A vederlo così, sul terrazzo di casa sua, mocassini e T-shirt, rilassato (o provato) dal caldo romano, non sembra cattivo come dicono. Perché se ne dicono di cose su Pietro Valsecchi. Il mago della fiction, il genio delle serie, l'uomo che ha risollevato le sorti di Mediaset e gli ascolti di Canale 5 con "Distretto" e " Ris" e ha portato in tv gesta di uomini veri come Borsellino e Wojtyla nonché dicusse biografie di mafiosi da Riina "Il capo dei capi" a Provenzano "L'ultimo padrino" .
Eccolo Valsecchi nella sua bellissima casa tra opere contemporanee, mobili e oggetti di sofisticato design più mura antiche. Il produttore che dalla tv passa al cinema e fa 15 milioni di euro con un film comico d'esordio ("Cado dalle nubi" di Gennaro Nunziante con Checco Zalone) segnando un incasso record nel 2009 con buona pace di tutto il cinema panettone. Sì, se ne raccontano di aneddoti per rimpolpare la leggenda del self made man, nato povero a Cremona nel 1953, orfano di mamma a soli dieci anni con babbo invalido di guerra. Un uomo che ha cominciato dal basso nel mondo del cinema facendo di tutto dall'autista all'attore e che è riuscito a diventare ricco a forza di grinta e prensile intelligenza. Uno che, come vuole il protocollo, invece di essere ormai pacioso e soddisfatto del suo destino, conserva nel carattere scorbutico la fatica del successo e fa tremare tutta l'azienda (la Taodue) con il solo sguardo. Che nel suo caso sono in realtà vere e proprie urla.
"Tutto vero", ammette: "Sono passionale, viscerale, esagerato. Ho un carattere difficile che non va d'accordo neanche con se stesso. Sono un grande lottatore. Chiedo molto agli altri ma sempre di meno di quel che chiedo a me". Esempio: Valsecchi si sveglia sempre all'alba, fa ginnastica, colazione e poi comincia a leggere i giornali e a lavorare. Quindi, intorno alle sei e mezzo del mattino con i copioni in mano telefona ai suoi sceneggiatori: "Li sveglio è vero e allora? Non solo li sveglio ma urlo nella cornetta: "Questa roba è scritta coi piedi, non funziona niente, bisogna rifare la scaletta, creare movimento nella storia. Storia ho detto, che non può essere precotta. La voglio fresca. Fresca come il basilico, capitooo? E poi: li avete letti i giornali? Perché i giornali vanno letti presto e tutti quanti. Sono la finestra sul mondo, lo specchio del Paese, ti fanno capire dove sei e sono pieni di storie. Allora: se sei uno sceneggiatore con le palle alle sei del mattino devi già avere i giornali in mano. Capiiitooo?"".
È questa la dura scuola della Taodue: casa di produzione fondata nel 1991 da lui e da sua moglie Camilla Nesbitt con la mission (si legge sul sito) di "produrre film dalla forte ispirazione realistica, nati da fatti di cronaca o da eventi storici. Sono questi i progetti che hanno portato la nostra società a distinguersi nel panorama del mercato". Camilla (a detta del suo sposo-socio) è la mente razionale dell'azienda e della coppia. Si sono conosciuti nel 1991 al premio Solinas. Tutti e due piccoli produttori in cerca di storie. Un colpo di fulmine e hanno messo subito su casa e bottega. Più il comune progetto di fare quel che mancava: specializzarsi in biografie eccezionali di uomini del presente. "Non creda che sia una cosa facile. Moro, Borsellino, i Corleonesi è roba faticosa da mettere in scena. Ci sono di mezzo famiglie, avvocati, vedove, orfani, storie dolorose e complesse. E poi bisogna far scrivere e riscrivere agli sceneggiatori soggetti e dialoghi, perché tutto deve essere credibile e fedele ai fatti altrimenti non funziona.Vogliamo parlare infine della ricerca, degli archivi, delle testimonianze? Insomma un gran lavoro. Perché il problema del cinema italiano sta proprio nella storia e nella scrittura. Abbiamo bisogno di contenuti e si pensa invece agli autori. Ma gli autori, quelli veri, alla fine sono pochi. Qualche genio prestato al cinema come Fellini, Matteo Garrone mettiamoci pure Antonioni o Bellocchio che mi ha fatto diventare matto, ma ha indubbiamente una sua visione del mondo. Anche se quando ho prodotto la "Condanna" abbiamo litigato dall'inizio alla fine del film. Eppure grazie a Bellocchio ho imparato molte cose".
Per esempio, signor Valsecchi?
"La cosa più importante. È proprio vero che il teatro è dell'attore, il cinema del regista, la tv del produttore".
Dunque dopo lo psicodramma del set con Bellocchio, Valsecchi capì che la sua irruente natura era molto più adatta alla produzione tv e a lavorare con registi giovani meglio se debuttanti. "Insomma bravi ragazzi che fanno quel che dico io, altrimenti cosa lo pago a fare un regista? Sono un produttore, non un contabile. Non li sopporto questi registi che già all'opera seconda si comportano come autori e pensano di poter fare tutto da soli. Se vogliono far da soli, ci restino da soli: quella è la porta".
L'altra cosa che Valsecchi dice di non sopportare nel cinema italiano è l'invidia. Quella che ha scatenato scoprendo in un comico di "Zelig" una gallina dalle uova d'oro. Non solo ma questo "Candide" come lo definisce lui, "questo italico Peter Sellers" che risponde al nome di Luca Medici in arte Checco Zalone è riuscito pure a guadagnare premi prestigiosi con tanto di cerimonie "dove i sorrisetti cattivi dei salotti buoni si sprecavano. Che imbecilli. L'invidia fa perdere tempo, lo sa? Io non sono mai stato invidioso. Posso essere ammirato se qualcuno fa bene, furioso se fa tanti soldi con una cagata ma se invece un nostro film vince un Oscar, un Palmares o un Orso a Berlino io sono felice anche se il film non è mio. Perché un Oscar porta soldi, gente disposta a investire, economia, successo, denaro, lavoro. Dunque: chi se la può permettere l'invidia?".
Giusto. Neanche Paperone è tanto lucido. Ma questa è la stringente logica Valsecchi e la forza dei suoi ragionamenti. Ha un punto di vista su tutto. Dei tagli alla cultura dice: "Siamo matti e masochisti a tagliare i fondi alla cultura in un Paese come il nostro. Dovremmo fare una Toscana in ogni angolo e invece massacriamo il paesaggio e tagliamo le risorse. Se io fossi un malavitoso fonderei un'associazione a difesa del paesaggio e investirei in alberghi a cinque stelle. Invece questi che fanno? Si portano a casa i residui tossici, mangiano le mozzarelle avvelenate e fanno scappare i turisti. Si vede che non hanno il senso degli affari".
Sarcastico, burbero, dissacrante: ci sarà pur qualcosa che la intimidisce signor Valsecchi? "Gli artisti: sono gli unici a farmi soggezione. Ma lei ci pensa al coraggio che ci vuole per fare un'opera? Mostrare una cosa e dire: questo l'ho fatto io e mi misuro con la storia dell'arte. Non è mica uno scherzo. Al confronto la paura dell'attore è niente. In fondo l'attore fa un lavoro corale. Se è bravo si prende il merito. Se non è bravo può essere colpa del regista, del testo, degli altri attori. Ma l'artista è solo, non ha alibi. Per questo li rispetto e mi piace stare con loro".
Dice sul serio. Non solo come collezionista, ma anche come moderno mecenate che sta costruendo insieme a Camilla una grande sede per residenze di artista nella campagna laziale. "Ho già il logo "Orte-Arte" con la A e la O che si incrociano. Buono no? E immagino una comunità di artisti tutti giovani che arrivano da ogni parte del mondo: coreani, brasiliani, indiani. Li ospiteremo, costruiremo per loro atelier e laboratori e li lasceremo assolutamente liberi di discutere e creare. Lo devo all'arte, perché l'arte mi dà molto. Comprare le opere alle aste mi eccita come un bambino. Non si ha idea dell'adrenalina che si scatena in una casa d'aste quando si desidera un'opera. È entusiasmante. E indipendente dal valore. Il pezzo che mi ha dato più gioia nella vita, costava poco. Era lo skate di Keith Haring, quello suo, personale. L'ho incontrato per caso in un'asta pomeridiana a New York".
Ora è lì su una parete della bellissima casa che le leggende dicono sia costata l'esaurimento nervoso a più di un architetto cacciato a urla con le braccia piene di rotoli. È uno skettino di legno grezzo con pupazzetto e firma a pennarello nero. Cosa umile rispetto ai capolavori di Ron Arad, Damien Hirst, Marc Quinn, Anish Kapoor o l'amico Francesco Vezzoli. "Un ragazzo d'oro sensibile, intelligente e diretto" che, si dice in giro, abbia intenzione di fare il suo primo film con Taodue. Valsecchi ridacchia e borbotta: "Chi lo dice? Qualcosa di vero c'è, un'idea di Cenerentola oppure un'altra favola. Vedremo. Comunque Vezzoli deve mettersi a lavorare, fare un trattamento e poi cominciamo a discuterne". Alle sei di mattina? "E no. Gli artisti sono artisti. Non potrei mai interrompere un loro sogno".