Il "prete degli ultimi" si è spento a Genova dopo una vita spesa per la giustizia sociale, per aiutare chi ne aveva bisogno, per un Paese migliore. «Un uomo forte e lucidissimo fino all'ultimo, il leader di cui avremmo bisogno ora», come ricorda Loris Mazzetti, che gli era amico e con cui ha scritto un libro biografico e politico
La postura curva di chi si piega, ma non si spezza, nonostante età e collaterali guai di salute. La lingua ancora sciolta e la testa svelta, lucida e irrimediabilmente controcorrente. E l'immancabile sigaro toscano, compagno di lotta e quotidianità, anche durante i pasti. Ottantacinque anni vissuti con densità, coraggio, vite strappate alla deriva, e molte contestazioni. Don Andrea Gallo non si è risparmiato niente. Cacciato più volte dalla Chiesa, e rimosso dall'incarico di parroco per i metodi poco ortodossi che utilizzava con i giovani (in luogo della punizione, l'autoregolamentazione e la libertà ai ragazzi "problematici" della periferia di Genova), s'era ritagliato il suo personalissimo spazio, dentro una creatura modellata a sua immagine: accolto dal parroco di san Benedetto al Porto, quartiere di Genova, aveva fondato la sua comunità. Con i suoi ragazzi, prima fiere un po' selvatiche, poi giovani integrati, attivi, sorridenti.
Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre e grande amico, lo descrive come "il leader politico di cui avremmo bisogno. Un rivoluzionario straordinario in un periodo molto povero di esempi".
Con lui, dopo un anno di lavoro e inseguimenti ("viaggiava moltissimo, nonostante l'età") ha scritto, nel 2010, un libro edito da Aliberti "Sono venuto per servire", in cui racconta la vita del Don, le sue battaglie, il suo carattere "fortissimo, eppure buono".
"Ma ho raccolto così tanto materiale – rivela all'Espresso – che si potrebbe pubblicarne un altro, proprio come voleva Don Gallo. Aveva anche già scelto il titolo: 'Sono venuto per non essere servito'".
Con lui ha partecipato a centinaia di convegni, in tutta Italia. "Si concludevano quasi tutti con noi che cantavamo 'Bella ciao'. Don Andrea la sapeva a memoria e io, per non sfigurare, ho dovuto imparare con precisione il testo".
Perché era curioso, Don Gallo: chiacchierava per ore e andava a letto tardissimo. "L'idea del libro – prosegue Mazzetti – nacque dopo un'ospitata nella trasmissione Glob, condotta da Enrico Bertolino. Iniziamo a parlare e a un cero punto una guardia giurata venne a bussare per buttarci fuori: si erano fatte le quattro del mattino".
Come vi siete conosciuti? "Lo seguivo da sempre, ma non lo conoscevo personalmente. Poi, quattro anni fa, la comune amica Cinzia Monteverdi (ad del Fatto Quotidiano) ci ha presentato. È stato amore a prima vista. Da allora abbiamo iniziato a girare per convegni, sono andato a trovarlo moltissime volte nella sua comunità, e abbiamo scritto il libro".
Cosa vi siete detti, l'ultima volta che vi siete visti? "Mi ha parlato di questo Papa Francesco. Era molto contento. 'Le sta azzeccando tutte', mi ha detto. Credeva profondamente in un cambiamento reale della chiesa, non di facciata".
Quella Chiesa che per le sue posizioni di laicità e poco ortodosse su divorzio, omosessualità, utilizzo del preservativo, matrimonio dei preti e sacerdozio femminile (solo per citarne alcuni), spesso lo aveva allontanato. "Ma ha dovuto sempre riprenderselo, in qualche modo – sorride Mazzetti. "E, del resto, come avrebbe potuto emarginarlo? Era amatissimo, una risorsa rara e preziosa. Non sovrapponeva mai la fede alla laicità, ma le univa. Creava linguaggi unici in cui realtà apparentemente distanti potevano comunicare. Quando fu cacciato dalla chiesa del Carmine a Genova, dov'era viceparroco fino al 1970, i suoi fedeli scrissero una lettera all'arcivescovo della città Siri, firmata da più di duemila persone, in segno di protesta. Ricordo che con lui, nella parrocchia, c'erano sempre due leggìi: uno con il Vangelo e l'altro col Manifesto".
Qual era il suo giudizio sulla contingenza politica e sociale? "Pessimo. Non vedeva spiragli. Era stato partigiano, quando il fratello, di 8 anni più grande, era comandante di Brigata, durante la Guerra. Il suo pseudonimo era Nàn, da Nasàn, "nasone", come lo chiamavano i compagni di scuola allora. Ma nella degenerazione della classe politica non rinveniva più nessuno dei valori che lo avevano mosso all'epoca. Era amico di Beppe Grillo, si conoscevano da molti anni, e gli aveva consigliato di trovare un accordo col Pd, per la costituzione di un governo. Grillo non lo ha ascoltato e sappiamo com'è andata a finire". In una lettera pubblicata sul 'Secolo XIX,' qualche anno fa, aveva scritto: "Mai finora ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro bel Paese, a una caduta senza precedenti della democrazia e dell'etica pubblica. La mia coscienza di uomo e di prete che intende coniugare fede e impegno civile è in difficoltà a prendere la parola. Dov'è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov'è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose».
Cosa le ha lasciato come insegnamento più grande? "Una cosa che potrà sembrare banale, ma se ci pensa bene non lo è affatto. Mi voleva bene, quel tipo di bene sincero e incondizionato che può riservarti solo un genitore. Questo, per me, anche in momenti non semplici, è stato importantissimo. E si ricordava perfettamente dell'ultima cosa che gli avevo detto quando c'eravamo visti. La volta successiva era il primo pensiero che mi rivolgeva. Conosce qualcun altro così?".