Allora ricapitoliamo. Dio, patria e famiglia. Non più, temiamo proprio di no. Prima di tutto, ha detto di non avere il dono della fede (in un'intervista con il gioviale Maurizio Belpietro). Ha chiesto il voto per gli immigrati. E in quanto alla famiglia, ne ha fatte saltare due o tre. Poi, scegliendo a casaccio nella nuova road map segnata dai suoi, ecco imprevedibili parole d'ordine: Giorgio Gaber e Legambiente. Il partito d'Azione e Fabio Fazio. Ilvo Diamanti e Francesco De Gregori. E anche "Rinnovare o perire": farina estratta dal sacco del cavalier Benito? No, da quello del compagno Pietro (Nenni). Forse, Gianfranco Fini è diventato l'unico vero uomo di sinistra d'Italia. Sicuramente è a capo di un cartello politico e culturale frutto di ispirazioni le più lontane, di una sintesi storicamente risolutiva e pimpante tra fascismo, berlusconismo, conservatorismo e sarkozismo, del paradigma di una destra che non si sa dove andrà a finire ma che certo le sperimenta tutte per provare, come titola il suo think thank, a fare futuro. In pratica si tratta di un Finimondo, nel senso di quello che sta provocando, nel senso di quello che sta costruendo.
Obiettivamente, da tempo non si assisteva a una così spettacolare mutazione. Non solo politica. Ma esistenziale, culturale, estetica. Un enorme pentolone in cui un magma forse primordiale sta cuocendo tra antiche radici e nuove ragioni. Per esempio, succede che Andrea Camilleri, dopo aver firmato la prefazione del libro 'L'identità ritrovata' del deputato finiano Fabio Granata, inanelli con lui un dialogo alto e molto cinguettante su 'MicroMega', riconoscendo il ruolo di "coscienza critica" all'area del presidente della Camera, auspicando che Fini e Granata promuovano un progetto che "ci possa far fare una manifestazione insieme" e "anzi, ci troviamo di fronte a una certa destra che ha il coraggio di dire cose che nemmeno la sinistra osa più dire". Per esempio, accade che il suddetto Granata, un notevole picchiatore verbale ("Abbiamo sciolto An perché era già berlusconizzata al 100 per cento"), con una spettinata somiglianza con Roberto Calderoli, sia nel direttivo nazionale di Legambiente, mica perché ha salvato intere famiglie di vongole o preso in affidamento un orfanotrofio di cavallucci marini. No. "Mi ci hanno nominato ad honorem", ha spiegato lui, "e ho accettato volentieri". Intanto ha scritto un nuovo libro, 'L'Italia a chi la ama', al suo fianco Walter Veltroni.
Eresie secondo la destra berlusconiana, ivi compresi gli ex colonnelli di Fini, i Maurizio Gasparri, gli Ignazio La Russa & C., che ne ha dette di tutti i colori su stampa e tivù sulla faccenda. Per molti, invece, il manifesto, condivisibile o no, di una nuova razza di politici, intellettuali e giornalisti riusciti nell'impresa, non solo di cambiare rotta e pelle, ma di portare la traumatica questione al centro di un dibattito culturale, obiettivo mai raggiunto prima dalla destra, con giornali, siti, fondazioni e soprattutto idee che hanno spalancato loro le porte del salotto buono. Chi c'era al tavolo della presentazione del libro di Michele Salvati 'Capitalismo, mercato e democrazia' pubblicato dal Mulino, tra Fausto Bertinotti e Giuliano Amato, il gotha del riformismo democratico nel pubblico, se non Alessandro Campi, direttore scientifico di Farefuturo, ideologo della 'Fase due' del percorso finiano, nuovo arrivato nel salotto buono, guardato con attenzione e benevolenza: "Mi ha impressionato l'interesse", ha commentato lui. Nei suoi confronti, un Amato trepidante, il Socrate di Gianfranco Fini incontrato al tempo dell'elaborazione della Costituzione europea, l'uomo che lo ha davvero sostenuto e introdotto più intimamente nell'orbita di Antonio Maccanico e Carlo Azeglio Ciampi, e molto al suo fianco di questi tempi e in questo percorso. Segnato anche dalle due soste dell'ex leader di An al sacrario, tanto per mescolare santi e diavoli, di Fabio Fazio, calato, come avrebbe detto Edmondo Berselli, in un meccanismo culturale che tanto piace alle professoresse democratiche. Ma anche a una destra finora in cerca d'autore. Umberto Croppi, assessore alla Cultura del Campidoglio, che ha dato una mano risolutiva alla vittoria di Gianni Alemanno, un cattolico movimentista che aveva lasciato l'Msi all'elezione di Fini segretario, l'aveva pronosticato già anni fa " Mi aspetto che dica di essersi fatto una canna". Quando la confessione è arrivata (da Fazio) Croppi ha gongolato: "Ecco, si è trasformato". E così, anche lui, l'ex dissidente ha finito per inserirsi nel neo-patrimonio genetico della destra finiana, frutto di uno di quei paradossi ai quali spesso la vita ci ha abituato. Il fatto che oggi, molti degli uomini e delle donne più vicini a Fini siano proprio quelli, i rautiani, Granata, Croppi (che finirono nella Rete di Leoluca Orlandlo), Campi, Adolfo Urso, Flavia Perina, Luciano Lanna (questi ultimi rispettivamente direttore politico e responsabile del'Secolo d'Italia') che in segno di protesta contro di lui avevano lasciato il partito, forti di alcune posizioni su cui l'antico antagonista è arrivato adesso. Finirla con il nostalgismo e l'anticomunismo. Ricercare un certo sfondamento a sinistra. Puntare a un cosmopolitismo, non con il modello Jean Marie Le Pen, ma Alain de Benoit (fondatore del movimento La nouvelle droite). E ora, anche, a un capolavoro come l'elezione di Sarkozy.
"Ma vi rendete conto?", si è sfogato con i giornalisti Italo Bocchino, vice capogruppo Pdl alla Camera (per quanto ancora?) all'indomani della notizia di una cena ad Arcore con il leader della Lega. "Questi fanno le riforme tra una canzone francese e un pasto con la Trota" (così, invece che 'delfino' Umberto Bossi aveva definito suo figlio Renzo). Bocchino che aveva già provocato un tafferuglio con il simpatico slogan 'Meglio gay che leghisti' (ma, a quanto pare, alcuni leghisti delusi e certo non permalosi, hanno chiesto un abboccamento a Fini, e per questo Farefuturo ha strombazzato che l'esercito è molto più potente di quello che ci si immagina), ha, poi, concluso, più snob del sesto duca di Westminster: "Che abbiamo a che fare noi con questa gente?", e con un tono da Gustavo Zagrebelsky, da Sabino Cassese. Non è solo una 'destra nuova', una 'destra repubblicana', una 'destra costituzionale', è anche "una destra à la page con uso di mondo e senza più complessi", ha sottolineato Filippo Rossi, altra icona della sopracitata zona politica e direttore di Ffwebmagazine.
Non c'è dubbio che pesa nell'interesse della rappresentazione anche la questione estetica. Il presidente della Camera ha cambiato moglie, amici, staff. Fabrizio Alfano, suo portavoce, è un ragazzo gentile e compito, fazzoletto bianco nel taschino come Giovanni Gronchi, diverso anni luce dal suo predecessore Salvo Sottile, al contrario del nome una taglia da armadio, coinvolto in una delle varie vallettopoli dei tempi del Cavaliere. Fini sembra aver lodevolmente appeso al chiodo buona parte dei suoi amati e burinissimi giubbotti, oltre al distintivo a tre punte tricolori da bavero, anche se purtroppo le sue 500 cravatte, definite dallo scrittore Fulvio Abbate "un crimine contro l'umanità" non le ha ancora regalate a qualche catering da martedì grasso. I weekend di Anzio sono stati sostituiti da quelli più su all'Argentario. Una destra italiana socialmente accettabile, non più nera, né Dio ce ne scampi, azzurra, più Quinta Repubblica e molto frondista, manda in brodo di giuggiole il direttore delle quattro pagine strategiche del 'Foglio', Giuliano Ferrara. Mille anni fa, nel '91, in una memorabile puntata del programma 'L'istruttoria', Fini in collegamento apparve circondato dai suoi che ululavano alla volta di Franco Grillini "frocio, frocio", mentre il conduttore Ferrara sorrideva sardonico come a dire vedete che beceri questi fascisti. Oggi, l'elefantino più sulfureo che mai, inneggia a quanto sia straordinaria la fortuna per il Paese e per il Cavaliere di avere un Fini così "legato per l'oggi e per il futuro al suo destino di capo della destra". Lo spunto dell'editoriale è il libro ' La conversione di Fini' di Salvatore Merlo e potrebbe essere un bestseller visto che 'Il futuro della libertà' firmato dal presidente della Camera ha venduto molto di più di 'L'amore vince sempre sull'odio' lo sdolcinato pamphlet del premier.
E certo, queste non sono cose che aiutano tra leader. Ma tanto. La strada è segnata, "adesso si gioca a carte scoperte" ha scritto sul 'Secolo' in una prosa quasi da 'Anno zero' Flavia Perina, elencando come fa lei, senza giri di parole le distanze siderali con l'universo del predellino: "È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills". Anche Assunta Almirante ha fatto avere a Fini il suo sostegno. La benedizione della venerata vecchietta ha una doppia interpretazione. Non solo politica. Anche economica, ha fatto notare qualche malizioso, visto l'immenso patrimonio di An, la cui valutazione, circa 700 milioni di euro, palazzi interi, donazioni di facoltose e nostalgiche contesse, è stata provvidenzialmente diramata alle agenzie nei giorni scorsi, quelli dell'inizio bagarre. "Fini ha i valori" aveva detto donna Assunta. Appunto, hanno commentato anime generose. Naturalmente, sarà difficile anche per la sua tifoseria non ravvedere in lui una propensione alla provvisorietà politica che i nemici preferiscono definire puro opportunismo. Ma, comunque vada, il suo prestigio, non il potere forse, è aumentato. "Rischioso non è il cambiamento, ma rifiutare il cambiamento", così Sarkozy scaldava le folle in campagna elettorale. Ecco, sul cambiamento, nulla da rimproverare a Fini.