A proposito di rottura, o meglio - per essere nel verso del momento - di rottamazione culturale: non più solo Calvino, Giotto, Caravaggio e Pirandello, come da programma ortodosso in vigore. Ora all’Hotel de Galliffet, casa dell’Istituto di cultura italiana a Parigi, c’è una cucina degna del Moma e nuova di zecca.
TALLEYRAND GOURMAND. Da gennaio arriveranno uno dopo l’altro, i primi quattro cuochi-star. Iniziano i seminari “Italiano in cucina”.
Nessun posto sarebbe più azzeccato dell’hotel dove aleggia il fantasma di Talleyrand che vi ha vissuto da ministro ed era un gourmet gourmand e un famoso enocolto. Le iscrizioni abbondano e meno male: non siamo scotti all’estero come temiamo in patria. Parigi non vede l’ora di mettere le mani in pasta.
L’ISTITUTO DEL RAGÙ. L’idea è di Marina Valensise, direttrice dell’Istituto, giornalista scrittrice e francesista, donna di testa e di polso. Ha ristrutturato tre stanzette e ne ha fatto una cucina con tanto di sala per conferenze. Valensise ha lavorato con lo storico François Furet e con Alberto Ronchey al ministero dei Beni culturali, per lei un maestro. Non ha mai dimenticato che lui ripeteva e in russo «Kukhina eto kultura», ovvero “la cucina è cultura”. Vuoi mettere l’arte millenaria del ragù?
SPOLVERO DI DONNE. Non è una scoperta mondiale, s’intende. È un pensiero laterale e contemporaneo rispetto alla tradizione dotta degli Istituti (unica missione diffondere lingua e cultura) in genere assai polverosi, oggi in nuovo spolvero grazie a nuove donne chiamate a dirigerli.
L’ORO A PARIGI. A fianco dei corsi di italiano, di mostre e conferenze, presentazioni di libri e film, il seminario di cucina coinvolge anche artigiani, produttori di vini, industriali del settore, l’oro del paese che ha sottomesso New York come Shanghai, Sydney come Giakarta, Londra come La Paz. La gastropolitica può aiutare la geopolitica. Esiste un modello di crescita più positivo del tiramisù?
SULLO SHUTTLE. La cucina dell’Istituto, palazzetto del Settecento, settimo arrondissement, ha apparecchi da Shuttle, fuochi, cappe, frullatori e persino l’abbattitore termico e un tavolone (tutto firmato, tutto dato in omaggio) per dodici allievi ansiosi di applicarsi alla teoria e pratica della cucina italiana pura.
FILISOFO POP. Non arriveranno cuochi tv alla “Masterchef” o alla Nigella Lawson. Ma filosofi del marketing destrutturato come Davide Oldani, un cuoco pop.
Come Massimo Bottura, la perfezione dello spaghetto al pomodoro, collezionista d’avanguardia, cucina a “l’osteria francescana”, un presagio di papa Bergoglio, chissà. O Mauro Uliassi, punteggi siderali, narratore
di ricette tecnologicamente avanzato o Chicco Cirea, maestro della cucina d’innovazione, tifoso del gioco di squadra con fratello e cognato: quello di cui l’Italia ha bisogno.
MEDIATICO VISSANI. Nel giorno del solstizio d’estate, l’Istituto ha fatto un primo assaggio con il più mediatico Gianfranco Vissani. Forse qualche purista avrà arricciato il naso, ma non c’è affermazione d’identità più semplicee definitiva della cucina e della sua cultura. E nel caso dell’Italia, meglio, molto meglio della sua politica.