Sempre curiosa, la Val d'Aosta. Qui le fortezze le chiamano castelli, le montagne colline, le betulle biolle, gli ontani verne, i cembri arolle. Per arrivare a casa Bocca, si sale parecchio sopra La Salle e, superate frazioncine che finiscono per ypsilon, ci si meraviglia che sopra i millequattro ci sia ancora tanto bosco ceduo, poco abete e poco larice. Ma qui il larice è lui, e di salde radici. È Giorgio Bocca, l'Antitaliano, il decano dell'"Espresso" e di "Repubblica", che il 28 agosto compie la bellezza di 90 anni. Dice, ironico, "son qui fermo come una pianta", perché camminare lo indolenzisce, sopporta meno il sole forte, non guida più la sua Alfa Romeo e gli sci da fondo (norvegesi, in legno) li ha dovuti mettere in cantina.
Salire alla frazione alta che inizia per B, scoperta negli anni Settanta insieme all'amico giurista Guido Neppi Modona, tra due tratti di foresta e sopra un grappolo di vecchie case in pietra e tetti d'ardesia, è semplice. Eppure un giorno persino l'investigatore Antonio Di Pietro si è quasi perso. Non è di qui, il molisano dei valori, uomo di campagna e medie quote. Ma lo stesso Bocca, scrittore-giornalista-partigiano-azionista-montagnardo, è sempre più spaesato. Sempre più vede la vicenda italiana, e questa estate di veleni romani, dalla distanza dell'eremo, come poteva averla Michel de Montaigne a Saint-Michel nel Périgord, nel gettare lo sguardo del falco sulle umane vanità.
Di giornalismo non vuol parlare, dice Bocca. Di politica? La voglia sarebbe poca: "Perché è noiosa e snaturata. La politica è ridotta ad affari e faccendieri. Per me, che per anni ho partecipato alla vita politica con vero interesse, è irriconoscibile". Il tono di Bocca è pacato, davanti a una finestra che dà a sud, dietro le spalle due stampe allegoriche dell'America e dell'Asia. "Una volta", ricorda, "conoscevo una società civile, una borghesia intellettuale che aveva una educazione politica. A Milano andavi a casa Cederna e incontravi letterati, sindaci, professori, c'era uno scambio vero di intelligenze. Ma oggi? Oggi il ceto politico fa organizzare feste, portare donne, portare soldi. Anche gli editori di prima...", oddio, cosa dirà? "... anche gli editori, gli stessi direttori di giornale, prendiamo il liberale Frassati della "Stampa", erano capitalisti con un'idea politica. Oggi il vero padrone chi è? La pubblicità". L'egemonia della pubblicità è un suo vecchio chiodo. La pubblicità è "lo spirito santo del mercato", scrisse nel suo "Piccolo Cesare". Ed ecco, dal retro del ragionamento, rientrare l'ubiquo inesausto Cavaliere, questo "personaggio", come ebbe a dire sempre lui, "stupefacente fino alla noia". Il Cavaliere che Bocca così ben conobbe, negli anni acerbi di Canale 5, quando con Guglielmo Zucconi dovevano inventarsi un telegiornale che Berlusconi in realtà non voleva affatto.
"Il paradosso", osserva Bocca, "è che abbiamo appena fatto una gran campagna sulla libertà di stampa, mi son fatto sentire anch'io, quando sappiamo bene che non esiste più. Berlusconi minaccia la libertà politica, le regole civili, minaccia i suoi avversari, ma non la libertà di stampa". Questa andrà un po' spiegata. "Dov'è che si può fare una vera inchiesta critica sulla Fiat, su qualsiasi grande impresa? Già ai miei tempi di inviato, se scrivevo cose scomode, mi arrivava la telefonata di Agnelli, poi di Romiti: "Ma perché ce l'ha tanto con noi?". Oggi il denaro della pubblicità ci fa vivere tutti, però ci condiziona. E anche negli anni della grande Olivetti: c'era Adriano, che era detto l'industriale illuminato, ma io ricordo bene come telefonò al mio giornale: "Dite a Bocca che la smetta, sennò tolgo la pubblicità". Erano gli anni in cui sulla "Stampa" non si scriveva che un operaio Fiat era morto in fabbrica, ma sempre durante il trasporto in ospedale...".
A questo signore che è stato braccato dai nazisti nel Cuneese, biografo di Togliatti, studioso del Mussolini di Salò, narratore del boom economico, del terrorismo rosso e nero, di quarant'anni di trame e scandali, e Nord e Sud, che baffo gli può fare il caso Berlusconi-Fini-Tulliani? E infatti, Bocca, dell'attualità romana, sotto Ferragosto, non vuol tanto parlare. Saranno le inquiete nuvole che muovono alte verso il Bianco, le Aguilles, la Mer de Glace degli sfracellamenti in alta quota. Ricordi, nostalgia di un'altra Italia?
"Nostalgia...", esita: "Quando vedo il come-si-chiama dei grandi appalti, questo Balducci che esce dalla sua piscina in villa avvolto in un peplo romano, e sta ai domiciliari, ecco, quando vedo queste scene comincio a sentire la mia vecchiaia. O forse la mia ingenuità". In che senso, Giorgio? "È che la divisione del mondo tra onesti e disonesti non esiste più. Così come non c'è più il capo di governo, o il leader politico, maestro di vita e di doveri. Il presidente Einaudi che metteva via la mezza mela per la sera. Parri che dormiva sulla branda. E poi De Gasperi, Berlinguer. Persino Andreotti e Cossiga, ne sono certo, non hanno rubato. Ma oggi?". Bocca sbuffa, detesta dire ovvietà, come a dire: di che mi fai parlare?
Questi fratelli Tulliani, però, inzighiamo: pittoreschi. Non proprio Irene Brin e Gaspero del Corso. Bocca cita i Petacci, e un lampo maligno gli traversa lo sguardo. "Solo che nel fascismo il caso Petacci era un'eccezione, gli italiani ci misero un po' ad abituarsi all'idea. Il fascismo aveva una severità di fondo, i ladri erano malvisti. Ma il punto non è il signor Tulliani; il punto è: perché gli italiani votano per anni un affarista, un immorale come Berlusconi che con la politica si è ancor più arricchito? Perché non lo sentono così diverso. Non lo trovano disdicevole. Infatti anche la sinistra cede alla tentazione". Col passar degli anni Bocca cita più spesso Mussolini, anche a sorpresa: "Davanti all'Italia di oggi Mussolini parlerebbe di una società cartaginese". Cartaginese? "Tanto Roma era austera e schiavista, tanto Cartagine era commerciante e affarista".
L'età allunga lo sguardo. Roger Martin du Gard, scrittore di destra, parlava di "un secolo cominciato con le rivoluzioni e finito nella cianfrusaglia". Le ultime volte che ci siamo incontrati, Bocca ha osservato che malgrado tutto, gli strappi alla Costituzione, la corruzione incessante, lo spregio della magistratura e della stampa, le plateali menzogne di governo dinanzi a una platea d'italiani inebetiti da una tv puerile e incantatrice, malgrado tutto questo, l'Italia non è oggi nei suoi anni più bui. "Ma certo. Cosa c'era di peggio dell'occupazione nazista dell'Italia? Una Repubblica democratica, bene o male, ce l'abbiamo". Il metro civile di Bocca è alto, si sa: dovesse invitare per un bicchiere di barolo un grand'uomo, inviterebbe un Bobbio, un Gobetti, un Vittorio Foa. "Modelli di democrazia", li chiama lui, "gente per cui intelligenza e moralità erano la stessa cosa". Mentre Berlusconi è "eversivo", "anarcoide"; e Fini, tuttalpiù, un "tattico". Di Fini registra il cambiamento politico, ma la domanda resta: quanto è autentico, quanto è strumentale?
Bocca guarda il cielo. Ha fatto due gocce di pioggia, farà bene ai prati. Arriva sua moglie, Silvia Giacomoni, che è spiritosa e ogni tanto punge. Dice che il Bocca è diventato più bello con l'età, "Quando l'ho conosciuto non era 'sto gran che". E lui: "Ma se somigliavo a Marlon Brando...". Lamenta inappetenza, il comandante; ma poi si cala maccheroncini alle melanzane, pollo con patate al forno, un assaggio di toma della Val d'Ayas e di torta di pesche. Beviamo un barbera rotondo e scuro prodotto da sua figlia a San Fereolo nelle Langhe, in una grande casa esposta al vento che anche per lui, il padre, è come un ritorno al luogo da cui si era evasi da giovani, fuggendo un destino già scritto.
Si parla del pessimismo, di cui sempre lo accusano. Si parla dell'idea anarchica dell'economia che ha il nostro premier: "Berlusconi che dice: non posso rimproverare alle aziende di andare a produrre dove conviene. Eh, ma tu sei il capo del governo. Con il liberismo puro, senza contrappesi, si va verso la barbarie". Si deplora la disinformazione, la passività degli italiani di oggi. Si cita l'Uomo Qualunque, il movimento fondato da Guglielmo Giannini nel 1944. "Le persone perbene lo disprezzavano; oggi, invece, il qualunquismo sembra avere dignità culturale".
Novant'anni, Bocca, ma quanto lavora. In autunno uscirà da Feltrinelli il suo ennesimo libro, "Fratelli coltelli", una specie di storia d'Italia dal dopoguerra attraverso un'antologia di suoi articoli. Perché questa febbre di scrivere, questa febbre incessante? Bocca racconta che l'ansia di lavorare e guadagnare non lo ha lasciato mai. Ancora oggi, la mattina, legge le quotazioni azionarie per controllare i suoi risparmi. E la scrittura è un antidoto alla solitudine. Se ha un filo di malinconia è perché quest'anno è stato colpito, qui in montagna, da un doppio lutto. Se ne sono andati due sodali di antica data: Costanzo Picco, amico d'infanzia cuneese, ufficiale degli alpini, e il dottor Formento, 92 anni, medico condotto a Morgex, con cui il ragazzo Giorgio aveva fatto la staffetta di fondo ai Littoriali di Madonna di Campiglio. Per una vita hanno fatto fondo insieme. Tracce parallele sulla neve, passo costante, testa bassa. "Queste due morti, sì, mi hanno colpito duro. Mi son cadute addosso come una montagna".