Lawler, le affinità fotografiche

La fotografa newyorchese crea veri e propri remix di opere di altri artisti. Scattando nei musei o nelle case dei collezionisti per poi valorizzare gli angoli, i dettagli e la potenza neo-concettuale che regola i movimenti delle opere d'arte quando lasciano l'atelier dell'artista

La fotografia sta all'arte quanto i lavori di Louise Lawler stanno al marketing dell'artwork. In poche parole: opere create dal mix di quadri o ritratti e disegni di altri artisti. Come fosse tutto un grande e irrazionale patchwork. "Non penso di essere esattamente una fotografa" ha dichiarato al New York Magazine l'artista americana nata a Bronxville nel 1947. Scattare foto ovunque, nei musei e nelle case dei collezionisti, questo è il punto di partenza per arrivare a firmare vere e proprie opere d'arte, che spesso stampa su fogli di vinile adesivi che si possono allungare e adattare alle pareti.

Immagini apparentemente rilassate che parlano a voce alta. Anzi urlano. Ne è una prova il solo-show "Fitting at Metro Pictures" recentemente tenutosi al Metro Picture di New York. Sfumature di lavori di altri artisti, dettagli che mettono in risalto riflessi e ombre, tanto da ri-editare totalmente gli originali. Quello che in musica si definirebbe un mash-up. Spesso in contrasto con la "pictures generation", artisti come Cindy Sherman o Sherrie Levine, la Lawler insegue la sua eclettica ricerca fotografica, utilizzando il più delle volte la fotocamera come fosse la matita per un illustratore. Un esempio lampante è il suo shooting per Yves Saint Laurent.

Con una attitudine lievemente beat generation carica, nelle sue sembianze velate e tranquille, di spirito di contestazione e senso di rivalsa. Un po' come quando nel 1979 presentò il film "A Movie Will Be Shown Without the Picture" all'Aero Theater di Santa Monica con soundtrack dei Misftis: un grande schermo rimasto ininterrottamente in bianco. Oppure nell'opera audio 'Birdcalls' (1972/2008) in cui trasformò nomi di famosi artisti di sesso maschile in un canto di uccelli, ripetendo ironicamente il nome di Artschwager, Beuys, Warhol e Ruscha, con l'intento di deridere le condizioni di privilegio e di riconoscimento che ricevevano artisti di sesso maschile in quel periodo.

Bottiglie, box, lampade, angoli, cornici, calendari, fiori e calciatori: è questa la sua idea postmoderna di utilizzare la fotografia, sostanzialmente un ritorno al gesto primitivo di scattare ovunque e in ogni momento cercando di far rientrare nello scatto due o più oggetti che tra loro, metafisicamente, avranno di sicuro una storia da raccontarsi.

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