Ovunque, ma non nel mio giardino: è la famosa sindrome del Nimby, che non abbiamo certo inventata noi (l'acronimo infatti è inglese: Not In My BackYard), ma che in Italia pare sia particolarmente diffusa.
Secondo i dati dell'Osservatorio Nimby Forum, che da otto anni analizza l'opposizione alle opere pubbliche in Italia e che ha appena pubblicato il suo ultimo rapporto, nel 2011 sono 163 i nuovi insediamenti industriali e le opere di pubblica utilità che si sono aggiunti all'elenco delle opere già contestate nel 2010, per un totale di 311. «Il fenomeno Nimby ha attecchito ovunque», dice Alessandro Beulcke, presidente dell'Aris, che pubblica il rapporto Nimby Forum: «Di questi impianti e progetti circa la metà sono fermi da anni. Sono opere che tra contestazioni, corsi e ricorsi, pronunciamenti e contropronunciamenti, restano al palo e rappresentano una delle cause che ci relegano al fondo delle classifiche internazionali, con miliardi di euro di investimenti bloccati».
Ma accanto al Nimby si è ormai celebrata la nascita della sindrome Nimto ('Not In My Term of Office', ovvero non durante il mio mandato), che colpisce gli amministratori pubblici che approvano o bocciano o sospendono progetti con l'unica condizione che la futura gatta da pelare arrivi alla fine del loro mandato, e che a fare i conti con l'opinione pubblica sia qualcun altro. Il risultato è spesso uno schizofrenico contrapporsi di amministrazioni locali e nazionali: infatti la classifica 2011 dei più tenaci oppositori a insediamenti e nuove infrastrutture vede in testa non più i comitati o le associazioni di cittadini, ma soggetti politici locali (26,7 per cento) e comuni (19,7 per cento).
Tra gli indicatori che meglio descrivono l'attuale situazione italiana, c'è per esempio la classifica della Banca Mondiale che ci situa al 96° posto nella categoria "Dealing with construction permits", che valuta la complessità e i tempi necessari per ottenere permessi di costruzione nel nostro paese (l'Italia è anche schierata all'87° posto nella categoria "Easy of doing business", come dire che fare affari da noi, per uno straniero, è più difficile che in Mongolia, Zambia, Ghana e in altri 83 paesi). Anche il World Economic Forum non è stato più generoso: nel suo Global Competitiveness Report 2011-2012 () ci mette addirittura al 79° posto, quanto a qualità delle infrastrutture. Eppure, costruirne di nuove in Italia è quasi impossibile.
Le contestazioni sono in continuo aumento (+3,4 per cento) e - caso interessante - oltre la metà sono suscitate da progetti non ancora autorizzati. I cittadini e gli enti locali insomma insorgono e si mobilitano anche di fronte a semplici ipotesi, ma pure, con bipartisan spirito di compensazione, a molti anni di distanza dall'inizio della concertazione.
La questione, per peso specifico, riguarda soprattutto opere del comparto elettrico (il più contestato con il 62,5 per cento), seguite dallo smaltimento dei rifiuti (31,4 per cento) mentre molto più in là ci sono le presunte grandi opere come il Tav o il Ponte sullo Stretto (4,8 per cento delle contestazioni).
Il settore dell'energia è del resto quello capace di suscitare in Italia le maggiori opposizioni: centrali a biomasse, idroelettriche e termoelettriche ma anche elettrodotti, rigassificatori e impianti eolici, senza particolare differenza tra fonti energetiche tradizionali o rinnovabili. Anzi con una sì, in controtendenza: gli impianti da fonti rinnovabili rappresentano addirittura l'88 per cento di quelli contestati nel settore elettrico. Sono proprio le centrali solari, eoliche, a biomasse a suscitare le maggiori preoccupazioni degli italiani, che si tratti di salvaguardare il paesaggio, l'ambiente o la qualità della vita, e questo malgrado le rinnovabili godano di un diffuso consenso presso l'opinione pubblica. «In Francia si riescono a costruire centrali nucleari con il consenso della popolazione, come per esempio a Penly, mentre in Italia un progetto semplice come la riconversione di una centrale termoelettrica in una a biomasse, quindi in un impianto che funziona con fonti rinnovabili, può rimanere fermo undici anni come sta accadendo alla centrale di Mercure, nel Pollino», dice Gianluca Comin, responsabile delle relazioni esterne di Enel, che è ovviamente parte in causa non neutrale.
Dice ancora Coin: «Internet e i social network hanno cambiato le regole del gioco: possiamo dire che siamo ormai nell'era delle contestazioni 2.0. A questo proposito, Enel sta vivendo un caso significativo: il progetto per la costruzione di una diga nel sud del Cile, che dovrebbe dare al paese il 35 per cento dell'energia d cui ha bisogno, prevede il trasferimento di tredici famiglie che vivono nell'area interessata dai lavori. Dopo una breve concertazione queste persone avevano accettato di spostarsi non molto distante, ma il loro oggi si è trasformato in un caso internazionale per l'interessamento di un cittadino americano, che facendo ampio uso dei social network ha coinvolto fondazioni e associazioni americane che si sono apertamente schierate contro il progetto. Oggi Twitter, Facebook e Youtube rendono globale anche la più piccola contestazione. Così gli interessi rimangono locali, ma le aziende si trovano ad affrontare opposizioni di dimensioni internazionali».