Mondo
agosto, 2011

Che musica, la rivoluzione

Il cantautore egiziano Ramy Essam. Il rapper tunisino El General. Il menestrello siriano Ibrahim Quashoush. Ma anche i rockettari iraniani e i metallari del Bahrein. Sono loro che hanno creato le note cantate nelle piazze ribelli. E qualcuno ci ha già rimesso la vita

Una volta c'era Joan Baez, oggi c'è Ramy Essam. Chi è? Il cantautore egiziano che scritto il brano 'Irhal' ('Vattene') cantato in massa in piazza Tahir, al Cairo, durante le manifestazioni che hanno portato alle destituzione di Mubarak.

Ogni rivoluzione, riuscita o abortita che sia, ha le sue canzoni di protesta, i suoi inni, e quelle della primavera araba hanno portato con sé, oltre a Essam, anche altri artisti che nei loro Paesi sono diventati quasi degli eroi. In Tunisia il rapper El General, al secolo Hamada Ben Aoun, che durante i disordini è stato anche arrestato: qui il suo brano più celebre.

Sempre in Tunisia, anche la cantante folk rock Emel Mathlouthi è diventata una beniamina delle folle: 29 anni, vive a Parigi ma ha partecipato alle manifestazioni a Tunisi, dopo che si era trovata a cantare a Sfax il giorno del suicidio di Mohamed Bouazizi che aveva dato il via alle proteste. Capelli ricci neri e voce avvolgente, Emel rappresenta il contrario esatto di quello che vorrebbero gli estremisti islamici: veste all'occidentale – spesso scollata – e rivendica la modernità della sua musica, seppure intrisa di riferimenti acustici alla tradizione araba (qui un video).

In Siria, invece, è già considerato un eroe Ibrahim Quashoush, poco più di un menestrello ma autore del brano "Vattene Bashar" (dedicato ovviamente al presidente Bashar Assad, ucciso dalle forze di sicurezza durante i moti di piazza: questa la canzone che gli è costata la vita.

Forse la prossima rivoluzione non sarà "twittata" come quelle dei mesi scorsi, viste le contromisure che i despoti di tutto il mondo stanno prendendo per evitare che si ripetano eventi simili; di certo, nemmeno loro potranno impedire che essa venga "cantata", come è sempre stato da che mondo e mondo, anche se i nuovi eroi della canzone di protesta non si chiamano più Seeger, Baez, Dylan, ma hanno nomi esotici per e abitano in posti caldi come il Bahrain, la Cina, l'Egitto.

Luoghi dove la musica di derivazione occidentale è spesso osteggiata perché sinonimo di mollezza o considerata portatrice di valori contrari all'ortodossia religiosa e politica. Ma dove, malgrado questi ostacoli, la creatività fiorisce e si esprime in una miriade di forme che spaziano dall'hip hop arabo all'heavy metal, alla canzone tradizionale egiziana rivisitata secondo i canoni moderni.

Questo fermento artistico underground è diventato visibile grazie al sito MidEast Tunes.com, sottititolo: musica per il cambiamento sociale, ultimo progetto dell'"officina" di MidEast Youth.com, un network indipendente animato da un gruppo di giovani attivisti mediorientali di varia nazionalità ed estrazione.

MidEast Tunes vuole essere un hub, un punto di incontro e raccolta per far conoscere band di insospettate qualità: come i metallari del Bahrain Smouldering in Forgotten, la rock band iraniano-newyorkese Hypernova (nata a Teheran ma emigrata in America, qui un suo brano) o ancora Thee Project, un gruppo che mescola melodie persiane con suoni molto più sincopati e rock, incontrando ovviamente mille ostacoli da parte delle autorità teocratiche secondo le quali il rock è un'opera del demonio...

Ma la musica di protesta non è osteggiata soltanto dai regimi totalitari: nel civilissimo ed evoluto Occidente, in Gran Bretagna, è in corso un processo alla musica rap, additata, per i suoi testi crudi e aggressivi, fra le cause scatenanti la violenza dei tumulti che hanno messo nelle scorse settimane a ferro e fuoco Londra.

L'opinionista Paul Routledge, sul Daily Mirror, si è spinto fino a chiederne la messa al bando: «La colpa è della pericolosa cultura d'odio che circonda la musica rap, che esalta lo sprezzo dell'autorità, inneggia al materialismo più becero e alle droghe. È necessario cambiare il modo in cui questi ragazzi vedono il mondo intorno a loro», ha detto. Anche noi europei abbiamo i nostri ayatollah.

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