
Main Street è sì un indirizzo fisico ma è soprattutto un indirizzo virtuale che negli americani suscita emozioni. Fa pensare a piccoli centri in aperta campagna dove l'unico punto d'incontro della comunità locale è la strada principale. Main Street appunto. Mentre le aree residenziali sono estese e disperse, il centro commerciale è compatto lungo Main Street. Qui non manca mai una taverna dall'inconfondibile nome irlandese. C'è sempre una chiesa protestante con la sua caratteristica struttura in legno e i due immancabili campanili asimmetrici. Si può sempre contare su un coffee-shop dove gli avventori sono riconosciuti a vista e chiamati per nome. E poi c'è il benzinaio che comprende sempre un emporio per i generi di prima necessità e il ferramenta che fa anche da casalinghi. Insomma, Main Street come centro dell'essenziale in una vasta America per molti versi ancora rurale.
È l'esatto contrario di Wall Street, un indirizzo diventato simbolo dell'America urbana dei privilegiati, spietata, arrogante e assetata di denaro. Wall Street come sinonimo della ricchezza effimera che esiste solo in rapidissime transazioni computerizzate, Wall Street come fulcro di un villaggio globale e virtuale, Main Street come fulcro di un villaggio compatto e reale. Due Americhe a confronto, due culture che si scontrano, due realtà sociali, politiche ed economiche che non hanno nulla a che vedere l'una con l'altra. A Wall Street l' "one percent", quell'1 per cento agli apici della piramide economica, come gridavano gli indignati. A Main Street il 99 per cento degli "altri", le masse.
Main Street come simbolo dell'America vera esiste da un secolo e più. Già nel 1921 lo scrittore Sinclair Lewis fu insignito del Nobel per la letteratura con "Main Street", una graffiante satira della vita di provincia americana che scatenò la rabbia di coloro che in Main Street credevano ciecamente. Scrisse Lewis: «Ci sono centinaia di migliaia di persone che si accontentano di vivere in un piccolo paese. I giovani più intelligenti scappano nelle grandi città e lì stanno, ritornando raramente perfino in occasione dei giorni di festa. La ragione è perché prendono le distanze da un luogo di appiattimento senza immaginazione, da una lentezza di pensiero e di linguaggio, da una rigida severità guidata solo dal desiderio di apparire rispettabili. È come se avessero la proibizione di essere felici, come se vivessero una schiavitù autoimposta. È come se avessero innalzato la noia a livello di Dio».
Main Street è stata immortalata anche sul grande schermo. Non soltanto il romanzo di Sinclair divenne un film nel 1923 ma molti anni dopo, nel 2010, il premio Pulitzer Horton Foote scrisse la sceneggiatura di un altro "Main Street". Ambientato in un paesino del North Carolina era la storia di un forestiero che cerca di salvare il cuore moribondo del paesino trovandosi contro la popolazione.
Ora è un italiano a raccontare Main Street. Piero Ribelli, un fotografo bresciano a New York da venticinque anni, ha appena ultimato un volume fotografico intitolato "50 Main Street". Sono cinquanta storie di persone che abitano tutte allo stesso indirizzo, 50 Main Street appunto, una storia per ognuno degli Stati Usa. Storie raccontate attraverso foto e testi. «Questo libro celebra quello che gli americani hanno in comune, anziché quello che li divide», spiega Ribelli che ha impiegato otto anni per realizzare questo progetto. Era il 2004, l'inizio del secondo mandato Bush. Erano anni difficili per gli Stati Uniti lacerati fra liberal e conservatori, fra democratici e repubblicani, fra pacifisti e guerrafondai. A Ribelli venne la curiosità di intraprendere un lungo viaggio negli Usa nel tentativo di capire il suo paese adottivo. Quasi 45 mila chilometri in aereo, più di 20 mila in auto, parecchie ore in treno e alcune anche in traghetto. Il risultato è un volume di 320 pagine che la casa editrice Cameron & Co. ha pubblicato in un giorno simbolico, il 4 luglio festa dell'Indipendenza. Come per sottolineare che Main Street cattura l'essenza di questo paese.
«Le persone che ho incontrato a Main Street mi hanno affascinato perché sono di una semplicità che ti tocca dentro», racconta Ribelli che era partito, prevenuto, pensando che avrebbe trovato americani di nessun interesse. «E invece ho conosciuto gente piena di umanità che spesso mi ha fatto vivere esperienze straordinarie».
C'è l'ex marine che Ribelli incontra al 50 di Main Street nella cittadina californiana di Ventura. È qui che George Sylva ha una palestra dove insegna pugilato. Ma i suoi studenti non sono ragazzi qualunque. Sono sbandati che appartengono a gang locali. Attraverso il pugilato trovano un modo di scaricare la loro rabbia e prendere le distanze dalle gang. Un primo passo importante verso il recupero sociale.
C'è Janice Sheffield che al 50 main di High Springs, in Florida, ha un negozio di ferramenta. Una bottega moderna ed efficiente dove il rapporto con la clientela però è roba da altri tempi. Lì esiste ancora "il libretto", altro che carte di credito! La Sheffield si fida. Segna sul libretto e a fine mese il cliente viene a saldare. Ma mentre lei fa un credito casalingo che si basa sulla fiducia, l'America si sfalda per il modo irresponsabile con cui le banche hanno concesso crediti.
In Utah, al 50 Main Street di Moab c'è l'agenzia immobiliare di Kevin Fitzgerald. Sì, perché su Main Street le agenzie immobiliari sono diventate onnipresenti. Fitzgerald, un mormone come la maggior parte degli abitanti dello Utah, è un immobiliarista durante le ore di lavoro e un entusiasta montanaro il resto del tempo. Cresciuto come figlio unico, ha trovato dei "fratelli" fra i suoi coetanei nella tribù Navajo della zona. Si è avvicinato così alla cultura degli indiani d'America ed è in questo spirito che si avventura su per i sentieri e le rocce di Arches National Park. Ci porta Ribelli con la sua macchina fotografica raccontando di credere in "the Great Mystery", cioè i due misteri più profondi che guidano la spiritualità Navajo, la Terra e la Vita.
C'è poi la coppia al numero 50 di Main Street a Paradise Valley, 65 abitanti, nel Nevada. Lynn e la moglie aprono la porta a Ribelli. Fanno dormire a casa loro questo sconosciuto dall'accento straniero. Uno spontaneo gesto di ospitalità in un paesino dove il motel più vicino è a 70 chilometri. E il fotografo immortala la generosità di questa coppia riproponendoli in chiave American Gothic, il celebre ritratto di un'austera coppia con forcone dipinto nel 1930 da Grant Wood. Conclude Ribelli: «Queste persone sono una finestra sull'anima di Main Street di cui tanto si parla ma alla quale raramente viene dato un volto. Benché le loro esistenze siano fatte di piccole cose che separatamente sembrano umili e ordinarie, prese nell'insieme sono un collage di momenti eccezionali». Il vero volto dell'America nel 2012.