Il Salone di Torino è servito a sfatare il tabù dell'e-book visto come 'nemico'. Al contrario, si è capito che l'era digitale apre nuove prospettive

Il libro non ha più paura dei bit

La tempesta è perfetta, come annunciava in apertura di Salone l'Aie, l'Associazione editori, nell'aggiornare le pessime cifre sullo stato dell'editoria in Italia. Ma da Torino l'editoria torna a casa con uno spirito più ottimista di quando è entrato.

Saranno le folle in fila per ascoltare gli scrittori, a rianimare lo spirito. I numeri di visitatori in crescita rispetto all'anno scorso: quasi più 5 per cento, che di questi tempi basta e avanza a dare il segno di vitalità.

Saranno le vendite, buone ovunque, che rimuovono i dubbi di chi ha investito in costosissimi stand. E i laboratori gremiti dei piccolissimi. I giovani a occupare le sale con largo anticipo, come a un concerto, per non perdersi nulla di un incontro. Persino l'abbondanza di ministri venuti in pochi giorni a presenziare, a fare ben sperare: il libro è vivo. Il desiderio di qualità è forte. Lettori forti crescono tra i più giovani.

Quanto al grande rivale, l'e-book, il tabù è rimosso. E il faccia a faccia ha svelato un nemico meno insidioso del previsto: se persino negli Usa i lettori di libri elettronici sono ancora due su dieci, e in fenomeno coinvolge in Italia cifre veramente esigue, c'è tempo per preoccuparsi che l'editoria elettronica faccia piazza pulita di tutto il resto.

Al momento, le prove tecniche di integrazione hanno dato segnali buoni. E una cosa è certa: carta, o tablet, la chiave per rianimare il settore è duplice: costi contenuti (e i nuovi lettori di libri elettronici vanno in questa direzione), cataloghi ricchi e intelligenti.

Un po', in fondo, la ricetta di case editrici come Newton & Compton, trionfatori delle classifiche con storie avvincenti, a meno di 10 euro: uno tsunami ben più travolgente degli e-book, concordano gli altri editori. «Segnale di un'intraprendenza commerciale che non si può ignorare», commenta Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza e promotore, con un'altra decina di editori indipendenti, del marchio Beat.

I primi ad insinuare apertamente il dubbio che il settore avesse altre urgenze, rispetto al digitale: un mercato dove solo il 45,6 per cento della popolazione legge libri (rispetto al 78 negli Stati Uniti, il 62 per cento in Spagna, il 72 in Francia); una produzione mensile di novità a meno 28,8 per cento tra marzo 2011 e febbraio 2012; bestseller che vendono un quarto di quanto vendevano solo quattro anni fa. Fattori che non mutano, e anzi si accentuano negli anni recenti.

Mentre si ingrossano le sfide: tra selfpublishing, la pubblicazione senza intermediazione e scouting editoriale, e pirateria digitale, che cresce di pari passo all'aumento di e-book; tra (giusto) prezzo del libro, sempre al centro dei dibattiti, e il modo in cui dovranno riorganizzarsi le librerie per rispondere alla presenza online di agguerriti bookstore che non chiudono mai.

Ma a Torino, più che soluzioni definitive, c'era altro da verificare, e rigenerare: la passione e le emozioni, l'entusiasmo della condivisione, la richiesta di impegno civile e il bisogno di memoria, il desiderio di storie in cui riconoscersi; l'urgenza di parole a cui affidarsi. Circoli di lettori, social network della lettura, club del libro, star della letteratura e singoli appassionati, giunti da tutta Italia, l'hanno realizzato. Ossigeno per il morale di tutti.

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