Prima c'era solo la pesca e la ricerca del petrolio. Ora, grazie a un regime fiscale speciale, l'estremo sud dell'Argentina è diventato l'Eldorado per aziende tecnologiche. E per lavoratori che, per andare fin lì, sono pagati come dei manager
La terra alla fine del mondo era un luogo di vento e di desolazione, di spazi infiniti e di natura arcigna, ultima spiaggia di avventurieri finiti male, persone in fuga da qualcosa, amanti degli eccessi o di gente che, semplicemente, non aveva altro posto dove stare. Era il luogo dove la sopravvivenza si doveva alla pesca e dove la speranza era racchiusa nella possibilità che si trovasse petrolio nel sottosuolo. Era.
Oggi la statale numero 3 della Terra del Fuoco che da Ushuaia, la città-porto più australe del pianeta, porta fino a Rio Grande, è un andirivieni continuo di tir e auto di grossa cilindrata per un traffico inedito lungo i 250 chilometri di panorama assolutamente incontaminato.
I camion portano il materiale arrivato dalla Cina e dagli altri Stati d'Oriente fino alle fabbriche del "polo tecnologico" che sono sorte come funghi negli ultimi due anni a segnare uno sviluppo prodigioso e clamoroso per l'area più lontana dal potere e dai mercati. Alla faccia della politica del chilometro zero, qui si assemblano i prodotti di marche familiari ovunque, Motorola, Samsung, Nokia, Hewlett Packard, Blackberry, Philips, Panasonic, Kodak. L'industria va dove trova vantaggi e la svolta sta in una legge argentina del novembre 2009 che riconosce alla regione un regime fiscale speciale, niente tasse per l'import-export, Iva agevolata e di circa il 40 per cento più bassa di quanto si paga nel resto del Paese. Sono questi indubbi privilegi il riconoscimento per chi decide di scommettere in un'area inospitale e che poteva sembrare inadatta all'uomo, col vento che soffia perennemente tra i 50 e i 90 chilometri all'ora, le temperature raramente superano i dieci gradi d'estate e d'inverno stanno perennemente sotto lo zero.
Non è un caso se l'idea di promuovere il vero Sud del mondo è maturata sotto la presidenza di Cristina Fernandez Kirchner che nella Patagonia poco più a nord, assieme al marito defunto, aveva avviato un proficuo business nel settore del turismo. I risultati sono arrivati in un battibaleno. Dodicimila posti di lavoro contro i 2 mila del 2008, 8 milioni e mezzo di prodotti tecnologici fabbricati contro i 400 mila del 2009 e i 5 milioni del 2010 e la Kodak che ha già annunciato, ad esempio, che quest'anno produrrà qui 288 mila macchine fotografiche digitali. Un'euforia contagiosa da Nuova Frontiera o da ultimo Eldorado che ha stravolto i connotati di Rio Grande, una cittadina di poco più di 50 mila abitanti.
Attratti dalle chances offerte dall'industria in espansione, hanno cominciato il loro personale esodo di 5 mila chilometri disperati senza lavoro delle regioni del nord dell'Argentina, Formosa, Jujuy, Salta per arrivare laddove Magellano approdò nel 1520 e dove, nei cinque secoli successivi, si erano insediati stabilmente sono comunità di pescatori e fuorilegge che avevano il solo scopo di essere dimenticati. Sono spinti dal loro personale disagio e da stipendi che, a Buenos Aires, sono riconosciuti solo ai dirigenti d'impresa se un operaio non specializzato finisce per guadagnare anche il corrispettivo di 3 mila euro e un impiegato della dogana ritira ogni mese 40 mila pesos (circa 8.500 euro). Appena possono si comprano un'automobile, il vero status symbol, possibilmente di grossa cilindrata (Audi, Volvo, Mercedes, in alcuni casi anche Porsche e Ferrari) e le concessionarie fanno affari d'oro. Nel tempo libero corrono come pazzi alimentando il fenomeno, prima pressoché sconosciuto per mancanza di traffico, degli incidenti stradali. Cambiano macchina ogni sei mesi e rivendono l'usato in altre zone del Continente alle stesso prezzo dell'acquisto visto che qui non si paga l'Iva.
Alcuni si sono portati appresso la famiglia, donne che sono riuscite a loro volta a trovare un impiego o che stanno nelle case edificate in fretta e furia per il boom edilizio che accompagna quello industriale. In molti sono scesi da soli e foraggiano, col denaro guadagnato, quel mercato parallelo di cocaina, Casinò e bordelli, cioè il corollario consueto dell'uomo di frontiera. Oltre alle prostitute, anche altre donne sole sono arrivate. Sono domenicane e colombiane che hanno il solo scopo di trovare marito e trascorrere una vita economicamente serena anche al prezzo di condizioni atmosferiche estreme. E infine ci sono quelli che un lavoro non ce l'hanno ancora, stanno in lista d'attesa della loro opportunità, vivono di espedienti e popolano fatiscenti baraccopoli innalzate in modo disordinato alla periferia della città. Rio Grande sta nel mezzo della pampa, non ci sono montagne che possano riparare e, per abitudine, gli anziani camminano piegati in avanti anche nei rarissimi giorni in cui il vento concede una tregua. Così che il perimetro della città finisce per essere una sorta di fortino, o di prigione, brutto e senz'anima, dal quale non si esce mai. E dove l'ossessione non è altro se non quella dell'accumulo di denaro, come chiosa un italiano che ha aperto un negozio dove è capace di riparare praticamente di tutto: "L'importante è fare soldi. Il resto è relativo".
Dopo due anni di corsa affannosa e di indubbi successi serpeggiano però i primi dubbi. È vera gloria, o il tutto è destinato a finire così come è cominciato? La domanda è legittima se, come hanno fatto notare alcuni economisti, nel polo tecnologico della Terra del Fuoco si montano soltanto pezzi fabbricati in Oriente e non c'è una vera produzione.
Il vicegovernatore Roberto Crocianelli risponde con le cifre: "Intanto abbiamo praticamente raggiunto l'obiettivo della piena occupazione dei nostri giovani. E comunque non si riesce a industrializzare un'area dalla sera alla mattina". E il responsabile dello sviluppo industriale Fabio Delamata: "Abbiamo anche progetti che riguardano i processi produttivi. In ogni caso, salvo i cellulari, tutti gli altri beni hanno il marchio "fabbricato nella Terra del Fuoco"". Sulla stessa linea anche il segretario generale dell'Unione dei lavoratori metallurgici Oscar Martinez: "Adesso facciamo dentro il Paese prodotti che prima eravamo costretti ad importare. E noi difendiamo questa politica industriale perché ci sembra corretta". Dopo aver mangiato solo vento e pesce, la Terra del Fuoco ha scoperto di poter avere la tavola imbandita di ogni ben di Dio. E non ci vuole più rinunciare.