È il progetto che ha fatto vincere a Milano l’esposizione universale del 2015: un canale navigabile neo leonardesco dai padiglioni di Rho al vecchio porto della Darsena, nel cuore della città. Un’idea ambiziosa presentata in pompa magna come cardine del dossier che ha sbaragliato la concorrenza della sfidante Smirne. Era novembre 2010 e alla presentazione della nuova metropoli formato Amsterdam non mancava nessuno: il sindaco Letizia Moratti, il governatore Roberto Formigoni, il ministro della Difesa Ignazio La Russa e l’amministratore delegato della società Expo Lucio Stanca. Passati solo due anni quel sogno di una nuova via d’acqua è diventato un incubo che imbarazza la giunta Pisapia e il nuovo capo del comitato organizzatore Giuseppe Sala.
MEGLIO UN CANALE CHE NIENTE
La navigazione viene accantonata per impossibilità tecnica quasi subito e prende piede l’idea di prendere acqua direttamente dal canale Villoresi, nella pianura a Nord della città, passare dai nuovi padiglioni e arrivare fino al Naviglio Grande. Lo scopo? Alimentare la coreografia dell’esposizione, a partire dal lago costruito su misura, e costruire ex novo 20 chilometri per «ricucire il legame storico di Milano con l'acqua» spiegano gli organizzatori. La portata è minima- 2 metri cubi al secondo- e una larghezza massima che arriva a nove metri tra sponde in erba e cemento con tanto di percorso pedonale. Passando dai quartieri della zona Nord Ovest però, stravolge con i tagli di centinaia di alberi le aree verdi del Parco delle Cave, Trenno, Boscoincittà. E qui nascono i primi problemi. «È un canaletto inutile – commenta Sergio Pellizzoni, agronomo e fondatore del parco delle Cave- con un modesto apporto irriguo per l’agricoltura, una vera follia in rapporto al costo». I controsensi non mancano fin da subito, fanno notare le associazioni ambientaliste: la valutazione preliminare per l’ok alla via d’acqua è contraddetta dal progetto finale. Messo nero su bianco anche dal Consiglio superiore dei lavori pubblici che solleva dubbi: «Le soluzioni sono avulse dal contesto storico di riferimento senza aver prima individuato le costanti d’ambiente, indispensabili per conservare l’identità dei luoghi». Anche la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Milano, a gennaio 2013, esprime una serie di suggerimenti per modificare il percorso utilizzando i tracciati dei fontanili esistenti. Cadute nel vuoto le indicazioni per non fare uno scempio ambientale, la onlus Italia Nostra inizia la propria battaglia: non sono per il “No a tutti i costi” ma chiedono di rispettare il paesaggio e i parchi che portano un pezzo di campagna fin sotto le case delle zone periferiche di Baggio, Gallaratese e Trenno.
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«Abbiamo dato il nostro contributo lavorando gratuitamente con un gruppo di professionisti, per una proposta di tracciato alternativo -spiega Luisa Toeschi della sezione locale di Italia Nostra- attenuando i danni di un’opera comunque assurda». È il dossier messo a punto da Carlo De Michele e Renzo Rossi del Politecnico di Milano che segue fontanili già esistenti ed evita pesanti sbancamenti. Proposta bocciata. «Il canale non è inutile perché porta un incremento del 20 per cento di acqua ai terreni a Sud di Milano che sono a maggiore sofferenza idrica» è la risposta di Anna Rossi, coordinatrice del progetto per Expo, che aggiunge:«il tracciato alternativo è impossibile perché il reticolo di canali esistenti ha un problema di dimensioni e pendenze che non consentono la portata necessaria».
LA PROTESTA IMBARAZZA PISAPIA
Tra le incantevoli proiezioni sotto forma di rendering e la realtà fatta di ruspe e cantieri nel mezzo di polmoni verdi è scoppiata la protesta. E la contraddizione diventa politica. «Abbiamo sostenuto Pisapia sindaco -attacca Luca Trada del movimento spontaneo No canal- ed ora che stanno modificando pesantemente i nostri parchi il Comune non dice nulla? Perché affidarsi ad un tecnico come Sala per scelte che non gli competono?»
La rabbia di chi si vede le zona verdi sotto casa violentato dai cantieri è eloquente nelle scritte comparse sui muri della zona: “No ruspe nei parchi”,“Pd vergogna” e “Pisapia barlafus” ovvero pasticcione. La difesa di Palazzo Marino è del presidente della commissione Expo Ruggero Gabbai: «Sono arrabbiati e spaventati perché abbiamo sottovalutato il problema ma a noi questo tracciato sembra la scelta migliore. Si tratta di far capire che molte sono leggende metropolitane: non è vero che si abbatteranno mille alberi». È bastato transennare per iniziare i primi lavori e i popolosi quartieri sono insorti: assemblee pubbliche, volantinaggi, presidi dei cantieri, proteste alla prima della Scala, sono il rifiuto crescente verso un’opera considerata costosa e devastante. «È uno schiaffo a tutta la zona: qui c’è una scuola elementare senza fondi per la ristrutturazione, l’ospedale San Carlo a rischio chiusura, centinaia di alloggi popolari vuoti e si buttano al vento milioni di euro per un canale di scolo» dicono i manifestanti che ogni giorno non mollano la presa sul cantiere, facendo saltare le recinzioni.
BONIFICA Sì, BONIFICA NO
Anche il Governo Letta ci ha messo del suo a far scaldare gli animi: nella legge di stabilità appena approvata è stato cancellato il collegamento da Rho a Desio e Limbiate. Tagliati 200 milioni di euro per le nuovissime metrotranvie, mentre il cantiere da 42 milioni di euro per la Via d’acqua parte sotto i peggiori auspici. E anche gli operai incrociano le braccia. Sono le otto di mattina di una giornata di dicembre in via Quarenghi, vicino alla statale del Sempione che collega il capoluogo alla Svizzera. Stanno per iniziare i primi lavori al cantiere della Via d'acqua, ma gli operai della società Maltauro incrociano le braccia. Non ci sono rivendicazioni sindacali, ma preoccupazione per la propria salute. Il sospetto e che la terra è inquinata. Secondo il plenipotenziario di Expo Giuseppe Sala, che ha emanato nel 2013 due decreti ad hoc, nessun problema di contaminazione. Tutte le zone dell’esposizione universale sono infatti in “classe di bonifica B”, la meno pericolosa e più economica per chi deve rimuovere i detriti. Ma fino a pochi mesi prima non era proprio così. Non lo era ad esempio per i terreni che ospiteranno i padiglioni dei 139 Paesi partecipanti e le strade attorno: un decreto della Regione Lombardia classifica il sito Expo come “categoria A”: significa che per renderla pulita sono necessari interventi più accurati e onerosi. Tutta la zona è ex industriale, a partire dalla nuova fiera dove c’era una raffineria di petrolio.
Stesso livello di inquinamento per i venti chilometri del canale Expo, anch’esso “retrocesso” nella più economica categoria B. Chi deve metterci le mani, fisicamente, però non si fida e nemmeno quanti vivono lì attorno. Anche gli agricoltori di Coldiretti hanno già detto che quell'acqua non la vogliono per i loro campi.
«Dove oggi gli operai hanno aperto il cantiere dieci anni fa si dovevano costruire dei box e si scoprì che la zona andava bonificata perché i valori delle sostanze inquinanti erano troppo alti», spiega Enrico Fedrighini del consiglio di zona locale: «Perché è stato declassificato?». Più di cento prelievi del terreno e nessuno ha dato indicatori negativi è la risposta congiunta della società Expo e Comune di Milano, uniti per non arrivare in ritardo al traguardo del primo maggio 2015, quando si aprirà la kermesse internazionale. La paura di una bomba ecologica ad un metro sotto terra rimane e i comitati locali continuano la loro battaglia: «Qui sotto c’è di tutto e ci raccontano che i cento prelievi sono in regola, ma è innegabile che hanno sottovalutato il problema e sono troppo approssimativi nelle risposte». Per ora per evitare altre proteste e i blocchi dei lavori, i cantieri saranno fermi fino all’8 gennaio. E il braccio di ferro per il canale che solleva paure e proteste si annuncia lungo.