«Lo sai cos'è un siluro?» chiede un veterano della Ferriera di Trieste. «È il carrello che raccoglie la ghisa. Ne ho trovato uno mangiato dal liquido incandescente, sparso tutto intorno. Mai vista una roba del genere. E se cedeva con un operaio vicino? Poi a ottobre ha preso fuoco un deposito del coke. Ah, ed è pure cascata la cabina di un macchinario con un collega dentro. Per fortuna stava lavorando a terra, non s'è fatto nulla». Ferriera: si sta come d'autunno sugli alberi le foglie, e qui tira la bora. È un caso Ilva un migliaio di chilometri più a nord di Taranto. L'impianto appartiene al Gruppo Lucchini, che ha superato il miliardo di debiti. E i creditori sono poco propensi a spendere più del dovuto per mantenere una fabbrica sul viale del tramonto. «Alcune voci ci vogliono chiusi da gennaio, altre da marzo. Chissà. Rischiamo di saltare anche prima: se succede qualche guaio che richiede grosse riparazioni, chi paga?».
Cinquecento dipendenti a spasso, altri 500 dell'indotto sull'orlo del baratro, in una provincia in cui la forza lavoro si ferma a quota 95mila. Non per tutti sarà un lutto. Le ciminiere della Ferriera fumano a poche decine di metri dalle case di Servola, un rione in cui ha sede anche lo stadio.
I 10mila residenti hanno imparato a convivere con la polvere nera che insozza ovunque, e nei giorni di vento si agita impazzita. La Ferriera sporca, puzza, inquina. Uccide? «Non esiste un'analisi epidemiologica diretta. Certo è lecito pensare che non faccia bene» ci spiega Roberto Cosolini (Pd), primo sindaco triestino ad aver militato nel Pc. Benzopirene, diossina e polveri sottili - sostanze associate a tumori e malattie respiratorie - sono l'incubo di Servola. Luigi Pastore, rappresentante sindacale in fabbrica, è un operaio che ha lottato come un leone per i colleghi. Dopo la diagnosi di un tumore maligno all'apparato respiratorio, ha preso carta e penna: «Viene da pensare alle condizioni in cui, tra gas e polveri, si garantiscono pane e dignità alla famiglia. Ma sorge anche l'amaro dubbio che chi poteva farlo non abbia saputo o voluto proteggerti abbastanza nel tuo lavoro».
«Mi dispiace essere così crudo: la Ferriera chiuderà, inutile illudersi» spiega il sindaco. «Dobbiamo pilotare lo spegnimento, evitare di subirlo». L'area su cui sorge la fabbrica è immensa, 60 mila metri quadri con tanto di banchina portuale. Il problema è l'inquinamento del suolo, che richiederebbe una bonifica dai costi astronomici. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha già fatto sapere che non sarà Roma a sostenerli.
Per i sindacati, se Lucchini dovesse fallire i lavoratori rischierebbero di perdere il diritto alla cassa integrazione. Un'angoscia ben nota ai 208 lavoratori della Sertubi, azienda che produce lavorati con la ghisa della Ferriera. I gestori della Jindal Saw hanno annunciato 148 esuberi, e dal 30 novembre scadranno gli ammortizzatori. Sindacati e istituzioni stanno combattendo con la multinazionale indiana perché chieda almeno la cig straordinaria e dia garanzie sul futuro dei 60 dipendenti "graziati". Dal 9 novembre due operai si sono trasferiti in un container in Piazza della Borsa e hanno iniziato uno sciopero della fame. Una sfida nel cuore del salotto cittadino, a un centinaio di metri dall'ingresso del Comune e dal lussuoso Caffè degli Specchi. Per cornice i palazzi della Trieste asburgica, all'interno una branda e una stufetta. «Siamo un po' stanchi, ma non abbiamo voglia di mangiare. Se dobbiamo fare la fame tanto vale che ci abituiamo» provano a scherzare Massimiliano De Simone, 44 anni, e Sergio Fior, 54. Dopo 14 giorni di digiuno hanno perso 11 chili. «Jindal è arrivata nel 2010, dopo aver studiato le carte e a crisi già in corso. Com'è possibile che si siano accorti all'improvviso di dover licenziare? Io mi ricordo l'amministratore delegato, in mensa ci faceva discorsi del genere "spaccheremo il mondo". Qualcuno gli ha creduto, ha fatto un figlio, acceso un mutuo. E ora?».
Poche ore dopo saliranno sul palco di Nichi Vendola, eretto a fianco del container. Dal 13 novembre si è unita allo sciopero anche Adriana Simonovich, artigiana di 48 anni, compagna di uno dei due operai. Problema locale? Per Stefano Borini (Fiom) assolutamente no. «Questa è una multinazionale che ritiene di non dover spiegazioni a nessuno. È logico: vedono come si comporta la Fiat e pensano che l'Italia sia terra di conquista».
Tic tac, tic tac. Nel ventre di Trieste ticchetta una bomba a tempo che in pochi vogliono ascoltare. La disoccupazione è contenuta (4,5% a fine 2011), ma le difese sembrano prossime a crollare. L'industria è a un passo dal requiem. Se cade la Ferriera cade l'indotto, e l'impoverimento di un migliaio di famiglie graverà sul commercio, già pesantemente in affanno. «Un disastro» riassume il sindaco Cosolini. Di chiusura della Ferriera si parla da 20 anni, «ma la città non ha costruito strategie per anticipare la crisi». Ora tocca pure sperare che non sia la fabbrica a scegliere il suo destino, accorciando l'agonia con qualche fuoco d'artificio. Di asburgico, da queste parti, sono rimasti solo i palazzi.