L'esperimento del presidente della Camera è al momento più culturale che politico. E non è chiaro come possa evolvere


I partiti cambiano in genere in due modi: dall'alto e dal basso. Dall'alto stiamo assistendo alla secessione silenziosa del 'partito' di Gianfranco Fini rispetto al Pdl: segmenti di classe dirigente cercano di trovare occasioni di potere, in una fase che appariva bloccata, e invece si è mossa sulla iniziativa del presidente della Camera, che non ha perso una sola opportunità per differenziarsi dal berlusconismo. Evidentemente Fini aveva legittimi interessi personali, un'età che gli consente di proporsi come un leader, e un'idea di destra che poteva sembrare più moderna e istituzionale di quella rappresentata dal populismo berlusconiano.

L'esperimento di Fini è culturalmente interessante quanto di respiro poco ampio. Il respiro corto non riguarda l'assetto culturale, voluto dal presidente della Camera, quanto la forza reale messa in campo. Un ennesimo partitino avrebbe poca fortuna. I migliori progetti possono avere destini poco brillanti se non c'è dietro l'intendenza, e Fini non sembra avere dietro di sé grandi masse al seguito; la sua operazione finora ha tutta l'idea di una esperienza culturale, legata alla sua fondazione. È servita soprattutto a differenziare la fazione finiana in modo da intralciare il potere di Berlusconi, ma non è chiaro come possa evolversi in futuro.

D'altronde Fini è un politico puro, di quelli che Berlusconi detesta e ha sempre detestato. Lo si è visto in ogni occasione pubblica, a cominciare dalle posizioni assunte da Fini sull'immigrazione, o sul rapporto fra le istituzioni, a cominciare dalla difficile relazione con il Quirinale. Quindi la manovra di Fini, sempre ammesso che sia ancora in piedi e operante, è esplicitamente politica: tende a spostare equilibri, a creare nuovi aggregati e soprattutto a formare la leadership politica del presidente della Camera. Si tratta di una tipica operazione di trasformismo politico, che dovrebbe mettere in crisi il Pdl e soprattutto il 'patronage' dispotico di Berlusconi, che in questo momento sembra essersi concesso l'autorizzazione a spadroneggiare (come si è visto con la manifestazione a Roma conclusasi in piazza San Giovanni).

Molto più complicata è la situazione 'dal basso', dal momento che è la Lega, un movimento che acquista forza ogni giorno, a condurre le danze. Stando a ciò che spiegano i politologi e i sondaggisti, potrebbe darsi che in tutto il Nord, Emilia-Romagna per ora esclusa, la Lega di Bossi potesse sopravanzare il Pdl. Tutto ciò movimenterebbe gli equilibri politici nel centrodestra, tenuto conto che la Lega non è soltanto un movimento di destra, o non lo è su alcune tematiche di governo e in relazione alle società del Nord. Forse può risultare sorprendente che la parte più sviluppata del Paese abbia deciso di affidarsi al movimento più folclorico della nostra politica, ma va considerato che la Lega ormai è un partito di governo ed esercita con orgoglio la propria funzione.

Berlusconi in questo momento dovrebbe forse essere preoccupato più dal travolgente successo leghista che non dalle manovre di Fini. Ciò che si agita nel cuore del Nord, e sembra in grado di tracimare oltre il Po, in tutta l'Emilia e la Romagna, si presenta come un movimento confuso ma efficiente sul territorio. La sua leadership è saldissima, i suoi ministri a Roma si sono fatti vedere con chiarezza, a cominciare da Roberto Maroni. Rozza ma efficace, la Lega sembrava un movimento residuale, destinato a essere fagocitato dalle frange berlusconiane; è accaduto esattamente il contrario, e ciò mette in luce la fragilità implicita nel blocco di centrodestra.

Spetterebbe alla sinistra riformista mettere in luce, si sarebbe detto una volta, le contraddizioni del centrodestra; ma per ora non si riesce a vedere una strategia chiara. Pier Luigi Bersani e i dirigenti del Partito democratico sono tutti impegnati nella campagna elettorale delle regionali. È vero che quel risultato influenzerà molto, in termini strategici, i destini del Pd, e anzi è probabile che un esito meno sfavorevole del previsto darà un po' di spinta ai democratici; ma in questo momento si tratta in primo luogo di interpretare i nuovi schemi politici che si stanno creando: l'impoverimento con acquiescenza, cioè senza opposizione, e i fenomeni di perdita del lavoro legati alla globalizzazione. In entrambi i casi la lotta politica con la Lega sarà a coltello. E quindi converrà prepararsi.