Mancano sette mesi al voto per la poltrona da governatore. Ma tra le province commissariate da Cappellacci, la candidatura dell'outsider Murgia, i problemi del Pd con i suoi candidati, la competizione regionale è lo specchio del caos della politica nazionale
Mancano sette mesi e la Sardegna ritornerà alle urne per eleggere il nuovo presidente della XV legislatura.
Molto lontano quel febbraio del 2009 in cui l'elezione di Ugo Cappellacci alla presidenza dell'isola, strappata per ben 9 punti al governatore uscente Renato Soru, costò a Walter Veltroni le dimissioni dalla segreteria del Pd, per non essere riuscito a evitare di consegnare anche la Sardegna nelle braccia del Cavaliere. "Mi assumo le responsabilità mie e non. Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto", disse all'epoca l'ex segretario. Il nuovo presidente Pdl salutava quindi la vittoria, esprimendo il proprio entusiasmo per un G8 che la Maddalena finì per non ospitare mai, e i cui rivoli sono oggi oggetto di dibattimento nelle aule giudiziarie.
La crisi era ancora timida e le speranze di una rinascita venivano riposte nelle promesse del figlio del vecchio commercialista di Berlusconi. Oggi una Sardegna piegata dalla paralisi economica e dalla fiducia troppe volte tradita, cerca di dipanare l'orizzonte in un'operazione delicatissima eppure possibile: levarsi in qualche misura dal guado e ripartire.
Le premesse, però, sono tutt'altro che propizie. E gli animi parecchio tesi. La campagna elettorale è appena iniziata. L'abbrivio s'è acceso con una decisione che ha diviso l'isola: il commissariamento di cinque delle 8 province sarde, licenziato con i voti della maggioranza di centro-destra, in consiglio regionale, a fine giugno. In realtà, un provvedimento che può sembrare di buon senso, in tempi di "spending review", si è rivelato un boomerang. È vero che nel referendum abrogativo del 2012 il 96 per cento dei votanti (circa 500mila sardi) si era espresso favorevolmente per l'abrogazione delle province.
Ma qui, ancora una volta, si tratta di una questione politica. Gli enti avrebbero infatti dovuto esaurirsi naturalmente con la scadenza del mandato degli attuali presidenti, nel 2015. Perché non aspettare? Per la coalizione di centrosinistra si tratta di un atto d'imperio del governatore, disegnato coi goniometri della campagna elettorale. Un blitz che non abolisce, ma congela, prima del tempo. Per il pd, Cappellacci, che intende ricandidarsi, avrebbe puntellato con questo trucco la gran parte delle province, posizionando i propri uomini: tranne Oristano e Olbia-Tempio, infatti, gli altri 6 enti sono amministrati dal centro-sinistra.
"Si tratta di un abuso di potere e di una violazione incostituzionale delle prerogative della presidenza", tuona il partito democratico. Intanto Cagliari (già commissariata) e la stessa Olbia-Tempio hanno annunciato ricorso al Tar, mentre sul provvedimento pesa anche il giudizio della Consulta che ha appena dichiarato l'illegittimità costituzionale della riforma contenuta nel decreto Salva Italia del vecchio governo Monti: la materia non si può dispiplinare con un decreto legge.
Le polemiche, però, sembrano non esaurirsi. Qualche giorno fa l'annuncio della candidatura a governatore della Sardegna della scrittrice Michela Murgia ha innescato una gragnuola di critiche. In realtà, in un messaggio pubblico, l'intellettuale ha promesso che scioglierà la riserva entro il prossimo 3 agosto. L'idea è quella di guidare una coalizione civica che riunisca le forze indipendentiste, parte della società civile, e nuove risorse che abbiano il desiderio di contribuire al bene dell'isola.
A chiedere alla Murgia se vi sia l'ipotesi per un simile progetto è stato il partito indipendentista ProgReS (Progetu Republica de Sardigna), con il quale, negli ultimi mesi, l'autrice ha condotto una battaglia tuttora in corso contro la minaccia di trivellazione nell'oristanese, alla ricerca di gas metano, richiesta dalla Saras dei Moratti alla regione. L'intera popolazione locale ha espresso con determinazione la propria contrarietà e si spende da mesi in manifestazioni di protesta in attesa che l'attuale giunta decida sull'autorizzazione.
"Da quando ho annunciato l'eventualità di una mia candidatura – spiega la Murgia all'Espresso – sono stata seppellita da una slavina di critiche che, a dir la verità, mi fanno parecchio sorridere. Mi si accusa di non avere la tessera del partito ProgRes e di dissociarmi, in qualche modo, da esso. È una sciocchezza. Io faccio attività politica, sul territorio, da almeno dieci anni con ProgRes: non ho necessità di alcuna tessera". Il Pd sembra piuttosto preoccupato - nell'ipotesi di una discesa in campo della scrittrice - che questo possa sottrarre voti alla coalizione di centro-sinistra. La riforma della legge elettorale statutaria appena approvata, infatti, prevede soglie di sbarramento piuttosto alte per l'attribuzione dei seggi: il 10% per le liste in coalizione e il 5% per quelle fuori dalle alleanze.
"È normale che il Pd reagisca con nervosismo alla mia candidatura" prosegue la Murgia "perché io aspiro a occupare il posto che loro hanno lasciato vuoto nell'elettorato. Ma mi preme ribadire che il nemico da combattere alla urne, per me, è il Pdl". Silvio Lai, senatore e segretario regionale del Pd, respinge questa tesi: "La Murgia non ci spaventa" chiarisce all'Espresso "Le preferenze che la sua formazione indipendentista riuscirà a drenare non sono espressione di un elettorato di centro-sinistra. La quota del voto di protesta è attorno al 25 per cento. Il movimento Cinquestelle (che in Sardegna è sempre stato piuttosto forte) è stimabile sul 18 per cento. E poi c'è da considerare la porzione di astensionisti. Ma noi non abbiamo paura: ci stiamo preparando".
In realtà, com'è consuetudine nazionale, anche il Pd locale è impigliato nei conflitti intestini tra correnti, alle prese, con Sel, con la definizione delle regole per l'accesso alla competizione interna. E, naturalmente, non c'è ancora un accordo unitario. La questione, stavolta, è legata al codice etico. E non è questione da poco, perché l'esito della discussione potrebbe condizionare candidature "pesanti" come quella di Renato Soru (ex governatore della regione e al lavoro per una nuova corrente interna al pd) e Gianfranco Ganau, attuale sindaco di Sassari.
Il codice del pd nazionale, da statuto, vieta infatti la candidatura ai rinviati a giudizio, ma per reati di particolare gravità (mafia, criminalità organizzata, contro la libertà personale e la personalità individuale, per un delitto per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, per sfruttamento della prostituzione, per omicidio colposo derivante dall’inosservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro). Sinistra e Libertà e l'Upc (Unione popolare cristiana) hanno invece proposto di stringere ulteriormente le maglie e applicare la norma a tutti i tipi di reato. In questo caso il patron di Tiscali e il sindaco Ganau – le candidature più forti - sarebbero esclusi dalla competizione: l'uno per il rinvio per evasione fiscale, l'altro per abuso d'ufficio.
Altro quesito è l'eccessivo numero di contendenti che intendono partecipare. Turno unico o ballottaggio? Ci si chiede se un candidato uscito al primo turno col 30 per cento, ad esempio, possa poi contare sulla forza necessaria a sfidare l'avversario del Pdl. Oggi la coalizione di centro-sinistra si riunirà per cercare una sintesi, ma Silvio Lai anticipa all'Espresso la decisione più probabile: "Restringere il codice etico è un rischio troppo grande. La nostra cultura è garantista: un presidente, condannato in primo grado, dovrebbe decadere e sciogliere il consiglio. Si tratta di preservare una certa stabilità di governo. Noi, come pd, siamo orientati ad applicare la norma nazionale, mentre sul meccanismo di voto la nostra preferenza va all'ipotesi del ballottaggio: la legittimazione sarebbe più ampia e ci assicurerebbe un candidato più forte. Ho anche poposto una mediazione: doppio turno solo se non si arriva ad almeno il 40 per cento nella prima votazione".
Sul codice etico, in realtà, si parla anche di un timore legato alla Procura di Cagliari. Nell'ambito dell'inchiesta avviata nel 2009 sull'utilizzo dei fondi consiliari, infatti, starebbero per arrivare dei rinvii a giudizio per peculato anche per esponenti del pd. Applicare un codice etico più rigido, quindi, vorrebbe dire tagliare fuori molti del partito. Michele Piras, dimissionario segretario regionale di Sel, non vede il problema: "Abbiamo bisogno di trasparenza. Ho molto apprezzato il gesto della ministra Idem: eppure non c'era nessuna pendenza giudiziaria nel suo caso. Riguardo all'inchiesta della procura, poi, posso solo dire che chi ha operato con correttezza non ha nulla da temere. Il centro-sinistra deve solo preoccuparsi di elaborare proposte serie e concrete, e non dilaniarsi nelle solite guerre correntizie per favorire il proprio candidato. Trovo ci sia anche un numero eccessivo di partecipanti a queste primarie. Io preferirei la votazione a turno unico anche per questo". Il 15 luglio, o al più tardi il primo settembre (anche questo è da decidersi) dovrebbero essere ufficializzate le candidature alle primarie del centro-sinistra. Ma qualche nome circola già.
Oltre a Soru e Ganau, si parla anche di Francesca Barracciu, già segretaria regionale del Pd, consigliere e oggi eurodeputata nel Gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, entrata per il rotto della cuffia, come prima dei non eletti, per occupare il posto lasciato da Crocetta, che ha preso la guida della regione Sicilia.
Già al centro di numerose polemiche, l'eurodeputato un tempo sostenuto da Renato Soru, si troverebbe oggi a contendergli il posto alle primarie. Altre ipotesi nel centrosinistra sono quelle di Lilli Pruna, in quota Sel, docente di sociologia del lavoro all'Università di Cagliari e candidata al Senato nell'ultima legislatura (senza successo), e Franco Siddi, attuale segretario della Federazione nazionale della Stampa, che si presenterebbe nell'ipotesi che Soru non si candidi.
Roberto Deriu – ex dc e attuale presidente della provincia di Nuoro – è invece l'unico, finora, ad aver formalmente presentato la sua candidatura nel novembre del 2012. Più lineare il risiko delle candidature nel Pdl. Chi decide, alla fine, è solo Silvio Berlusconi.
Per il momento la candidatura ufficiale è quella dell'attuale presidente Ugo Cappellacci, già in piena campagna elettorale. Lo scorso 3 giugno, il governatore sarebbe uscito da un vertice di tre ore a Villa Certosa, con in tasca la garanzia della riconferma. Anche perché gli sponsor più vicini al governatore sono Angelino Alfano e Maurizio Lupi. Il consenso elettorale nei suoi confronti, da sondaggi interni che girano anche nel pd, sembra essere cresciuto, negli ultimi tre mesi, di ben due punti. Qualcuno ne attribuisce la causa, più che altro, alle divisioni interne alla coalizione di centro-sinistra, strangolata nelle proprie diatribe tra correnti.
Occorre anche capire quale ripercussione avrà l'operazione della nuova Forza Italia da qui a qualche mese. Certo è che, se dovesse esserci una candidatura alternativa, sarà calata dall'alto, dal Cavaliere. E gli indipendentisti? Claudia Zuncheddu, consigliere regionale di Sardigna Libera, muove un'accusa pesante verso l'attuale legge elettorale che, con le soglie di sbarramento così alte, taglierebbe fuori proprio le piccole formazioni autonomistiche: "Questa riforma elettorale – dice all'Espresso - discrimina le minoranze ed esclude le donne, proprio in un momento sociale e politico in cui stanno nascendo molti movimenti identitari. Il modello che passa è appiattito su un bipolarismo nazionale che male s'attaglia alla natura della società sarda. Ci vogliono far tacere. La speranza è di riuscire a proporre, tutti insieme, un nostro candidato alternativo".