Il 30 agosto prossimo saranno passati esattamente quarant'anni dal giorno in cui a Roma (in via Puccini, a due passi da Villa Borghese) il marchese Camillo Casati Stampa, 43 anni, uccise con un fucile da caccia la moglie Anna Fallarino e il suo giovane amante, lo studente Massimo Minorenti, per poi suicidarsi.
Camillo Casati Stampa era quello che oggi viene chiamato un 'cuckold': insomma gli piaceva vedere la moglie che si intratteneva con altri uomini. Per anni, le fantasie sessuali del marchese ebbero soddisfazione senza particolari problemi: poi, appunto nel '70, accadde che la consorte si legò anche affettivamente a uno dei giovani con cui il marito la faceva incontrare, il Minorenti. Di qui l'omicidio-suicidio di via Puccini.
Per l'eredità dell'immenso patrimonio del marchese si scatenò subito una guerra legale: infatti la famiglia Fallarino (cioè i parenti della moglie ammazzata) la rivendicarono, assistiti da un avvocato calabrese trentaseienne: Cesare Previti.
La loro tesi era che la consorte del marchese - pur colpita dalle fucilate - aveva esalato l'ultimo respiro dopo il marito, quindi aveva fatto in tempo (seppur per pochi minuti) a ereditare, sicché la sua parte doveva passare ai parenti Fallarino.
La controparte erano gli avvocati della figlia unica di Casati, la diciannovenne Annamaria, che riuscirono a dimostrare come la Fallarino fosse invece premorta al marito e quindi, al decesso del marchese, restava una sola erede: appunto la figlia.
Nonostante la sconfitta in tribunale, a sentenza emessa il giovane Previti avvicinò la marchesina e le offrì di occuparsi della gestione del suo patrimonio: lei tra l'altro era minorenne, per le leggi dell'epoca, e quindi aveva bisogno di un tutore.
Il tribunale, d'accordo con la ragazza, nominò invece suo tutore un altro avvocato, più anziano e già amico di famiglia, Giorgio Bergamasco, senatore del Partito liberale. Previti tuttavia riuscì a diventare protutore, cioè in sostanza "vice" di Bergamasco: al quale successe nelle funzioni quando, poco dopo, Bergamasco divenne ministro nel primo governo Andreotti.
Nel frattempo (dal 1971) Previti aveva iniziato a lavorare come avvocato anche di Silvio Berlusconi, all'epoca giovane imprenditore edile che aveva già edificato a Brugherio (il quartiere Edilnord) e stava lavorando sul progetto Milano 2 a Segrate. Insomma, nordest di Milano: a pochi minuti da dove sorgeva il pezzo più pregiato dell'eredità finita ad Annamaria Casati, la villa settecentesca di 3.500 metri quadri chiamata San Martino. Con un parco immenso, scuderie e una biblioteca di oltre 10 mila volumi di cui un terzo antichi.
Fu così che Previti consigliò a Berlusconi di acquistare dalla marchesina sua assistita (nel frattempo andata a vivere in Brasile) quella villa, per la quale fu stabilito un prezzo di 500 milioni di lire dell'epoca. Non in contanti, ma in titoli azionari e nemmeno di società quotate in Borsa, oltre tutto con pagamento dilazionato. Almeno così figurò nel rogito.
Bene, quanti sono in termini attuali 500 milioni di lire del 1974, quando Berlusconi entrò a Villa San Martino? A seconda dei diversi parametri, si va da un minimo di due milioni e 200 mila euro a un massimo di due milioni e settecentomila euro. In ogni caso, molto meno di un quarto (forse un quinto) di quello che era il valore reale della proprietà, che all'epoca si aggirava sui due miliardi di lire.
Per quali ragioni? Uno dei tanti misteri che riguardano i 'gloriosi inizi' di Berlusconi. La motivazione ufficiale è che alla marchesina Villa San Martino procurava solo brutti ricordi e quindi le andava benissimo anche svenderla, tanto più che aveva bisogno urgente di soldi a Brasilia e, poco più che ventenne, non aveva idea di quanto potesse realmente valere. E di questa spiegazione bisogna accontentarsi, perché nessuno ha mai documentato alcuna ipotesi alternativa, tanto meno il vociferato passaggio di altri soldi in nero, estero su estero, benché di questi - nei decenni successivi - Cesare Previti si sia rivelato un maestro.
E così, nell'anno 1974, nella biblioteca un tempo frequentata da Benedetto Croce arrivò Marcello Dell'Utri, che venne incaricato di alcuni restauri, mentre subito dopo nelle scuderie della tenuta venne assunto un nuovo stalliere, Vittorio Mangano.