Il dubbio non viene solo ai Vip pieni di soldi, tipo Mel Gibson Balotelli, Eddie Murphie e Justin Bieber. Il dubbio viene a molti, magari dopo una crisi di coppia: «Ma questo è mio figlio?».
La risposta è - sempre di più - il test di paternità, un esame del Dna che sta registrando il boom, specialmente in Internet, dove decine di studi promettono di chiarire ogni dubbio per cifre che vanno dai cento ai 200 euro, con invio a casa del kit di prelievo e rispedizione allo studio della busta con il campione da esaminare.
Quanto ai risultati, ecco l'amara verità: un uomo su tre scopre di non essere il padre biologico del figlio o della figlia che porta il suo cognome.
«Il test cosiddetto 'fai da te' e ha uno scopo solo informativo, insomma non vale in tribunale», dice Maura Menaglia, biologa del Laboratorio Genoma di Roma.
«La procedura è molto semplice: basta un capello strappato col bulbo o un chewingum masticato, purché sia del tipo senza zucchero. In caso di figli grandi, funziona anche un mozzicone di sigaretta. Si invia in busta chiusa e dopo cinque giorni si può avere il risultato, in casi urgenti anche dopo 48 ore. Questo esame si basa sul fatto che il nostro Dna appartiene per metà alla madre e l'altra al padre: in questi casi allora basta confrontare i campioni biologici solo di un genitore con quello del figlio per avere una certezza del 99 per cento. Sono molte le persone che richiedono un test di questo tipo e per le più svariate ragioni: noi ne facciamo 80 mila all’anno».
Negli Usa, il kit per il test si trova nei supermercati e costa 16 dollari. In Italia? «Da noi la gente si affida spesso alle offerte trovate in Rete, appunto. Ma sarebbe meglio rivolgersi a un laboratorio di cui si ha già conoscenza e che sia anche un reale interlocutore per qualsiasi chiarimento. Icosti variano proprio in base anche a questi criteri. Nel nostro centro si aggira intorno ai 300 euro ed è possibile avere la spedizione anonima del risultato anche via e-mail», aggiunge Menaglia.
Quando però l'obiettivo è ritrovarsi in tribunale, le condizioni cambiano: nel caso del prelievo del Dna di un minore deve essere presente un perito e consenzienti entrambi i genitori. Davanti al rifiuto di sottoporsi all'esame da parte del maschio, il giudice può considerare tale scelta come una presunzione di paternità.
«Alcuni test possono essere effettuati anche alla decima settimana di gravidanza, effettuando un prelievo di sangue della donna incinta. In ogni caso è bene sapere che grazie alle modernissime tecniche usate oggi, l’incompatibilità genetica è al 100 per cento e la compatibilità al 99: dunque le garanzie sono totali», precisa Massimiliano Fanni Canelles, medico e divulgatore (dirige la rivista Socialnews.it).
Il test poi viene sempre più spesso consigliato dagli avvocati dei mariti in caso di separazione: infatti, se si viene a scoprire che la prole è frutto di tradimento, tutta la trattativa sugli 'alimenti' (l'assegno divorzile) prende evidentemente una piega sfavorevole alla ex moglie.
La diffusione dei test ha però creato anche problemi e storie dolorose. A Ceriale (Toscana) un ragazzo di 22 anni ha portato il padre biologico in tribunale, dop avergli 'rubato' un capello e aver scoperto privatamente che era stato generato da lui: obiettivo, chiedere un supporto economico per quegli studi universitari che la madre da sola non riuscirebbe a pagarle.
A Napoli invece un libero professionista con moglie e due figli ha iniziato a porsi il dubbio quando la compagna è entra in crisi ed è tornata a vivere dai genitori: ha fatto il test di paternità e – poco dopo – è arrivata drammatica notizia che non erano biologicamente suoi, nessuno dei due.
Le conseguenze psicologiche di queste scoperte sono spesso devastanti. Tanto per gli uomini che negli anni hanno sviluppato una relazione affettiva coi piccoli quanto per i figli grandi che magari scoprono di non avere rapporti biologici con chi li ha cresciuti.
«Immagini cosa è stato, la mia famiglia sembrava un quadretto perfetto», dice Federico G., 39 anni, di Milano: «Io innamorato della mia compagna e di mia figlia, un buon lavoro e la domenica mattina in giro con il nostro cane al seguito. Poi siamo andati in crisi e a poco a poco ho iniziato a farmi delle domande su quella bambina. A un certo punto ho deciso di fare il test. E' stato terribile, ma alla fine ho deciso di disconoscere la paternità e ad augurare felicità a quella bambina che porta il nome di mio padre. Oggi vive con la madre e quel suo collega che, un tempo, passava da casa nostra la sera per bere insieme una birretta...».