Una delle novità di politica economica introdotte dal governo americano durante la crisi finanziaria del 2008 fu l'uso massiccio di garanzie statali. Invece di aiutare le banche direttamente con dei sussidi, il governo scelse di farlo indirettamente, garantendo a chi prestava alle banche di riottenere i propri soldi, indipendentemente dalla sorte della banca a cui avevano prestato. Iniziato sotto Bush, l'uso delle garanzie statali come strumento di politica economica continuò con l'amministrazione Obama.
Come tutte le mode americane (buone o cattive che siano) anche questa è arrivata in Italia. Uno dei primi provvedimenti del governo Monti fu la garanzia statale per le obbligazioni bancarie contenuto nel decreto Salva Italia. Anche il governo Letta nel suo primo decreto ha aumentato di 200 milioni la dotazione del Fondo centrale di garanzia per le piccole-medie imprese. Ma è poca cosa rispetto a quello che Letta sta preparando: 50 miliardi di garanzie ai prestiti che le banche faranno alle piccole e medie imprese.
È facile capire perché le garanzie siano diventate uno strumento di politica economica così popolare: non comportano alcun esborso di cassa immediato. In un momento in cui i soldi non ci sono, basterebbe questo motivo per spiegare il loro successo. Ma non è l'unico motivo. Proprio perché sembrano non costare nulla, le garanzie permettono di fornire forti sussidi a gruppi politicamente influenti senza suscitare violente reazioni popolari. Cosa avrebbe tuonato Grillo se il governo Monti avesse regalato alle principali banche italiane 3,5 miliardi l'anno per i prossimi cinque anni? Eppure il valore di mercato delle garanzie offerte dal decreto Salva Italia alle nostre banche è più o meno questa cifra: almeno 4 punti percentuali di sconto rispetto al prezzo di mercato delle garanzie su un ammontare di debiti pari a 86 miliardi. Se la reazione di indignazione è stata contenuta, è perché il costo era invisibile.
Anche se il costo è invisibile, poi spesso il conto bisogna pagarlo. Per anni il Tesoro americano si è cullato nell'illusione che la garanzia offerta ai due giganti dei mutui (Fannie Mae e Freddie Mac) fosse senza costo. Perfino il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz aveva dichiarato che la probabilità di default di uno dei due giganti «è nettamente inferiore a una su 500 mila, e potrebbe essere meno di una su 3 milioni." Ma nel 2008 sia Fannie Mae sia Freddie Mac fallirono e il governo americano dovette sborsare quasi 200 miliardi di dollari per ripianare le perdite.
Le garanzie che il governo Letta si appresta a fornire alle banche sembrano ancora più pericolose. Invece di subentrare solo se le perdite sono superiori a un certo livello, il governo si assumerebbe metà del rischio su ogni nuovo prestito emesso. Dato un tasso di perdite intorno al 9 per cento, garantire al 50 per cento 100 miliardi di prestiti costerebbe al governo "solo" 4-5 miliardi (pari all'incirca all'Imu sulla prima casa). Purtroppo il rischio è che le banche scelgano di estendere questi prestiti ai loro clienti peggiori, quelli che hanno già in carico e da cui non si aspettano di essere ripagati. Rinnovando i prestiti con la garanzia statale, le banche sarebbero in grado di scaricare metà delle perdite già subite sui conti pubblici, con effetti devastanti sul bilancio pubblico. E invece di stimolare prestiti alle nuove imprese, queste garanzie avrebbero l'effetto di tenere artificialmente in vita imprese zombie, con effetti deleteri sull'economia.
Come se non bastasse queste garanzie, vendute come un aiuto alle piccole e medie imprese, rischiano di trasformarsi in un aiuto alle sole banche. In un mercato perfettamente competitivo, non importa chi riceve il sussidio, questo finirà sempre per favorire il consumatore (in questo caso le imprese). Ma il nostro mercato bancario è lungi dall'essere perfettamente competitivo. Quindi una parte notevole del sussidio rischia di finire nelle mani della banche, le quali sono possedute a loro volta da fondazioni di nomina politica. Così, alla fine, è sempre la politica che finanzia se stessa, a spese dei contribuenti.