«Nove mesi fa, alle primarie, ho votato Bersani. Poi ho capito che la sua discrezione era in realtà un balbettio. E oggi sto con Matteo perché è imperfetto, incauto e solo».  L'endorsement del regista e scrittore Roberto Andò

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Molte delle caratteristiche che nel tempo hanno contribuito a rendere Matteo Renzi simpatico agli italiani hanno il potere di provocare fastidio, se non addirittura raccapriccio, negli ambienti intellettuali deputati a orientare gli umori della sinistra. Persino la sua travolgente parlantina crea dei malumori, da molti puristi è vista come la sigla di un presunto camaleontismo, la dimostrazione dell'aspetto puramente performativo della politica di oggi, indifferente alla sostanza e all'anima che si vorrebbe possedesse. Ma il discorso che il sindaco di Firenze ha pronunziato all'indomani della sconfitta subita alle primarie del Pd era appassionato e sorprendentemente evocativo delle ragioni che la politica può oggi rivendicare.

Lo dico smentendo i miei passi, io sono uno di quelli che ha votato Bersani. Mi piacevano la sua discrezione, le sue comprovate caratteristiche di amministratore, la sua incapacità di fingere. Mi sono sbagliato, la discrezione non può diventare balbettìo, meno che mai quando si ha di fronte un avversario come Berlusconi. Le inaccettabili misure prese dal gruppo dirigente del partito per imbrigliare Renzi in quelle primarie dimostrano quanto fosse necessario già allora dargli fiducia, sparigliare le carte di un elettorato immobile e pauroso come quello italiano. Bisognava scommettere su Renzi, sulle sue imperfette qualità di leader. Meglio averne di imperfette che non averne del tutto per sconfiggere politicamente Berlusconi. In un paese di tendenza gerontocratica come il nostro sarebbe stata una piccola rivoluzione culturale scommettere su una guida politica giovane.

L'imperfezione di cui dicevo potrebbe domani essere la garanzia della sua qualità. Il fatto di non aver ancora fissato una maschera definitiva sul proprio volto dà a Renzi un vantaggio, la libertà di poter sperimentare fino in fondo chi è. E poi la sinistra deve imporsi un altro tipo di realismo, non quello delle larghe intese, non il realismo che fa ingoiare le istanze migliori in cui si è creduto, che fa calpestare le speranze che ci hanno accompagnato e nutrito, che fa arretrare sulle questioni su cui si gioca l'identità profonda e la vigilanza proprie dell'essere di sinistra, parlo del realismo di una compagine che ha finalmente compreso la necessità di allargare il proprio bacino elettorale, sconfiggendo i pregiudizi di un elettorato di destra e di centro che potrebbe ora aver voglia di cercare dei riferimenti diversi, in linea con altre nazioni europee.

Circola una battuta in cui il sindaco di Firenze è raffigurato come leader della destra post-berlusconiana. La battuta coglie le proporzioni della tragedia politica italiana, la sua identità sfigurata, un paesaggio in cui è difficile distinguere il vero dal falso. A chi non crede nelle magnifiche sorti e progressive il nome di Renzi non va certo giù. Pesa il suo passato democristiano, pesa la duttile disinvoltura con cui parla degli argomenti, l'incertezza di esistere (ben motivata dal fuoco incrociato cui è sottoposto) che lo porta a intervenire in occasioni in cui converrebbe tacere o non andare, per esempio dalla De Filippi. Incauto, lo si potrebbe definire così. Con troppa energia, incontenibile.

Ma c'è in lui qualcosa che a me (e a quanto pare non solo a me) sembra molto interessante e che rompe lo schema consolidato degli attuali candidati premier della sinistra: l'essere sino in fondo un uomo solo, il possedere una voce propria. Quello che si è guadagnato in termini di popolarità e consenso, Renzi lo deve solo a se stesso. Ai propri errori, alle battaglie che ha vinto, all'irruenza giovanile, a una intelligenza politica per nulla compassata, alla propria voglia di fare e di sfidare, alla smisurata ambizione, lì dove l'imitazione di Crozza ne evoca parodisticamente il genio e la macchietta.

Io sono dalla parte di chi ritiene giusto dargli la chance di governare questo Paese perché sono pronto a scommettere sul profilo che in futuro Renzi saprà dare al proprio prestigio, le responsabilità potranno infatti aiutarlo a definire ciò che di indefinito ancora possiede, e il suo inconsueto rispetto per la cultura ( che si fa notare nel grigio incombente imposto dai nuovi leader tecnocrati) può divenire la sua chiave per affrontare le macerie del ventennio che si è appena concluso. Magari mi sbaglio, ma dopo Veltroni (altro uomo solo), il leader con cui oggi la sinistra può cambiare la palude italiana è Renzi, io la chance gliela darei.

P. S. Un consiglio, Renzi: non ascoltare altra voce che non sia la tua (Bertolt Brecht).