«Dopo Ratzinger, i tempi sono maturi per una Chiesa che abbia il coraggio di affrontare i temi dell'attualità e della bioetica. Prendendo decisioni storiche». Parla il senatore pd, credente e autore del celebre dialogo con il cardinale Martini

Un papato breve ma caratterizzato da forti prese di posizione e una figura, quella del Pontefice, che con il suo ultimo gesto lancia il suo messaggio più forte, quello di una Chiesa che adesso ha bisogno di rinnovarsi. E' il bilancio che traccia il senatore del Pd Ignazio Marino, chirurgo e cattolico, del pontificato di Benedetto XVI e della posizione che la sua Chiesa ha avuto nel dibattito sui diritti e sulla scienza.

«La figura di Benedetto XVI va analizzata nella sua complessità e in maniera molto più articolata rispetto a quanto appare per alcune affermazioni nette che hanno creato dissenso in aree di pensiero diverse», spiega Marino, riferendosi alle numerose polemiche seguite alle chiusure di Ratzinger su diritti civili, fine e inizio vita. «Ho avuto la fortuna di confrontarmi a lungo con il cardinal Martini e lui ricordava come proprio il Papa nella sua prima enciclica (Dio è Amore) avesse analizzato un tema complesso come quello della sessualità, affrontandolo in maniera straordinaria rispetto al linguaggio conservatore della Chiesa su questi temi».

Un linguaggio che tuttavia non ha di certo portato la Chiesa su posizioni progressiste, ma che forse Benedetto XVI vuole provare a rivoluzionare con la sua decisione di farsi da parte. «Questo gesto porterà a una riflessione lunghissima e, anche se non posso essere io l'esegeta del percorso del Pontefice, mi piace pensare a un gesto motivato da un amore estremo per la Chiesa che la costringa a un rinnovamento e a navigare in acque ancora non solcate. Una decisione che non può che lasciare ammirati».

Quello che adesso si augura Marino è un'istituzione più aperta al cambiamento e con il coraggio di discutere su temi delicati senza imporre chiusure preventive. «Mi piacerebbe una Chiesa che avesse il coraggio di affrontare i temi dell'attualità come già ha fatto in passato. Nel 1968, ad esempio, un comitato di Harvard dimostrò l'esistenza di una morte clinica che sopraggiunge anche se il cuore continua a battere. Parliamo di un concetto che rivoluzionò millenni di convinzioni sul collegamento diretto tra vita e battito cardiaco. Bene, in quella circostanza la Chiesa accettò quella definizione così innovativa tanto da appoggiare l'espianto di organi a cuore ancora battente per salvare altre vite».

Una decisione storica che anche oggi potrebbe trovare coniugazioni nella medicina e nella scienza. «Come allora ci si interrogò sul fine vita, credo che la Chiesa oggi dovrebbe interrogarsi sull'inizio della vita, sul momento in cui va riconosciuto l'inizio di una nuova vita e sulla possibilità di utilizzare quelle cellule staminali abbandonate oggi nelle cliniche e possibile fonte di studio per la guarigione da molte malattie. Non voglio dire qual è la strada giusta su questi temi, ma la Chiesa dovrebbe avere il coraggio di guidare la discussione e non di rifiutarla».