Pretendono di scrivere le regole, da soli, al riparo da occhi indiscreti e, quel che è peggio, a tutela degli interessi di pochi e contro i diritti e le libertà dei più
Nelle scorse ore il Commissario Agcom Gianluigi Magri ha deciso di rinunciare all'incarico di relatore della delibera con la quale il prossimo sei luglio, l'Autorità Garante delle comunicazioni approverà lo schema del famigerato regolamento sull'enforcement dei diritti d'autore online.
Sin troppo evidente che la scelta del Commissario è stata determinata dalla volontà di non legare il suo nome all'adozione di regole destinate a cambiare per sempre il volto della Rete, trasformandola in una grande tv nella quale i soliti noti di sempre decideranno cosa "va in onda" e cosa deve essere censurato.
Una scelta coraggiosa che segue il "siluramento", operato qualche settimana fa da parte del Presidente Calabrò, del consigliere Nicola d'Angelo da relatore dello stesso provvedimento.
Anche in questo caso, all'origine del gesto forte ed inedito del Presidente dell'Autorità, la coraggiosa posizione di rottura assunta da D'Angelo in seno all'Autorità.
A leggere a ritroso quanto sta accadendo in Agcom negli ultimi giorni sembra proprio che, in Via Isonzo, almeno sul tema del diritto d'autore, non sia lecito dissentire e che chiunque manifesti posizioni diverse dalla linea comune dettata dall'industria televisiva e dell'audiovisivo, sia allontanato o costretto ad allontanarsi.
Pericolosi e goffi "gerarchi d'autore" si aggirano per l'Autorità imponendo ai più il pensiero e gli interessi di pochi.
È questo, probabilmente, uno degli aspetti più inquietanti di quanto sta accadendo in questa brutta vicenda italiana.
Pochi, anzi, pochissimi uomini, al di fuori di ogni regola di democrazia e, persino, di "cortesia istituzionale" (non si silura un Commissario dell'Autorità senza fornirgli neppure una spiegazione solo perché dissente dall'opinione del Presidente) stanno dettando le regole destinate a governare la circolazione in Rete di idee, informazione e creatività.
I "gerarchi d'autore", pure nominati dal Parlamento, vanno avanti per la loro strada - o più realisticamente per quella che l'industria ha chiesto loro di percorrere - nonostante l'Autorità perda i pezzi ed i politici di tutti gli schieramenti stiano manifestando in modo inequivoco la loro contrarietà alla delibera.
Solo nell'ultima settimana lo hanno fatto con straordinaria chiarezza il ministro della gioventù Giorgia Meloni, i senatori Vita e Giulietti, il deputato del Popolo della Libertà Roberto Cassinelli, il presidente della Camera Gianfranco Fini, l'Udc di Casini, l'Italia dei Valori con Antonio Di Pietro e SEL con Nichi Vendola cui devono agiungersi, in ordine sparso, deputati e senatori dell'intero emiciclo.
La politica - quella coraggiosa di chi ha avvertito l'esigenza di prendere posizione e quella ipocrita e vigliacca di chi ha preferito girarsi dall'altro lato e far finta di non sentire e non vedere - ha tolto ogni sostegno all'Autorità che, tuttavia - caso più unico che raro - questa volta, sembra intenzionata a dar prova di reale indipendenza, almeno dalla politica, ed andare avanti per la sua strada.
"Gerarchi d'autore", quelli che dall'inizio di questa brutta storia italiana pretendono di scrivere le regole, da soli, al riparo da occhi indiscreti e, quel che è peggio, a tutela degli interessi di pochi e contro i diritti e le libertà dei più.
È così sin dall'inizio ovvero da quando nel Paese del telecomando, in un Paese già flagellato da decenni di telepotere si è lasciato che l'allora viceministro Paolo Romani, uomo della Tv, dettasse da solo la nuova disciplina dei media ai tempi di Internet. Anche allora, il Parlamento e la politica furono semplici spettatori: nessun coinvolgimento della Camera o del Senato, poche - meno di quelle attuali - voci dichiaratamente contrarie tra i rappresentanti della politica e nessuna voce a favore dell'idea di trasformare internet in una grande Tv tanto cara al Ministro che lanciò "colpo grosso" e tanti altri falsi miti della Tv commerciale di un tempo.
È sconfortante pensare che in un Paese che ambisce a sentirsi moderno e democratico come il nostro, scelte politiche, nel senso più alto del termine, tanto importanti siano assunte in un direttorio d'altri tempi e nel nome degli interessi economici dei soliti noti.
La comunità globale che vive in Rete ha, ormai, superato i due miliardi di cittadini e quella italiana ha sfondato la soglia dei trenta milioni.
Possibile assistere impotenti ad una dittatura cultural-economica come quella che vogliono imporci i "gerarchi d'autore"?
Loro sono convinti che sia giusto correre il rischio di mettere a tacere un cittadino che utilizza il web per manifestare il proprio pensiero pur di garantire ai magnati americani che controllano le major dell'audiovisivo strumenti efficaci per ottenere la rimozione di ogni singolo bit sul quale insistano i loro diritti d'autore mentre io sono convinto - credo in buona compagnia - dell'esatto contrario.
Chi ha ragione e chi ha torto?
In un ordinamento democratico come il nostro il popolo è sovrano e, se si tratta di scrivere regole di convivenza, esercità la sua sovranità attraverso il Parlamento.
È chiedere troppo, chiedere all'Autorità di rispettare questa fondamentale regola democratica e di astenersi, quindi, dall'arrogarsi una decisione che non le compete?