Chiuso il Cie di Capo Rizzuto dopo la rivolta per la morte di un recluso. Ma il peggio deve ancora venire: previsto l'arrivo in massa di profughi in fuga dalle nuove guerre civili

"Gli italiani ci hanno accolto e il piccolo Abuda è tra le loro braccia. Stiamo tutti bene" rassicura Assam. E' l'8 agosto 2013, sotto un sole cocente e senza uno scampolo di ombra, Amina chiama la Svezia, dove vive suo marito. L'emozione le strappa un mezzo sorriso, anche se è stremata. E' arrivata da un'ora sul suolo d'Italia più a Sud, Portopalo, provincia di Siracusa, un paese di pescatori trasformato in frontiera del mare.

E' il 23esimo sbarco dall'inizio dell'anno e il bollettino della Guardia costiera registra 174 migranti irregolari di nazionalità siriana: 60 uomini e 41 donne, 33 bambini e 40 bambine. Più due egiziani che erano alla guida dell'imbarcazione in avaria soccorsa a poche miglia dalla costa. Famiglie di profughi di guerra. Bambini dagli sguardi ancora increduli. E uomini di trent'anni in cerca di un futuro altrove, dove la vita continua e non è come sospesa dalla guerra civile e dai bombardamenti. C'è un apicoltore dagli occhi azzurri, coi jeans tagliati che portano i segni di ore trascorse rannicchiati sul ferro. E uno chef arrivato con un cugino e un amico, che si scusa perché la sua maglietta nera puzza di sudore. Un bimbo che ha viaggiato con la madre incinta piange inconsolabile. E il gioco dei guanti di plastica trasformati in palloncino non riesce a distrarlo.

Chi arriva a terra si trasforma in numero. La Polizia lo 'pinza' sulla maglia e scatta una foto in primissimo piano. Così lo sbarco diventa un archivio digitale di facce attonite e stordite. Il primo step dell'identificazione dei clandestini. Roula è la numero 38. Di anni ne ha trentasei e insegnava inglese in una scuola privata. E' fuggita da Damasco con il marito, marketing manager in una concessionaria di auto, e il figlio quindicenne. Porta un cappello con la visiera sopra il velo e i Rayban, scarpe da ginnastica e una t-shirt a 3/4. Ha la pelle chiara e la parte scoperta delle braccia è ustionata. Dodici giorni in mare, se la memoria delle notti e dei giorni sempre uguali tra cielo e mare non mente. In tre hanno pagato 8000 mila dollari per il viaggio. "Abbiamo perso tutto: case, auto, lavoro. Andremo in Germania, perché speriamo che lì mio marito possa lavorare alla Volswagen, dove ha fatto un corso di formazione, anni fa".

Tutto quello che resta è in uno zaino e i risparmi di una vita nel reggiseno. La fuga è un buco nero: settimane per lasciare la capitale in sicurezza, evitando i posti di blocco sulle strade e poi il porto di Tartous, i trasbordi da una barca all'altra, il disagio del vivere ammucchiati, i più piccoli che hanno paura, hanno fame, piangono.

Dall'inizio del conflitto, cioè dal marzo del 2011, i siriani che hanno lasciato il paese segnato dalla guerra civile sono più due milioni, cioè quasi un terzo della popolazione. L' Unhcr ha già contato mezzo milione di profughi in Giordania, 400mila in Turchia, oltre 600mila mila in Libano e altri 250mila tra Iraq ed Egitto e stima che si arriverà ad una fuga di 1,2 milioni di persone entro la fine dell'anno. Amnesty International ha diffuso le immagini scioccanti della città di Aleppo distrutta dai bombardamenti delle forze governative. Le foto dal satellite registrano i danni alle autostrade, al suq al-Madina e alla città vecchia e alla grande moschea. E monsignor Zenari, il nunzio apostolico in Siria, ha raccontato alla radio vaticana una situazione drammatica che peggiora di ora in ora e ha stimato gli sfollati che hanno abbandonato le case e i villaggi rasi al suolo: 4 milioni.

Un frammento di quell'incubo arriva qui, sulle coste dell'estremo sud della Sicilia, dove la natura regala approdi naturali come la spiaggia dell'isola di Capopassero. Il faro si vede a 20 miglia di distanza e l'isoletta è un istmo vicino alla terraferma con acque basse e sicure. Le rotte che dall'Egitto e dalla Siria portano in Europa dirigono qui e il Gruppo interforze di contrasto all'immigrazione clandestina della Procura di Siracusa, unico in tutta Italia dal 2006, indaga sul traffico illegale di uomini, individua i responsabili, sequestra e distrugge i motopesca degli scafisti, imbarcazioni di ferro di oltre trenta metri che escono dai porti egiziani con regolari permessi di pesca, dove i passeggeri clandestini vengono condotti su gommoni a poche miglia dalla costa e che poi trainano barche più piccole di legno, che servono all'ammaraggio dei clandestini sulle coste siciliane.

Alcune imbarcazioni sono arenate in vari punti della costa, alla foce del Tellaro davanti alla spiaggia di Eloro, altre sono qui, sulle banchine o in acqua, sequestrate. Carlo Parini, sostituto commissario del pool della Procura siracusana, segue gli sbarchi quotidianamente e ha contato dall'inizio centinaia di arrivi di siriani: "La pressione politica e sociale in Siria è fortissima e la fuga via mare è l'unico sfogo possibile per la legittima aspirazione al cambiamento di vita, per questo sarebbe auspicabile che si attivasse un corridoio umanitario per chi arriva da quel paese".

All'ora del tramonto il puzzo di pesce toglie il fiato e gli sbarcati si ritrovano in una tendopoli all'esterno del mercato ittico, un edificio enorme rimesso a posto con un fondo a tre cifre dell'Ue, che però proprio per questo non può essere trasformato in centro di accoglienza per chi arriva. Lo spiega il sindaco del paese, Michele Taccone, sul molo anche lui ad ogni arrivo di stranieri, il cui appello inviato settimane fa al presidente Crocetta e al presidente Letta è ancora senza una risposta. La domanda è semplice: può un paese di tremila abitanti fare fronte all'approdo quotidiano di persone dall'altra sponda del Mediterraneo? I trenta volontari della protezione civile, le forze dell'ordine, la guardia costiera, sono tutti allo stremo delle forze e i fondi sono agli sgoccioli.

Incredibilmente, i bambini giocano a nascondino tra le volanti parcheggiate, mentre si distribuiscono merendine e succhi di frutta, ma non c'è un asciugamano e le docce sono un paio. Però sono arrivati i computer per l'identificazione dei clandestini. Qui, nell'avamposto estremo d'Europa, si registrano i dati che finiranno in Eurodac, il sistema che identifica chi varca la frontiera irregolarmente. Un archivio digitale enorme e costoso: nel 2009 la spesa per mantenere e gestire l'unità centrale è stata di 1.221.183,83 euro. E nello stesso anno i dati relativi all'Italia contano oltre 103 mila domande di asilo, più di 38.900 persone fermate per l'attraversamento irregolare di una frontiera esterna dell'Unione e 870 perché soggiornavano illegalmente in un paese dell'UE.

I siriani non intendono richiedere asilo e si oppongono all'archiviazione delle loro impronte digitali perché vogliono andare nei paesi del Nord Europa: parenti e amici li hanno informati che la registrazione in Italia potrà segnare le loro speranze di vita e il loro futuro. Il regolamento di Dublino sottoscritto dai paesi dell'Unione europea e da Norvegia, Islanda e Svizzera, penalizza di fatto la libera circolazione in Europa. Chi viene identificato in Italia dovrà richiedere il permesso di soggiorno o l'asilo politico e decidere di stabilirsi nel nostro paese. I respingimenti alle frontiene di persone registrate in Italia sono ormai quotidiani. Senza dire che ogni Questura interpreta a suo modo il diritto al documento di viaggio per chi ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari: a Siracusa viene negato, a Caltanissetta e a Catania invece viene rilasciato.

Il funzionario della Polizia spende tutto il suo vocabolario in inglese per convincere una donna all'identificazione. Ma lei lo guarda negli occhi e racconta senza una lacrima: "Può immaginare cosa significa essere stipati per giorni e notti, non avere spazio per muoversi, consolare i miei due bambini e convincerli a fare la pipì su di me e desiderare soltanto di poter allungare le gambe?". E' l'ultima immagine di una storia di esodi quotidiani. Qualche giorno dopo ho cercato le famiglie siriane di quello sbarco al centro Umberto I a Siracusa, un edificio alle porte della città dove vengono portati gli immigrati irregolari. C'erano Etiopi, Afghani, Nigeriani, ma nessun Siriano. Una settimana dopo ho chiamato il numero in Svezia rimasto in memoria sul cellulare. Amina era ancora in viaggio con suo figlio, ma aspettavano il suo arrivo proprio quella sera.

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