Annuncio piccolo piccolo, letto tra le proiezioni del mercato: "Giovedì 17 ore 15.30, Cannes Market. "The Lookout - Le Guetteur", 88 minuti, produzione Francia, cast: Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Violante Placido e Luca Argentero. Regia: Michele Placido". Sebbene i giornalisti non siano molto graditi alle proiezioni del marché, ci sono eccezioni e uscieri più gentili di altri che apprezzano di noi la dedizione, l'attesa, la resistenza eroica alla fila e si lasciano commuovere. Così si è testimoni di una medio alta produzione francese che inizia con una scena di azione e pallottole dal piglio forte e classico, continua con quelle luci livide e chiaroscurate già viste in "Vallanzasca" e quel bel ritmo di racconto e di uomini scolpiti (qui galliche super star come Auteuil poliziotto e Kassovitz bandito) già visti in "Romanzo criminale". Ci hanno rubato Michele Placido e ce ne siamo accorti a Cannes.
Dove di fatto bisogna tristemente notare che la presenza italiana è ridotta all'osso: due omaggi ai maestri Bernardo Bertolucci e Dario Argento; nessuna opera prima; nessun cortometraggio; nessun documentario e tutto il peso del futuro del nostro cinema sulle spalle del povero Matteo Garrone a cui la stampa straniera non fa che chiedere se si è ispirato a Fellini oppure a Pasolini. Perché nel mezzo non c'è niente per loro, tranne la confusione che dimostra un collega anglofono quando ci domanda se "Reality" è stato girato negli stessi posti di "Accattone". E noi a rispondere sconfortati: attento a quel che scrivi, uno è Napoli e l'altro Roma.
E poi arriva anche la notizia dell'illustre regista-attore emigrato Oltralpe. È arrivato a Cannes in gran segreto per incontrare altri produttori francesi, un'attrice (Bérénice Bejo, madrina del Festival) che vorrebbe come prossima protagonista allo scopo di chiudere un altro film, questa volta tutto suo, dalla sceneggiatura alla regia. Il soggetto invece è quello di un thriller sentimentale tratto da un testo di Pirandello "L'innesto": è a buon punto, si capisce dall'umore. Eccolo Placido, di nome e di fatto, nella hall dell'Hotel Martinez, in una mattina fredda e piovosa, vestito di un molto elegante e autunnale completo con sinfonia di grigi che giustifica dicendo: "Che vuole, oggi è il mio compleanno".
Auguri Michele Placido. Festeggia qui? E cosa festeggia: l'happy birthday o l'espatrio?
"Ma quale espatrio. Sono andato a lavorare là dove mi hanno chiamato. I francesi hanno visto "Romanzo Criminale". Hanno visto "Vallanzasca" e mi hanno chiesto se volevo dirigere una gangster story. Ottimo cast, buona produzione e ora si lavora per le vendite internazionali. Quello che è faticoso in Italia, qui diventa semplice".
Cosa è faticoso da noi?
"Fare un film di genere. Faticosissimo. Si producono solo commedie o film d'autore. In mezzo niente. Ma autori si può essere con qualunque film. Non ci si sveglia una mattina e si dice: oggi faccio un film d'Autore. Con la A maiuscola. Pensi a Hitchcock".
O a Clint Eastwood. Le somiglia di più. Anche lui nasce attore, diventa regista di film di genere prima di diventare Grande Autore.
"Grazie, non esageriamo. Comunque con le dovute proporzioni, è vero, il processo è questo. E la Francia lo mette in atto per valorizzare i registi. Sa quanti amici e colleghi italiani frustrati in patria sono pronti a sbarcare qui?".
Per esempio?
"Gianni Amelio. "Il primo uomo", suo ultimo film ne è la prova. Ma anche Marco Risi mi dice che guarda alla Francia come a una speranza. L'Italia è malata. è afasica. è incapace di raccontare le sue storie. Eppure ce ne sarebbero tante. Negli ultimi dieci anni son successe cose straordinarie ma non siamo stati in grado di metterle in scena".
Straordinarie, ha detto?
"In senso drammaturgico, s'intende. Storie terribili che potebbero diventare film potenti. Nessuno lo fa o riesce a farlo. Si fanno film su Pinelli o Piazza Fontana perché non ci sono colpevoli, ma non film dove i colpevoli invece ci sono e sappiamo anche individuarli".
Faccia un esempio, però. Un titolo con regia e soggetto di Michele Placido.
"Subito farei un film su Mani Pulite. Ambientazione 1991-1993. Lì ci potrebbe essere tutto. L'origine della crisi, la dissoluzione del Paese, l'inizio della fine della cultura politica, la corruzione e la finanza, la frattura fra giustizia e politica che è frattura profonda della nostra democrazia. è una storia che ci racconta quel che siamo oggi, non quel che è accaduto ieri. E partirei dal trio di magistrati D'Ambrosio, Di Pietro, Colombo intrecciando le loro vite e il loro lavoro. Uomini veri, volti, fatti, storie, suspense. Perché sia cinema popolare come deve essere. Perché sia visto da un pubblico più ampio possibile. Ma pensa che me lo farebbero fare?".
Immagino che la risposta sia: "No".
"Appunto. Si fanno film sulla storia passata purché non disturbi più nessuno. Ma ci manca il coraggio, non sfidiamo il potere e ci accontentiamo di vivacchiare con storie lontane dalla realtà o commediacce. Ma un film sul bunga bunga tra dramma e commedia dove si dimostri che la depravazione non sta in quel che si fa nel proprio privato, ma nella trasformazione del privato in pubblico nominando ministri le veline, quello le assicuro che non trova produttore in terra patria".
E se ci provasse quale sarebbe la reazione di un produttore pubblico? Per esempio la Rai...
"Con tono interessato e contrito: "Mi dispiace è un progetto interessante, ma per quest'anno non ci sono soldi. Proviamo più in là". Così non c'è neanche censura. C'est la crise. Ma in Francia nonostante la crisi in questo momento ci sono 70 film in lavorazione e in Italia solo tre o quattro. Perché alla crisi si risponde con una strategia che da noi non è mai stata neanche pensata. Tranne quella che negli ultimi anni ha privilegiato la tv al cinema. Gli attori sono più pagati per gli sceneggiati che per i film e il malcontento dell'industria dello spettacolo viene tenuto a bada con prodotti televisivi. Così il lavoro gira, ma non gira la cultura, la ricerca, la sperimentazione. E poi si chiede perché qui in questo, che è il Festival più importante del mondo, non c'è un'opera prima o un corto di un giovane italiano?".
Comunque è una domanda legittima. Ci saranno pure giovani bravi in Italia.
"Disoccupati. Le racconto una storia. Come produttore propongo a Rai-Cinema un progetto di film. Regia di quello che credo sia il più bravo tra i giovani registi teatrali in Italia: Valerio Binasco. Titolo: "Prima di andar via". Ed è la cronaca della notte di discussione tra due genitori e il loro figlio. Impianto teatrale. Budget bassissimo, appena 500 mila euro. Bene, è stato rifiutato. Troppo negativo, mi hanno detto. Aveva ragione Enzo Jannacci: "Il nostro piangere fa male al re, fa male al sindaco e al cardinale, ci restan male se noi piangiam". E dunque, via con le commedie. Ma il peggio è che non si reagisce".
Ma lei non fa parte dei Cento Autori? Non è un'associazione nata proprio per reagire a questo sistema cinema che lei descrive?
"Voglio dimenticare che quando il ministro Brunetta mi attaccò per "Vallanzasca" dicendo che avevo fatto l'apologia di un criminale e quando gli fece eco la Lega dicendo con toni ancor più deliranti che era un film di sinistra fatto apposta per denigrare il Nord. Persone come Purgatori, Rulli, Petraglia mi difesero a Venezia. Ma guardiamo cosa sta accadendo in Friuli: l'assessore alle Attività produttive Alessandra Seganti ha tagliato con arroganza i fondi ai film di Bellocchio e di Tornatore, fondi assegnati precedentemente dalla Film Commission Friuli Venezia Giulia. In questo caso, per esempio, una nota di protesta non basta, si deve occupare il ministero, per far capire che il Cinema non è solo cultura ma industria che dà lavoro a tanti giovani (e non), promuove il territorio e crea un enorme indotto. Finanziassero meno sagre di polenta e osei! Questa è ignoranza".
Capito. Michele Placido, confessi ha ormai messo su casa in Francia?
"No. Ho solo affittato un appartamento piccolo piccolo a Parigi. Non vi liberate ancora di me".