealpack, ovvero la bustina di plastica usata per le anfetamine. In pieno mezzogiorno, proprio di fronte alla chiesa, vedemmo un ragazzo nudo fino alla cintola, insanguinato. Correva a chiamare rinforzi. Un attimo dopo arrivarono in soccorso in quattro dentro una vecchia automobile. Rasati a zero, muscolosi, dai visi in cui la bonarietà paesana si mescolava a un odio chimicamente puro. Parcheggiarono in mezzo agli alberi accanto al fiume e, lasciando le portiere spalancate, andarono a vendicarsi.

Di fronte alla chiesa alcuni uomini più anziani si consultavano nervosi e indecisi, ma tutto quello che poterono fare fu telefonare alla polizia. Non c'erano donne anziane con i fazzoletti neri in testa sedute accanto alla parete e i ragazzi non cercavano di nascondersi nel buio. Tentai di spiegare tutto ciò a mia figlia, di raccontarle che una volta davvero le cose erano diverse, e che dico la verità quando parlo dei tempi andati. Ma Antonina non faceva altro che ripetere: "Papà, andiamocene via". Dunque tornammo alla fattoria della zia, dove crescono fiori rossi, gialli e azzurri portati dalla città.