Fareste ristrutturare la vostra casa a un tour operator? Per quanto assurda possa sembrare la domanda, con le dovute proporzioni è quello che rischia di accadere a Pompei. Afflitto da crolli che, fra strutture antiche e recenti, si susseguono da due anni, al sito archeologico l'anno nuovo porterà in dono 105 milioni di euro da Bruxelles.
Ma quale sarà la catena di comando della spesa e chi avrà voce in capitolo nel delicato ruolo di gestione del denaro resta tuttora un mistero. Lo scorso 6 ottobre, infatti, i ministri Fitto e Galan hanno stipulato una convenzione con Invitalia, la Spa del ministero dell'Economia, per un non meglio precisato "supporto tecnico" al progetto Pompei.
Un'intesa quinquennale che al modico costo di sei milioni di euro aiuterà l'allestimento dei bandi di gara e la rendicontazione dei fondi europei. Tutte attività che le professionalità interne del Collegio romano potrebbero benissimo assicurare.
Tanto più che Invitalia non ha finalità specifiche di tutela, promozione o valorizzazione dei beni culturali: basata su attrazione degli investimenti esteri e riqualificazione dell'offerta turistica, la mission della Spa non pare proprio in linea con quelle cure di cui necessita Pompei.
Sorta sulle ceneri del fallimentare carrozzone di Sviluppo Italia, protagonista di sprechi a sei zeri, a guidare l'agenzia dall'estate 2010 è Giancarlo Innocenzi, uomo di fiducia di Berlusconi, ex dirigente Fininvest ed ex parlamentare Forza Italia. Come membro dell'Agcom fu intercettato al telefono nel 2009 dalla procura di Trani mentre suggeriva al direttore generale della Rai Mauro Masi come bloccare la trasmissione Annozero di Michele Santoro. Lasciò la poltrona di commissario a giugno e un mese dopo planò su quella di Invitalia.
Se queste sono le premesse, non meraviglia che al ministero dei Beni culturali la presenza dell'agenzia nell'ambito del progetto di salvaguardia di Pompei sia vista come il fumo negli occhi. Il segno dell'invasione della politica anche nelle questioni eminentemente tecniche e specialistiche.
Anche perché nonostante Invitalia si sia affrettata a precisare che non avrà alcun ruolo diretto nella gestione delle procedure di progettazione e di realizzazione dei restauri, al Collegio romano aleggia questo spettro. E le premesse non sono delle migliori. Nell'ultima riunione del Consiglio superiore dei Beni culturali, l'organo tecnico-consultivo del ministero, il presidente e archeologo Andrea Carandini l'ha detto chiaro e tondo: "Se sia un bene o no avvalersi di questa società non è dato poterlo giudicare - si legge nel verbale, di cui L'Espresso ha preso visione - ma ciò che è preoccupante è che da Invitalia è uscito un documento di tipo programmatico allarmante, di una incompetenza e ingenuità tale che nel primo lotto si è immaginato che si possa fare la diagnostica di 1500 domus di Pompei in 4 mesi". Una grossolanità tutto sommato "giustificabile", visto che nell'organico della società per azioni non risultano esserci archeologi.
Sulla scrivania di Ornaghi, così, è finito un documento riservato, votato all'unanimità, in cui si esprimono "forti perplessità" verso l'intesa con Invitalia, con la richiesta di "riesaminare con grande attenzione la questione". L'obiettivo è di convincere il ministro, magari con l'intermediazione del sottosegretario Cecchi (che conserva la carica di segretario generale del ministero), a fare marcia indietro sull'accordo. Se ne parlerà nella prossima riunione del Consiglio superiore, prevista per giovedì 15. Ornaghi ha già assicurato la sua presenza. Forse lui per la ristrutturazione della suo appartamento sceglierebbe un architetto.