A un quiz per maniaci di calcio pochissimi saprebbero rispondere alla domanda: qual è la squadra di calcio di Calama? E, più in generale, dove diavolo è Calama? Gianpaolo Pozzo, proprietario dell'Udinese, lo sa. A Calama, ci gioca il Cobreloa, club di prima divisione cilena fondato nel 1977.
Da Udine a Calama, nel deserto di Atacama, ci sono 6.961,8 chilometri di distanza. Eppure, cinque anni fa un emissario dei bianconeri friulani era a Calama per osservare un indio mapuche di 17 anni. Alexis Sánchez è stato comprato per poco più di un milione di euro. Oggi la sua valutazione si aggira intorno ai 40 milioni e i grandi club d'Europa si sono già prenotati per l'asta che terrà banco al prossimo calciomercato. Sánchez è l'ultimo di una serie di calciatori che Pozzo ha comprato a quattro soldi in giro per il mondo e rivenduto con moltiplicatori a due cifre.
A proposito di cifre, ne bastano due per spiegare il miracolo del Nord-est pallonaro. In una stagione molto buona, come quella appena conclusa con la qualificazione ai preliminari di Champions League, l'Udinese calcio ricava più o meno 7 milioni di euro dal botteghino, fra abbonati e paganti. E ne spende più di 13, cioè quasi il doppio, alla voce "costi specifici tecnici". Che sono le spese per le attività di scouting e osservazione dei calciatori e per le consulenze tecnico-sportive.
Su ogni proposta ci deve essere il placet della famiglia Pozzo che controlla il club attraverso la lussemburghese Gesapar. La società è gestita con criteri strettamente familiari. Il patriarca Gianpaolo opera soprattutto attraverso il figlio Gino, amministratore delegato della società, ma anche la figlia Magda è coinvolta. Giuliana Linda, la moglie di Gianpaolo, è nel consiglio di amministrazione della squadra e si occupa specificamente della onlus Udinese per la vita.
Con questa struttura da piccola impresa, l'Udinese ha confermato la vocazione nordestina ai commerci con l'estero. Solo che preferisce l'import all'export. Così è diventata la squadra italiana più famosa in Ghana, dove ha pescato Asamoah, Muntari e Badu. E se l'organizzazione non basta, è benvenuto anche il fattore C. "Il nostro Manuel Gerolin", racconta Franco Soldati, presidente della squadra friulana, "era a prendere il sole in spiaggia a Copacabana quando ha visto un ragazzo giocare scalzo una partita a cinque". Visto e portato in Italia. Era Felipe, allora quindicenne. Costato nulla, è stato rivenduto alla Fiorentina per quasi 10 milioni di euro.
Sono così bravi quelli dell'Udinese che, in un calcio drogato dalle plusvalenze, loro fanno le minusvalenze. Insomma, mentre i club si vendono fra loro brocchi a prezzi assurdi per turare i buchi di bilancio, i friulani fanno l'esatto opposto. Minimizzano. La cosa non è piaciuta all'incontentabile fisco italiano che ha accusato i Pozzo di abbassare i ricavi per abbattere le tasse e ha spiccato una cartella esattoriale da 32 milioni.
Il contenzioso con l'Agenzia delle Entrate si è chiuso l'anno scorso con una transazione da 4,4 milioni di euro. Denaro versato pronta cassa, com'è abitudine di una società che non è mai in ritardo con gli stipendi, e spesato nel bilancio in corso. Non è il primo problema fiscale dei Pozzo, bisogna dire. Alla fine degli anni Novanta, il club si serviva delle consociate spagnole di famiglia per pagare estero su estero gran parte degli ingaggi dei calciatori. Non è neppure l'ultimo problema fiscale. Poco dopo la firma dell'accordo sulle minusvalenze, è arrivato un altro Pvc (processo verbale di constatazione) per irregolarità fiscali negli anni dal 2001-2002 al 2008-2009. Se vogliamo, i battibecchi col fisco non sono una caratteristica specifica dei Pozzo. Anche la grande Udinese dei primi anni Ottanta, quando il predecessore di Pozzo, Lamberto Mazza, aveva comprato Zico, Virdis, Causio, Mauro, era finita in tribunale per tasse non pagate.
Ma a Udine dicono che stavolta è tutto in regola. Perciò nel 2010-2011, dopo un anno chiuso in perdita per 6,9 milioni di euro, la società prevede di andare in utile per 10-11 milioni , grazie ai guadagni previsti dal riscatto di Simone Pepe, passato alla Juventus, e Gaetano D'Agostino, girato alla Fiorentina. E il 2011-2012 sarà un anno ancora più ricco, visto che finiranno nella colonna dei ricavi decine di milioni incassati dalle prossime cessioni del cileno Sánchez e dello svizzero di origine turca Gokan Inler, comprato dallo Zurigo quattro anni fa per un tozzo di pane e finito anche lui nel mirino delle grandi.
Con tutti questi soldi, non solo i Pozzo sono in linea con le regole del fair play finanziario prescritto dall'Uefa, ma potrebbero costruire il nuovo stadio in autofinanziamento. Non lo faranno, chiaro. Non conviene. Ma il rifacimento del Friuli comporta un impegno complessivo da 30 milioni di euro, meno della valutazione del Niño Maravilla cresciuto nel deserto di Atacama. L'accordo con il Comune, proprietario dell'impianto, è cosa fatta. Il club provvederà alla ristrutturazione e, in cambio, avrà i diritti di superficie per cinquant'anni. Questo consentirà ai Pozzo di scegliersi l'impresa di costruzione senza passare per una gara. Le specifiche tecniche sono già state definite. Sarà eliminata la pista di atletica e il fossato anti-invasione. Le tribune saranno avvicinate al terreno di gioco e coperte.
Il progetto non prevede quei centri commerciali che molti ritengono un accompagnamento fondamentale per gli stadi di prossima generazione. In realtà, a Udine si sono accorti che di centri commerciali non c'è carenza. Il più vicino è a 200 metri dal Friuli e ce n'è un altro a un chilometro. Quindi, niente mall all'americana, ma ristoranti e un parco giochi per i bambini dei tifosi, come accade negli impianti tedeschi. Inutile dire che a Udine, come quasi ovunque in Italia, dello stadio nuovo si parla da anni. L'inizio lavori, che procederanno per lotti in modo da consentire lo svolgimento della stagione sportiva, era fissato per la prossima estate. La nuova previsione indica una data di massima fra il gennaio del 2012 e la fine del campionato.
Con lo stadio nuovo, l'Udinese diventerà l'epicentro economico della famiglia Pozzo. Il settore industriale del gruppo, che produceva frese, utensili di carpenteria e ventilatori, si è ridotto di dimensioni dopo la cessione delle principali aziende, in Friuli e in Catalogna, al gruppo tedesco Robert Bosch. Il passaggio si è concluso due anni fa per 106 milioni di euro, con la garanzia aggiuntiva del mantenimento dei livelli occupazionali per i circa 600 lavoratori. Un risultato non da poco per un settore, quello meccanico, colpito duramente dalla crisi. Una buona parte dei ricavi sono serviti a sistemare i conti con le banche. Ma i Pozzo hanno conservato un patrimonio immobiliare, inclusi i capannoni industriali, piuttosto consistente. E il legame lavorativo-sentimentale con la Catalogna non si è interrotto. Gianpaolo e Gino sono residenti a Barcellona e hanno mantenuto una partecipazione nella Talleres Casals di Ripoll, nella provincia di Girona.
Attualità
3 giugno, 2011Travolto dagli scandali e dai debiti, il mondo del pallone ora guarda al modello friulano: scouting in tutto il mondo per scoprire talenti, conti in ordine, nuovo stadio con parco giochi per bambini
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