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Politica
maggio, 2013

Caso Lusi, una beffa per Rutelli

I soldi sottratti al partito dal tesoriere della Margherita devono tornare  allo Stato. Lo dice la Corte dei Conti; così non solo rovina il beau geste che l'ex leader voleva fare di fronte all'opinione pubblica, ma crea un precedente sul destino dei 'tesoretti'

Per Francesco Rutelli sarebbe, con ogni probabilità, l'ultima amarissima beffa. Per mesi ha ribadito in ogni sede, con indignata veemenza, l'impegno solenne a restituire allo Stato i milioni del rimborso elettorale sottratti alle casse della sua Margherita dall'ex tesoriere e amico Luigi Lusi.

La procura della Corte dei Conti del Lazio, adesso, rischia di rovinargli il beau geste a lungo preparato di fronte all'opinione pubblica. Perché i magistrati contabili, la cui inchiesta si è sviluppata in parallelo a quella penale, nell'atto di citazione emesso il 16 aprile scorso nei confronti di Lusi (e nel precedente invito a dedurre inviato all'ex senatore Pd) hanno espresso una posizione netta: i soldi di cui secondo l'accusa l'ex tesoriere si sarebbe impossessato indebitamente appartengono allo Stato, dunque ai cittadini, e non al partito dai cui bilanci sono stati prelevati. Pertanto devono tornare direttamente all'erario, il vero danneggiato, senza ripassare per le mani del padre fondatore della ex Margherita. Il tutto nonostante il collegio dei liquidatori del partito abbia lavorato in tutti questi mesi per recuperare la totalità dei beni sottratti, in funzione della prevista restituzione alle casse pubbliche.

La tesi dei magistrati contabili spalanca interrogativi urgenti sul destino e l'effettiva titolarità dei più o meno consistenti tesoretti depositati nei bilanci di tutti i partiti, defunti e viventi, percettori di rimborso. I fondi che non vengono adoperati in campagna elettorale per le finalità espressamente previste dalla legge, puntualizzano in sostanza i procuratori contabili nell'atto di citazione, poiché provengono dal bilancio dello Stato appartengono a quest'ultimo e sono da considerare a tutti gli effetti pubblici.

Proprio poco fa, presso la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio, si è conclusa l'udienza in camera di consiglio per la convalida del sequestro conservativo dei beni intestati a Lusi, chiesto dai magistrati contabili contestualmente all'atto di citazione e autorizzato con decreto il 23 aprile scorso dal presidente Ivan De Musso.

Dalla villa di Genzano all'attico centralissimo di via Monserrato a Roma, passando per il box auto acquistato in via Flaminia. Dalle cinque case di Capistrello, in provincia de L'Aquila, alle polizze assicurative e ai conti correnti. In totale 22 milioni e 810 mila euro, la cifra di cui Lusi, indagato dalla procura di Roma per associazione a delinquere e appropriazione indebita, si sarebbe impossessato tra il 2007 e il 2011. Una parte di questi, 6 milioni e 100 mila euro, sono però già tornati all'erario sotto forma di imposte e tasse e dunque, secondo i legali di Lusi, vanno defalcati dalla somma su cui potrà intervenire il sequestro. La procura della Corte dei Conti ha dato oggi parere favorevole su quest'ultimo punto. L'esito dell'udienza arriverà, per iscritto, entro una decina di giorni e dovrebbe confermare il provvedimento. Anche perché lo stesso Lusi ha domandato espressamente di essere autorizzato a devolvere i beni oggetto del sequestro allo Stato e i suoi legali, oggi, non si sono opposti alla richiesta di convalida.

Proprio il sequestro, nell'impostazione dei magistrati, serve proprio a garantire il risarcimento del danno provocato alle casse pubbliche dall'ex tesoriere. Quello dei vice procuratori contabili Pio Silvestri e Marco Smiroldo non è assolutamente un attacco al finanziamento pubblico tout court. La Costituzione considera i partiti "strumenti per la partecipazione del popolo alla vita politica" sia attraverso il voto sia influenzando le decisioni politiche della comunità, scrivono anzi nell'atto di citazione. La rilevanza costituzionale dei partiti e le loro funzioni pubbliche "giustificherebbero forme di sovvenzionamento a carico della fiscalità generale". Ma solo se le spese finanziate sono pubbliche.

"Il legislatore ha individuato come ammissibili a rimborso quali spese pubbliche soltanto le spese elettorali", precisano i magistrati guidati dal procuratore regionale Raffaello De Dominicis nell'atto di citazione di 20 pagine. La legge n. 515 del 1993 fornisce l'elenco delle spese per cui il rimborso è consentito: produzione, acquisto, affitto, distribuzione e diffusione di materiali e mezzi di propaganda; organizzazione di manifestazioni; retribuzione del personale impiegato durante la campagna; stampa, distribuzione e raccolta di moduli; operazioni richieste dalla legge per la presentazione delle liste elettorali.

La posizione costituzionale dei partiti però, spiegano i procuratori contabili nell'atto, non si esaurisce nelle sola funzione elettorale. Devono anche essere considerati come "strumenti per la partecipazione del popolo alla vita politica". Solo per garantire quella partecipazione possono perciò trattenere nelle proprie casse e spendere il surplus che deriva dalla differenza tra i fondi incassati e le spese sostenute durante le elezioni.

La legge del 1993 e la 157 del 1999, che disciplinano la materia da quando il referendum abrogò il finanziamento pubblico dei partiti, hanno però introdotto un sistema interpretato (e applicato) dai partiti in una maniera contestata dai magistrati contabili. La differenza positiva tra il rimborso erogato dallo Stato e le spese effettivamente sostenute in campagna elettorale è stata considerata "di proprietà del partito". Le formazioni politiche hanno ritenuto (erroneamente) di poter trattenere per sé, senza alcun vincolo di destinazione, i soldi avanzati.

E' in base a questi presupposti che, secondo i magistrati contabili, i soldi di cui si sarebbe appropriato indebitamente Lusi non erano né sono da considerare di proprietà della Margherita. Quest'ultima, scrivono i procuratori, "ha visto integralmente rimborsate le spese elettorali sostenute e documentate, non avendo pertanto subito alcun danno dall'ulteriore distrazione del surplus del rimborso compiuta dal Lusi. Il danno è dell'erario che ha visto utilizzare risorse destinate a consentire la partecipazione del popolo alla vita politica e il suo concorso a determinare la politica nazionale".

La pietra tombale sulle rivendicazioni di Rutelli e degli altri ex dirigenti della Margherita (che peraltro conserva nelle proprie casse ancora una decina di milioni di euro provenienti solo in parte dai rimborsi elettorali) arriva dalle righe conclusive del provvedimento. "Peraltro, e conclusivamente", affermano i magistrati, "essendosi da tempo sciolto non si vede come il partito potrebbe, all'attualità, rispettare il vincolo di destinazione che comunque rimane impresso sulle somme che in ipotesi gli sarebbero destinate quale risarcimento del danno".

Una presa di posizione, quella contenuta nell'atto della procura contabile, che riceve subito la risposta da parte del Collegio dei Liquidatori dell'ex partito. "Il capo di imputazione a carico di Lusi, associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita, conferma la natura privatistica delle risorse nella disponibilità de La Margherita", scrive il collegio in una nota. "In caso contrario, infatti, il capo di imputazione sarebbe stato quello di peculato (art. 314 c.p.) o di malversazione a danno dello Stato". "I contributi erogati dallo Stato, una volta ricevuti dal partito entrano nella sfera del partito stesso e hanno, pertanto, natura privatistica", puntualizzano poi i liquidatori, "come stabilito dalla vigente normativa (inclusa l'assenza di obblighi di rendicontazione nei confronti dello Stato)". Infine, "poiché le somme percepite a titolo di rimborsi elettorali e le altre entrate da parte dei privati si fondono tra loro, esse non posso essere considerate distintamente".

L'ex senatore del Pd Lusi, accusato anche di calunnia ai danni proprio di Francesco Rutelli, nei giorni scorsi è tornato in libertà dopo il periodo in carcere e i 9 mesi scontati ai domiciliari nel monastero abruzzese della Madonna dei Bisognosi, a Carsoli. Nel processo penale la sentenza è prevista entro l'estate, mentre il prossimo 28 novembre è in calendario la prima udienza del procedimento davanti alla Corte dei Conti per la discussione del giudizio di merito dell'accusa di danno erariale. A quella data, i magistrati verificheranno se Lusi ha ottemperato all'impegno di restituire integralmente i beni allo Stato.

Molto prima, il sei giugno prossimo, si terrà l'udienza di discussione dell'istanza con cui lo stesso Lusi ha chiesto spontaneamente di essere obbligato al pagamento di quanto richiesto dalla Corte dei Conti, "senza che ciò costituisca riconoscimento di alcuna responsabilità civile, erariale o penale". Con più atti, di cui l'ultimo depositato il 14 febbraio scorso, Lusi si è dichiarato definitivamente disponibile a devolvere allo Stato "tutte le consistenze, mobiliari ed immobiliari, del predetto compendio patrimoniale che coprirebbe l'intero danno al medesimo contestato". Una mossa con cui l'ex senatore Pd si propone "orgogliosamente" come il primo tesoriere a restituire il patrimonio di un partito in favore dello Stato. Senza negarsi la soddisfazione implicita di rifilare l'ultimo schiaffo all'ex amico Rutelli, che quei soldi avrebbe voluto recuperarli e restituirli in prima persona ai cittadini italiani.

"E' noto che La Margherita, nell'assemblea federale del 16 giugno 2012, ha deliberato irrevocabilmente di "donare" tutti i beni di sua proprietà allo Stato inclusi quelli rivenienti dalle azioni giudiziarie in corso", è la replica prontissima del Collegio dei Revisori del partito confluito nel Pd. "Se, quindi, non vi è alcun dubbio circa la destinazione finale allo Stato di tutte le risorse de La Margherita, nutriamo la preoccupazione che il conflitto, che rischia di aprirsi, tra i diversi organi giurisdizionali dello Stato, penale, civile e amministrativo, possa essere utilizzato dal Lusi unicamente al fine di eludere o ritardare la restituzione dei beni".

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