C'è una casa silenziosa, quasi vuota. Gli uomini lavorano i campi, le donne sono rintanate in soffitta: cuciono, cantano, si raccontano storie. Poi le trascrivono sui ventagli, le ricamano nei fazzoletti. Ma per farlo creano una scrittura tutta loro: è il Nu shu, «lingua segreta». Duemila caratteri pressocché curvilinei: ognuno corrisponde a una sillaba (e non a una parola) anche se si tratta di alfabeto cinese. Sì perché qui siamo in Cina, nella provincia meridionale dello Hunan, nel 1600. Le donne della minoranza etnica Yao, oltre al dolore dei piedi fasciati, vivono quello di rimanere fuori dalle aule scolastiche: represse dalla società confuciana (e quindi maschilista), si sfogano con la creatività.
Che fine ha fatto quella «lingua della sorellanza»? Bisognerebbe chiederlo alle ragazze che oggi tentano di impararlo a Pumei, villaggio dello Hunan diventato meta di curiosità (e studio) da ogni parte del mondo.
Un ponticello di legno all'ingresso, qualche casa e un museo. «Si parla di un flusso che supera i diecimila turisti l'anno», dice Francesca Rosati Freeman, autrice di Benvenuti nel paese delle donne ed esperta di minoranze etniche. «I cinesi hanno investito soldi per ammodernare le infrastrutture e restaurare un museo del Nu Shu che contiene diari intimi, poesie, racconti, borse, sciarpe, ventagli, grembiuli dove si vedono gli eleganti ricami di quella scrittura segreta. Ma non solo: lì sono custodite oltre 300 registrazioni di canti che nessuno sa però più cantare. Nel centro interculturale annesso le donne imparano a scriverlo anche se le insegnanti sopravissute conoscono più o meno 800 caretteri al massimo».
Siamo al paradosso del destino: un alfabeto nato sotto il cielo della clandestinità, finisce per sopravvivere grazie alla pubblicità. «Le ragazze oggi si ritrovano a studiarla per vendere i loro manoscritti e far soldi. E pensare che tutto è iniziato nel 1995 quando il nu shu è stato classificato nel patrimonio mondiale dell'umanità fra le lingue in pericolo di estinzione.
Alcuni studiosi hanno mostrato interesse e hanno avviato una ricerca a tappeto in 57 villaggi per cercare persone parlanti e raccogliere materiale. La cineasta canadese di origine cinese Yue Qing Yang ha realizzato un documentario nel 1999 dove è possibile senitre questo dialetto cantato. Con gli investimenti poi sono sorti come funghi hotel e parchi che hanno trasformato del tutto questa regione ancora molto arretrata. Da un certo punto di vista, la metamorfosi di un codice scritto così intimo in commercio pubblico ha però offerto alle donne un nuovo potere» aggiunge Freeman.
Da lingua di genere a idioma di classe. A Pechino e Shanghai le donne si danno un tono chiacchierando nel linguaggio estinto delle loro antenate. Nei fine settimana vengono organizzati thè in cui sono graditi apprezzamenti in Nu shu sui maschi.
Qualcuno l'ha addirittura identificata come il codice delle lesbiche cinesi: in effetti è l'unica lingua di genere al mondo. In ogni caso il simbolo della storica discriminazione femminile oggi ha dato avvio a un nuovo femminismo d'élite e all'apparenza frivolo. E questo sembra un altro paradosso. O solo una sorta di rivincita di coloro che un tempo non potevano imparare le parole per esprimere gioie e dolori.
Il divieto dell'uso della lingua da parte di Mao ha significato però la perdita di quasi tutti i testi. Molte donne che lo consocevano lo hanno dimenticato. Molti testi, invece, sono stati bruciati secondo tradizione dopo la morte dell’autrice. Difficile quindi risalire all’origine della lingua con certezza.
Però gli studi continuano e sotto tutt'altro cielo.
Siamo lontani dai tempi in cui il proverbio cinese del 'meglio avere un cane che una figlia' era quasi un mantra domestico. Lontani persino dai tempi in cui una delle ultime sopravissute depositarie del Nu shu, Yang Huanyi, fu arrestata perché, durante un malore, fu beccata dalla polizia con un fazzoletto in tasca dai ricami indecifrabili.
«Per loro era solo la lingua di una spia. Non potevano non arrestarla. I ricercatori consultati per confermare il legame con lo spionaggio di quel codice furono invece inviati in un campo di rieducazione. Non si trattava ovviamante di spionaggio, dissero. Yang era l'ultima autrice in Nu shu: quando è morta nel 2004 sembrava che con lei si fosse estinto anche quel dialetto delle confidenze femminili. A salvarlo ci ha pensato per fortuna un gruppo di donne di Pumei».
Ed eccoci qui: siamo al merchandising del Nu shu. Da lingua segreta a lingua di moda.