I nuovi farmaci potenziano il sistema immunitario. E gli permettono di difendersi dal male. Ecco come

Segui il denaro, “Follow the money”, dicono gli americani, per spiegare come si può capire, possibilmente in anticipo sugli altri, che aria tira anche in medicina. E il denaro, per quanto riguarda la ricerca sul cancro, sembra stia andando in gran parte in un’unica direzione: quella dell’approccio immunologico.

Big Pharma ha allargato lo sguardo. E punta sui vaccini anticancro, a riprova del fatto che in quella che sembrava un’idea esotica di qualche ricercatore eterodosso c’è della sostanza.

Bristol-Myers-Squibb ha battuto tutti sul tempo, con l’anticorpo ipilimumab contro il melanoma, approvato anche in Europa e in Italia e per il quale sono disponibili ormai dati a dieci anni dall’inizio delle cure, incoraggianti (è in vita il 20 per cento dei pazienti, un valore molto alto rispetto alle cure tradizionali), e attende risultati anche dal nivolimumab, un altro anticorpo da aggiungere al primo, per potenziarne gli effetti. In clinica c’è anche il vaccino contro il tumore alla prostata della Dendreon (sipuleucel-T). E altri prodotti immunoterapici stanno arrivando: Merck Sharp & Dohme ha pronto il lambrolizumab, che sembra funzionare sul 51 per cento dei malati di melanoma avanzato, ma promette risultati anche per certi gravi carcinomi mammari, per i tumori di testa e collo, della vescica e del polmone; Roche ha stupito la platea dell’ultimo meeting degli oncologi europei ad Amsterdam con un’altra immunoterapia (Mpdl3280A), attiva in alcune neoplasie del polmone (soprattutto dei fumatori), nel rene, nel colon e nello stomaco.

E non è tutto: Astra Zeneca sta puntando molto su cocktail che vedano insieme immunoterapici e piccole molecole, e molte altre aziende stanno aprendo filoni di ricerca dedicati. Risultato: secondo gli analisti di Citigroup, entro dieci anni le terapie immunologiche rappresenteranno circa il 60 per cento di tutte le cure anticancro, e il giro di affari arriverà a generare guadagni annuali non inferiori ai 35 miliardi di dollari.

Insomma, siamo a un’altra svolta. Negli ultimi vent’anni, la ricerca contro il cancro ci ha stupito con molte giravolte, il numero di scienziati al lavoro in questo campo e i denari investitri sono tanti e tali che le innovazioni sono continue. Forse alcune di esse si sono annunciate come rivoluzioni, ma poi hanno perso mordente una volta in clinica. E non saremo certo noi a dire che i vaccini sono la nuova e definitiva cura per il cancro. Sono però di certo un campo fertile dal quale stanno nascendo moltissime innovazioni che andranno ad aggiungersi e a combinarsi con quant’altro la scienza dei tumori produce. E a questo giro si è giunti in modo quasi casuale, grazie all’ostinazione di alcuni ricercatori anche italiani, spesso finanziati dall’Airc, e raccolti nel Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori (Nibit) fondato, nel 2004, tra gli altri, dal padre nobile dell’approccio immunologico italiano al cancro, Giorgio Parmiani dell’Istituto dei tumori di Milano, e da Michele Maio, il primo ad aprire in Italia, nello stesso anno, un reparto ad hoc, all’Ospedale Santa Maria delle Scotte di Siena. E proprio a Siena, nei giorni scordi si sono riuniti 150 esperti italiani e no.


DISTRUGGETE QUELLE CELLULE
Negli ultimi 15 anni, la comprensione dei difetti genetici presenti in un tumore ha portato a realizzare piccole molecole e anticorpi diretti contro le cause molecolari del cancro, e ha monopolizzato l’attenzione e le speranze dell’opinione pubblica e dei medici. I risultati ci sono stati, ma in definitiva, quella che sembrava la soluzione si è rivelata solo uno dei tanti possibili strumenti da impiegare nell’ambito di schemi terapeutici sempre più complessi, gravati sì da effetti collaterali meno pesanti (e pur sempre presenti), ma anche caratterizzati da costi stellari. Non solo: molte delle molecole salutate talvolta come rivoluzionarie nel tempo si sono rivelate attive in percentuali di pazienti che raramente superano il 10 per cento.

Nel frattempo però, un manipolo di ricercatori testardi continuava a porsi la stessa domanda: come mai il sistema immunitario non riesce a reagire adeguatamente e a distruggere cellule così diverse da quelle sane? Emarginati per lo più in settori di nicchia dai piani alti della ricerca, ignorati dalle aziende, ma sempre sostenuti da enti no profit quali, in Italia, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul cancro (Airc), questi carbonari dell’oncologia sono andati avanti a studiare che cosa accade quando l’organismo ha a che fare con una cellula trasformata, e hanno iniziato a capirlo, identificando nuovi bersagli per terapie diversissime da quelle attuali.

Il tema è complesso. A grandi linee possiamo dire che le cellule tumorali generano un grande caos nel sistema immunitario, certamente perché riescono a bloccare le reazioni di difesa del malato inibendo l’azione dei linfociti (e su questo agiscono alcuni degli anticorpi già sul mercato), ma anche perché possono modificare l’ambiente cellulare (per esempio alterando il pH, la quantità di ossigeno e così via), o anche stimolare reazioni genetiche di diverso tipo. Non solo: il tumore contiene cellule cosiddette staminali tumorali, che hanno rapporti specifici con il sistema immunitario e che quindi possono diventare a loro volta oggetto di attacco selettivo, così come possono diventarlo i nuovi vasi indotti dalla crescita neoplastica. Insomma, i ricercatori hanno messo molti dei tasselli di quel complicato puzzle cellulare che si dispiega quando un tumore nasce, si espande e cresce. Tanto che oggi sono disponibili farmaci e soprattutto anticorpi monoclonali efficaci perché capaci di riportare la situazione immunitaria alla normalità.

PUNTIAMO SULLE DIFESE
Michele Maio, che ha vissuto tutte le fasi di quella che oggi sembra un’onda inarrestabile, e che per anni ha dovuto combattere lo scetticismo di alcuni dei suoi referenti nei diversi luoghi dove ha lavorato (Aviano, Napoli, Stati Uniti, la stessa Siena), oggi sente aria di cambiamento di paradigma. Spiega: «Nessuno di noi pensa che un domani il rinforzo delle difese possa sostituire del tutto la chemioterapia o i nuovi farmaci, ma di certo tutto ciò che aiuta il sistema immunitario a resistere alle cellule tumorali può contribuire a tenere sotto controllo la malattia anche per molti anni: solo rendendo stabile una buona capacità di reazione dell’organismo possiamo pensare di rendere il cancro una malattia cronica».
Un problema centrale nella cura del cancro, oggi, è che il tumore diventa resistente alle tante terapie disponibili. Ma questo non accade con le immunoterapie, come spiega ancora Maio: «Perché non agiamo sulla cellula tumorale ma su ciò che, nell’organismo, la combatte. Oltre a questo, l’immunoterapia è molto meno tossica di altre cure, e può quindi essere assunta per molto tempo. Inoltre sfrutta meccanismi universali, non legati al tipo di tumore, e questo fa sì che un solo farmaco o anticorpo sia attivo su più tumori, anche se con eccezioni».

Sembra insomma la quadratura del cerchio: terapie poco tossiche, da assumere per tutta la vita, che vanno bene per molti tumori diversi, che non scatenano la resistenza. Ma è proprio così? Sì e no. Ancora Maio: «Per ora ci sono diversi problemi da risolvere quali, per esempio, il fatto che non tutti i pazienti rispondono, anche se spesso i tassi di risposta sono più alti di quelli ottenuti con le cure normali, e non capiamo sempre perché. Poi vorremmo fare di più, perché lo stimolo della risposta immunitaria funziona, ma non basta. Per questo stiamo entrando in una nuova fase, che sarà molto interessante anche per le aziende: quella delle combinazioni tra farmaci biologici, chemioterapici e immunoterapie».

In vista quindi ci sono nuove terapie di combinazione, formula che è da oltre quarant’anni la chiave per dare scacco al cancro. Lo sa bene Astra Zeneca, che ha concentrato le sue ricerche su terapie molecolari e che qualche anno fa ha comprato MedImmune, piccola biotech specializzata, senza apparentemente avere un’idea chiara sul che cosa farne. Oggi il panorama è disegnato e la multinazionale ha rimodellato tutta la pipeline dell’oncologia lavorando su assortimenti tra farmaci classici come il tamoxifene e farmaci per l’immunoterapia studiati in MedImmune. E da MedImmune è già arrivata anche la prima terapia immunologica attiva contro un tumore finora inattaccabile: il mesotelioma pleurico.

Maio, insieme con la Fondazione Buzzi di Casale Monferrato, e grazie anche ai fondi AircC, ha appena pubblicato su “Lancet Oncology” uno studio in cui si dimostra l’efficacia dell’anticorpo tremelimumab, attivo sul sistema immunitario, su una trentina di pazienti, e i risultati (sopravvivenza a due anni del 40 per cento, rispetto ai 6-8 mesi ottenuti con i farmaci classici) hanno dato il via a uno studio mondiale, coordinato dallo stesso oncologo. «In altri casi», prosegue Maio, «si va inevitabilmente verso la collaborazione tra le Big Pharma, un fatto impensabile fino a pochi anni fa. Se infatti l’obiettivo è quello di trasformare il cancro in una malattia cronica, assicurando al malato una buona qualità di vita, non possiamo che pensare a protocolli diversi, che vedano di volta in volta al centro farmaci diversi e immunoterapie, dati in modo che il tumore non riesca a diventare resistente, anche grazie a un sistema immunitario che lavora bene».

In quest’ottica prepariamoci a vedere studi di sequenze con farmaci differenti per meccanismo d’azione e per proprietario di marchio, nessuno dei quali può essere affrontato da una sola azienda, per quanto Big. E del resto le stesse farmaceutiche stanno già pensando a nuovi schemi, come nel caso di Bristol-Myers-Squibb, che sta conducendo uno studio sul melanoma con l’associazione ipilimumab e nivolimumab, senza chemioterapia, da proporre in alcune fasi della malattia.

In futuro si potrà contare quindi anche su un aiuto al sistema immunitario anche in tumori fino a oggi ostici come quello del pancreas o quello del cervello, per i quali sono in corso varie sperimentazioni cliniche; probabilmente quella immunologica non sarà mai l’unica cura, ma potrà dare una mano molto importante ad allungare la sopravvivenza per alcuni, e a trasformare il cancro in una malattia cronica per tantissimi altri.