Genialità mediatica, velleitarismo ideologico, carisma autocratico, seguaci cloni: un ex dirigente radicale degli Anni Settanta mette in luce le 'vite parallele' dei due leader
È STATO IPOTIZZATO che l'elezione dei grillini in Parlamento somigli al debutto istituzionale dei radicali nel 1976 e 1979. Si tratta, a mio parere, di un'opinione sbagliata, anche se occorre distinguere nettamente quella stagione radicale dall'attuale dei pannellini, il leader Marco Pannella di quarant'anni fa dal personaggio che conosciamo oggi. Noi radicali eravamo allora un gruppo dalla forte cultura politica, ben radicati nel mondo laico-riformatore, in grado di condurre e vincere battaglie civili, sempre immersi nella realtà italiana da trasformare in senso europeo e occidentale. Quindi nulla a che fare con Grillo e il grillismo, pur se nelle due esperienze si può rintracciare un'analoga carica di protesta verso lo status quo.
Ma il radicalismo democratico degli anni Sessanta-Ottanta è andato sempre più assottigliandosi per lasciare il posto a un fenomeno completamente diverso: il pannellismo. Che è un coacervo di vecchi spezzoni radicali, di velleitarismo demagogico, di genialità mediatica, di coraggio personale e inconcludenza politica, il tutto a servizio del narcisismo personalistico e di un capriccioso autoritarismo. È per ciò che le assonanze tra il grillismo e il pannellismo d'oggi sono molte, così come i grillini possono essere considerati la fotocopia degli attuali pannellini, estranei alla tradizione antidogmatica radicale.
Mi spiego. Grillo detta legge via Rete, e Pannella indottrina i pannellini a ripetere il lessico del maestro, pena la qualifica di "dissidenti". Grillo attraversa lo stretto di Messina ad uso dei media, e Pannella ripete coattivamente i digiuni che servono a richiamare l'attenzione su di sé. Grillo disprezza i giornalisti e Pannella li definisce «servi del regime» salvo quelli che parlano di lui. Grillo ripete che la classe politica è ormai alla frutta, e Pannella la bolla come «partitocratrica», parte di un «regime» che da cinquant'anni è sempre lo stesso. Pannella come Grillo ama confrontarsi solo con i grandi, sicché le sue quotidiane invettive contro Napolitano somigliano alla guerra dichiarata da Kim Jong Un contro l'America. Entrambi si avvoltolano nel culto della personalità: nel giro di 24 ore, giorno e notte, Radio radicale pronunzia mediamente 82 volte il nome di Pannella. Grillo è titolare di tutto ciò che riguarda il Movimento 5 Stelle, e Pannella è proprietario, unico e intoccabile, di tutta l'impresa ex-radicale: simboli, loghi, società, Radio radicale, rimborsi pubblici…
Ancora più stringenti sono le analogie nel rapporto tra i capi e i seguaci. I grillini non possono parlare se non dopo il permesso via Rete del capo; i pannellini sono sospinti a ripetere all'infinito il verbo del lider maximo («partitocrazia», «regime», «complotto antipannelliano») e a rinviare a ciò che Pannella ha proclamato, poco importa se dieci giorni o dieci anni prima. La scala gerarchica nei rispettivi movimenti è la fedeltà e l'obbedienza al capo. I grillini si possono sfogare in Rete tanto poi è Beppe che prende le decisioni; e i pannellini si estenuano in interminabili discussioni trasmesse da Radio radicale, dopo che le scelte sono state già fatte da Marco.
Non sto descrivendo una parodia, ma il triste tramonto della nobile storia radicale, che per la caparbia volontà egotistica di colui che ne fu il massimo leader e il coraggioso innovatore, è divenuta sempre più la caricatura di se stessa. Provate ad ascoltare le conversazioni domenicali di Pannella a Radio radicale e avrete la sensazione che si tratta di sproloqui simili a quelli di Grillo, spacciati per brillanti ragionamenti, fatta salva la differenza di vent'anni tra i due. La formazione pannelliana, infatti, affonda le radici nelle buone cose degli anni '50, e quella grillesca si avvoltola nelle improbabili utopie democratico-populiste della Rete. L'uomo dello spettacolo, però, è riuscito a conquistare il voto di un italiano su quattro, mentre il vecchio politico, nonostante i meriti acquisiti in un lontano passato, ha il favore di un italiano su mille.