La radicalità del Vangelo con lo sguardo costante sui poveri e gli ultimi, l’edificio di un cattolicesimo aperto alle istanze della società, alla necessità della comprensione

Dopo i funerali di papa Francesco e piazza san Pietro che inizia a respirare un’aria sospesa, in attesa del prossimo Conclave che eleggerà il 267esimo pontefice della chiesa cattolica, la parola speranza è tutto ciò che condensa l’eredità di Bergoglio: una parola che non è un’utopia, ma concreta come il suo nome, semplice e programmatica anche adesso che è evocata da un semplice Franciscus inciso su una lastra in pietra ligure, deposta nella Basilica di Santa Maria Maggiore che, per paradosso, la Corona spagnola decorò con il primo oro delle Americhe. Ma non è sui fasti che papa Francesco ha modellato la chiesa in questi dodici anni. Pastore piuttosto che teologo come il predecessore Ratzinger, ha mostrato della chiesa un’immagine senza filtri, ne ha fatto la casa dei poveri nel senso più letterale del termine, come quando inaugurò le visite dei clochard di Roma alla Cappella Sistina. Oggi nel clima pre-Conclave, ci si augura che gli oltre centotrenta cardinali elettori possano ricordare quegli incontri e sentirne l’odore. Come era successo a lui quando, appena eletto il 13 marzo 2013, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, suo vicino di scranno, lo aveva invitato a ricordarsi dei poveri. Ammonizione o invito all’urgenza, il nome Francesco è nato proprio lì, in omaggio al poverello d’Assisi che si è spogliato di tutto per ricostruire la chiesa dai margini, scontornandoli.

 

Nel fermento degli anni Sessanta, la chiesa cattolica aveva avuto la sua occasione con il Concilio Vaticano II. L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il primo documento nonché testo programmatico dei dodici anni del pontificato di Francesco, si lega con un filo rosso al Patto delle catacombe, il manifesto sottoscritto sessant’anni fa da una cinquantina di padri conciliari per una «Chiesa serva e povera». Papa Francesco ne ricevette una copia dal pacifista argentino e premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel.

 

Lì c’era già tutto e, quando al clero di Assisi, incontrato il 4 ottobre 2013, Francesco disse che l’aspetto missionario della chiesa deve concentrarsi sulle periferie, parlava per esperienza diretta: «Le periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale. È il caso della diocesi che avevo prima, quella di Buenos Aires. Una periferia che mi faceva tanto male, era trovare nelle famiglie di classe media, bambini che non sapevano farsi il segno della Croce. Ma, questa è una periferia!» esclamò con quel piglio assertivo che aveva la portata di una sveglia. Nel Duemila, con il tracollo economico in Argentina, vide coi suoi occhi le villas impoverirsi, la gente senza lavoro. E, allora come ieri, non poteva accettare che a pagarne le conseguenze fossero gli scartati da un mondo avido e capitalista: «La mancanza di lavoro ti porta a sentirti senza dignità! Dove non c’è lavoro, manca la dignità!», tuonò rivolgendosi alle migliaia di lavoratori sardi pochi mesi dopo la sua elezione.

 

I suoi detrattori gli hanno dato del comunista, ma per Francesco l’annuncio del Vangelo passa dal riscatto dai propri gioghi. Ai suoi vescovi latinoamericani di Rio de Janeiro, il 28 luglio 2013 aveva detto: «La Chiesa è istituzione, ma quando si erige in centro si funzionalizza e un poco alla volta si trasforma in una Ong. Allora la chiesa pretende di avere luce propria e smette di essere quel mysterium lunae del quale ci parlano i Santi Padri. Diventa ogni volta più autoreferenziale e si indebolisce la sua necessità di essere missionaria».

 

I poveri esistenziali sono quelli che marcano la distanza di papa Francesco con i cattolici sonnacchiosi dell’Occidente neoliberista. Non è stata ideologia la sua, come diceva chi lo accusava di anteporre la propaganda alla missione della chiesa. Quando il 3 e il 4 febbraio del 2020 a Roma si tenne il Convegno nazionale dei Conservatori dedicato a «Dio, Onore, Nazione» con ospiti l’ungherese Viktor Orbán e l’attuale premier Giorgia Meloni, Bergoglio non venne mai menzionato: vi si preferì evocare un papa morto vent’anni prima, Giovanni Paolo II, il papa polacco il cui ricordo era interpolato con nuove Lepanto ai confini e scontri di civiltà in corso. Di Francesco neppure l’ombra. Troppo villeros, troppo terzomondista.

 

«Ai poveri non si perdona niente, neppure la loro stessa povertà. Si possono costruire muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri a danno di quanti si lasciano fuori. Ma non sarà così per sempre. Il giorno del Signore, come descritto dai profeti, distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti», scrisse nella sua autobiografia Spera (Mondadori, 2025). Il primo papa latinoamericano ha visto la chiesa di Roma con gli occhi della periferia in cui è cresciuto. È inevitabile che, con un Collegio cardinalizio che lui stesso ha contribuito a modellare su una nuova carta geografica, il suo successore adotterà uno sguardo coerente con il suo luogo di provenienza. Il suo Sud globale è stato il punto di partenza di un cammino che ha avuto una tappa importante in Querida Amazonia, l’esortazione postsinodale sulla regione panamazzonica. Se la regione panamazzonica è il polmone del mondo, da quest’ottica integrale del globo la periferia può dare nuovi sogni al centro immobile: «Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa. Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana». Poteva farlo solo un latinoamericano che ha vissuto il periodo oscuro della «guerra sucia», il conflitto civile nell’Argentina del generale Videla, dove il prezzo pagato dagli ultimi era l’invisibilità di essere desaparecido nelle nebbie dell’oblio. Così, con un termine collettivo come «poveri», Francesco ha restituito un nome ai dimenticati, «los nadies» come li chiamava lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. I poveri diventano per Francesco il centro della sua missione pastorale: «Un orecchio per ascoltare la Parola di Dio e un orecchio per ascoltare il popolo», gli ripeteva monsignor Enrique Angelelli, ucciso brutalmente il 4 agosto 1976.

Dall’altra parte, la guerra, che semina odio fra la gente, quello che Francesco chiamerà «cainismo», usando un neologismo efficace, bastante a descrivere la lotta tra fratelli. Parlando alla Radiotelevisione svizzera un anno fa sui fronti più caldi delle guerre, come in Ucraina, ricordava che ad alzare la bandiera bianca ci vuole coraggio: «Credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo, e ha il coraggio della bandiera bianca. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. Negoziare è una parola coraggiosa». È il popolo, quel «pueblo» che evocò anzitempo Evita Perón, che ha rappresentato l’alfa e l’omega del pontificato di Francesco, e al popolo lui ha lasciato la sua eredità più importante.

 

Come per le persone della comunità Lgbtq+ che, mai come in questi dodici anni, sono state ascoltate in udienze pubbliche e incontri privati. Francesco diceva che un «pastore ha l’odore delle pecore» e, in un mondo dove anche gli Stati democratici sembrano alzare nuove barriere discriminatorie o favorire un clima di omotransfobia neppure troppo velato, la porta aperta da Francesco sul tema si giustappone all’anta di quegli armadi da cui tante persone credenti queer sono uscite senza voler tornare più indietro.

 

Certo, talvolta pesa l’inefficacia pratica della pastorale inclusiva del papa sul tema, ma anche su quest’apertura si giocherà il prossimo Conclave. Il lungo processo del Sinodo sulla Sinodalità della chiesa italiana, che si è dipanato in questi anni, ha per esempio fatto emergere l’urgenza di ascoltare le persone cattoliche della comunità arcobaleno. È da questo punto che il prossimo pontefice della chiesa cattolica dovrà partire, camminando sui contorni sfumati di una chiesa che papa Francesco ha contribuito decisamente ad aprire.

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