Tredici donne ammazzate. Quasi tutte prostitute. Sgozzate nelle notti di pioggia, con lo stesso rituale e la stessa firma. Incredibilmente, per anni, nessuno ha capito che si trattava di un serial killer. Ma ora il caso si riapre

C'è un serial killer di cui nessuno ha mai parlato. Un mistero italiano passato inosservato. Dopo il caso più famoso d'Italia, il mostro di Firenze, il killer delle coppiette che per un ventennio, dal 1968 a metà anni Ottanta, ha seminato il terrore - e di cui ora si sa tutto, nomi e dettagli precisi, su cui sono state scritte decine di libri e prodotta addirittura una serie tv - nessuno sa che a Udine, al confine orientale del piccolo Nord-est considerato per decenni un paradiso senza violenze, ha agito un altro mostro, che somiglia molto al celebre assassino toscano.

Un killer seriale, scientifico, mai scoperto dagli inquirenti che ha ucciso per quasi vent'anni senza ottenere eco sui giornali o in tv. Tredici omicidi che la polizia ha lasciato senza colpevole. Crimini che sono finiti ammassati dentro polverosi dossier e stivati nel ventre di qualche archivio puzzolente. Finché una scrittrice friulana, Elena Commessatti, ex allieva della scuola Holden di Torino, ha deciso di scartabellare in quella storia dimenticata. E andare ad aprire quel tomi e di incrociare dettagli e coicidenze che gli inquirenti avevano lasciato cadere nel vuoto. Ecco che all'improvviso la storia del crimine italiano ha un nuovo mostro.

A Udine, cittadina tranquilla appoggiata sotto i colli del Friuli, dal 1971 al 1989 sono state uccise 13 donne, Per la maggior parte erano prostitute. Donne unite quindi da un destino comune in vita ma anche nella morte. Perché l'unico dato certo finora era che, da un'indagine effettuata dal nucleo anatomopatologo dell'epoca, composto da Giorgio Vidoni e Carlo Moreschi, almeno quattro vittime di quei feroci omicidi hanno con certezza un'unica mano assassina.

l dossier risale al 1994, ma l'assassino dal 1989 aveva smesso di agire. Per questi quattro omicidi (Maria Bellone, 19 anni uccisa nel 1980, Luana Giamporcaro, 22 anni, uccisa nel 1983, Aurelia Januschewitz, 42 anni, morta nel 1985, Marina Lepre, 40 anni, morta nel 1989, e molto probabilmente anche la prima di questa lunga serie, Irene Belletti, uccisa nel 1971) le modalità sembrano essere le stesse. Un solo, macabro rituale per uccidere quattro donne ai margini della società: tutte sgozzate, sempre in una notte di pioggia, sempre durante il weekend e sempre riconoscibili da una macabra firma lasciata dall'assassino: un segno di lama sul ventre. Un taglio affilato, una specie di “S”, che per gli inquirenti all'epoca era stato il segno rivelatore di una mano esperta, ferma, capace di incidere la pelle. Forse addirittura la mano di un chirurgo esperto, magari in forza al vicino ospedale di Udine, o almeno la mano di un laureato in medicina.

Le prostitute non potevano parlare per omertà, i clienti per evidenti motivi di tutela dell'onorabilità e della serenità familiare, gli inquirenti avevano a che fare con il nebuloso mondo di prostituzione e tossicodipendenza.

«La domanda è: se soltanto una di queste vittime fosse stata la moglie o la figlia di un notaio, chissà, forse l'assassino l'avrebbero trovato?».Gianpaolo Tosel, che in quegli anni è stato a capo della Procura friulana, e al vertice delle indagini per i primi omicidi, commenta la serie degli assassinii (che poi con altre modalità arriverà fino al 2004, con l'ultima uccisa, Donatella Cordenons, e tralasciando Ramon Berloso, il killer della Balestra, responsabile della morte di due donne e morto suicida nel 2010, dopo l'arresto).

«Dal 1971 fino al 2004, sono stati commessi in Friuli 17 omicidi, anzi diciamo 16 più uno, perché uno lo escludiamo in quanto la vittima non era sicuramente una prostituta. Per questi delitti sono state effettuate 4 condanne, per cui possiamo parlare di un omicidio ogni due anni». Ne restano dunque tredici senza un colpevole. Tredici donne che potrebbero essere state uccise dalla stessa persona.

È da qui che Elena Commessatti ha deciso di partire: «La tesi che muove il mio libro è quella che ascolta dal profondo il respiro di una città, un respiro mai mutato da oggi fino agli anni Settanta. Udine è una location quasi sconosciuta per la narrativa italiana e in epoca di globalizzazione questa città di circa 100 mila abitanti e di poche vie dedite alla prostituzione - sempre quelle, del centro, immutate dagli anni Settanta- porta i segni evidenti del localismo conservatore, eppure qui non si è mai notato nulla di così fondamentale per le indagini. Che strano».

Ecco che dopo decenni forse oggi c'è una ricostruzione che può portare alla luce possibili approfondimenti e ipotizzare che la Procura possa riaprire le indagini. Le famiglie delle vittime hanno dovere di parola, oggi ancor più di prima, come Fedra Peruch, la figlia di Marina Lepre, uccisa quando la bambina aveva solo nove anni, e che chiede giustizia sulla madre. «Nel 1971 la macchina di Irene Belletti», spiega Elena Commessatti, «era coperta di impronte. Dove sono? Forse si possono riesaminare».

Poi c'è il Dna, ci sono le nuove tecniche investigative, ci sono i database, c'è la possibilità di arrivare a un profilo più certo del misterioso killer delle “S”. «La macchina investigativa dopo tanti anni potrebbe avere altre modalità di azione. Le piste sono sempre state molteplici; si è parlato di due serial killer: lo strangolatore e l'accoltellatore. Si sono seguite più piste, alcune portano fuori regione. Forse l'assassino è ancora vivo, forse non è friulano, e veniva in città solo durante i weekend. C'è poi in circolazione in mazzo di chiavi, appartenente a una delle donne assassinate o forse lasciate dall'assassino sulla scena del crimine. Che porta potrebbero aprire ora dopo tanti anni?».

Eppure allora non si fece molto. La psicosi del Mostro era sentita solo a Udine, e nel circondario, ma quelle morti misteriose e terribile non ebbero mai l'eco nazionale del mostro di Firenze. «Non ci si appartava volentieri con le fidanzate», diranno i testimoni di quegli anni faticosi, prova evidente che si pensava alle coppiette, più che al serial killer delle prostitute. E poi quelli erano gli anni di Piombo, e qui in Friuli c'erano le BR, la fronda friulana, era il periodo del sequestro Taliercio. C'è da domandarsi quale fosse il fenomeno sociologico sotto questo respiro invadente ed occulto di mostro omicida, a Udine come a Firenze: «In quel periodo, e ci stiamo riferendo al 14 settembre 1981, venne aggredita una coppia di ventenni, mentre verso le 23 erano in intimità in auto», continua Commessatti. Un atto casuale? Una vendetta per gelosia? Oppure l'ennesima traccia dimenticata di un mostro che ha ucciso in silenzio. E senza mai essere davvero cercato da nessuno. Un mostro che potrebbe essere ancora vivo.

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