Padri, mogli, figli. A Perugia, nella facoltà di medicina e all'ospedale, i cognomi che contano sono sempre gli stessi. Mentre le immatricolazioni degli studenti sono in caduta libera e la valutazione dei risultati accademici è tra le più basse in Italia
Che non si osi parlare di parentopoli. Nell'ateneo di Perugia, e in particolare nella facoltà di medicina, nessuno vuole sentire questa parola. Eppure, tra i dipartimenti dell'università e tra i reparti dell'ospedale del capoluogo umbro, i nomi che si ritrovano sono sempre gli stessi. Una valanga di mogli, mariti, zii, figli. Tutti insieme appassionatamente. "Beh - ci dice il preside di facoltà, il professore Luciano Binaglia - in una cittadina come Perugia se il figlio di un dottore decide di intraprendere la carriera medica è più che normale ritrovarli nella stessa struttura ospedaliera. Il problema quello vero è andare a vedere come si sono svolti i concorsi. Se uno è meritevole è giusto stia lì". Lettura impeccabile, ci mancherebbe. Alcuni casi, però, lasciano più di un dubbio, specie se moglie, marito e figlia poi li ritroviamo nello stesso reparto e nello stesso dipartimento.
FAMIGLIE INTERE NEGLI STESSI DIPARTIMENTI - L'ordinario di gastroenterologia Antonio Morelli, per dirne una, lavora ormai da anni fianco a fianco con la moglie, Monia Baldoni, e con la figlia, Olivia Morelli. Entrambe ricercatrici. Entrambe nello stesso dipartimento di papà e consorte. E come se non bastasse le ritroviamo entrambe anche nell'equipe medica proprio del reparto di gastroenterologia dell'Ospedale di Perugia, il cui primario - indovinate un po' - è ancora lui, Antonio Morelli. Altra medaglia al merito:
come rivelato già da L'Espresso, Morelli, su cui pende già una condanna in via definitiva, è ora rinviato a giudizio per truffa a danno proprio dell'Azienda Ospedaliera. Secondo l'accusa avrebbe "dirottato" pazienti dalla struttura pubblica a quella privata dell'Ars Medica, di proprietà proprio della moglie Monia Baldoni.
Ma andiamo avanti. Già, perché basta spostarsi di poco per leggere altre situazioni simili. Come quella dei Mannarino. Elmo, infatti, è professore ordinario e primario del reparto di medicina interna dell'ospedale. Proprio lo stesso reparto dove ha trovato occupazione un altro Mannarino, Massimo Raffaele, che è anche ricercatore nel dipartimento di medicina clinica e sperimentale. Lo stesso - manco a dirlo - dove Elmo è ordinario. Che dire, poi, della famiglia Donato. Calabrese proprio come Morelli e come Mannarino, Rosario Francesco è professore ordinario di anatomia umana. Ebbene, nello stesso dipartimento lavorava anche la consorte, Ileana Giambanco. Il figlio Giulio, invece, è titolare di un assegno di ricerca proprio nel reparto di gastroenterologia della famiglia Morelli.
Ma di coniugi, d'altronde, ne troviamo a gogò. Lanfranco Corazzi, professore ordinario, condivide vita e ricerca con Rita Roberti, professoressa associata: entrambi docenti di biochimica, entrambi nel dipartimento di medicina interna. E anche spostandosi di uffici la situazione non cambia: Paolo Puccetti, ordinario di farmacologia al dipartimento di medicina sperimentale e scienze biochimiche, lavora fianco a fianco con la consorte Luigina Romani, ordinaria di patologia generale. Curiosità: la Romani è finita sotto processo perché, secondo l'accusa, avrebbe alterato un concorso da ricercatore favorendo una persona di suo gradimento.
Eppure pare proprio che questi legami parentali non facciano più di tanto scalpore. Secondo il professor Puccetti "non ci sono casi eclatanti che possono far parlare a Perugia di quello che tecnicamente è noto come 'nepotismo'. Sicuramente ci possono essere letture che potrebbero far pensare a una sorta di consociativismo". Ecco, 'consociativismo'. Nulla più. E poi, continua il docente, "è una cosa comune a tutto l'ambiente universitario che io conosco. Universitario ed extrauniversitario. Ci sono anche ciabattini figli di ciabattini, voglio dire".
UNA SFILZA DI NOMI, UNA RETE INCREDIBILE - "Non bisogna dimenticare - chiosa Puccetti - che spesso in alcune famiglie si tramanda un amore per la medicina". Tanto basterebbe a giustificare il tutto. Ma dev'essere stato un "amore" ai limiti dell'impossibile vista la mole di parenti che lavorano "core a core" nell'università e che godono anche di una convenzione con il Servizio Sanitario Regionale. Come non sono pochi, peraltro, i figli e nipoti di ex primari oggi in pensione. Insomma, anche la sfilza delle seconde generazioni è decisamente lunga. Quello che ne esce è una rete incredibile. Carlo Cagini, per dire, è professore associato presso l'ateneo ma anche primario del reparto di clinica oculistica, lo stesso reparto dove tra gli altri lavora Tito Fiore, il quale è anche ricercatore universitario e, soprattutto, è figlio di Cesare, ex primario ed ex ordinario proprio di oculistica. Il fratello di Carlo, Lucio Cagini, oltre ad essere anche lui ricercatore, è membro dell'equipe medica di chirurgia toracica e componente del cda universitario. Nello stesso reparto lavora, come dirigente di prima fascia, anche Niccolò Daddi, figlio dell'ex professore Giuliano che, manco a dirlo, era primario dello stesso reparto.
E che dire, ancora, dei fratelli Gerli, Roberto (ordinario) e Sandro (ricercatore), il primo responsabile della struttura semplice di reumatologia, il secondo dirigente di seconda fascia della clinica ostetrica e ginecologica. Nello stesso dipartimento di Roberto Gerli, lavorano come associata anche Laura Pasqualucci, il cui cugino, Alberto, è ordinario di anestesiologia, ed Enrico Velardi, ricercatore e figlio di Andrea, ordinario in malattie del sangue.
Basta incrociare i nomi, dunque, per capire come, spesso, ruoli apicali spettino a persone della stessa famiglia. Anche quando padre, marito o zio è andato in pensione. E così, se ad esempio l'ex preside Adolfo Puxeddu ha appeso il camice al chiodo (ma resta comunque professore emerito), il figlio Efisio è ricercatore in medicina interna oltre a lavorare anche lui in ospedale, nel reparto di medicina endocrinologica. Situazione analoga a quella dei Martelli: l'ex ordinario Massimo è oggi emerito, mentre la figlia, Maria Paola, è ricercatrice e dirigente di ematologia. E ancora Giuseppe Rinonapoli: professore associato e membro dell'equipe medica di ortopedia, lo stesso reparto dove lavorava, da ordinario, il padre Emanuele.
Insomma, quella perugina sembrerebbe una realtà del tutto naturale, visti i numerosi i casi. Se infatti Renato Palumbo, ex primario di medicina nucleare, è andato in pensione, oggi nell'equipe medica dello stesso reparto ritroviamo la figlia Barbara nelle vesti di dirigente di prima fascia, mentre Isabella, la seconda, lo è di radioterapia oncologica. Entrambe, ovviamente, anche ricercatrici universitarie.
Che sia una realtà che va avanti da tempo, lo capiamo colloquiando telefonicamente con il preside Binaglia, il quale, alla nostra domanda, argomenta: "guardi, non penso che le malversazioni siano poi così diffuse". E poi aggiunge: "Noi peraltro abbiamo una regola - non solo noi ma proprio tutto il sistema universitario - per la quale non possono lavorare nello stesso dipartimento persone fino al quarto grado di parentela". Ebbene, il silenzio del professore che segue alle nostre osservazioni sui tanti casi della facoltà che tradiscono tale "regola" è più eloquente di mille parole. "Eh... ahimè sì... ma è una situazione che ho trovato. Non potevo mica licenziarli?".
I TRE LUSTRI DEL RETTORE BISTONI - Una situazione surreale, dunque. Che si è acuita, dicono i ben informati, sotto la lunga gestione del rettore Francesco Bistoni, non a caso anche lui proveniente proprio dalla facoltà di medicina (di cui è stato anche preside dal 1987 al 1994). Ben quattordici anni di mandato per lui. Era il 1999, infatti, quando divenne numero uno dell'università di Perugia. E da allora è riuscito a prolungare fino all'inverosimile la sua presenza sullo scranno più alto dell'ateneo (scranno da circa 196 mila euro annui. Qualcosa come 16 mila euro al mese). Surreali anche le proroghe ottenute per arrivare ad essere uno dei rettori più longevi d'Italia. Lo statuto accademico che vigeva nel '99 prevedeva un mandato di tre anni con una sola proroga. Insomma, Bistoni avrebbe potuto collezionare sei anni di rettorato se tutto fosse rimasto invariato. Peccato però che durante il primo mandato il regolamento interno cambia: gli anni diventano quattro. Ergo: strada spianata per Bistoni fino al 2007. A questo punto, però, il rettore riesce nuovamente a cambiare lo statuto con l'inserimento di una norma ad personam: ulteriore elezione giustificata dal fatto che, poiché l'anno dopo si sarebbe tenuto il 700centesimo anniversario dell'ateneo perugino, era necessario garantire continuità per l'organizzazione delle celebrazioni. Arriviamo così al 2011. Ma non è finita: interviene un'ulteriore proroga in virtù di un comma della riforma Gelmini, che prevedeva che i rettori in carica al momento dell'adozione dei nuovi statuti (previsti appunto dalla riforma) potessero restare per altri dodici mesi. Una norma di transizione per accompagnare il passaggio dal vecchio al nuovo. Peccato però che una parte dei rettori (tra cui, guarda caso, anche Bistoni) la interpretano in modo estensivo agganciando alla prima proroga, dal 2011 al 2012, una seconda aggiuntina, di un altro anno. Risultato: per l'immortale rettore perugino lo scranno è rimasto saldo.
Risultato? I quattordici anni di Bistoni - che si concluderanno, nel caos più totale, tra poco più di un mese con l'elezione del nuovo rettore - hanno portato l'ateneo umbro ad uno scadimento progressivo della qualità della ricerca e dell' insegnamento. Almeno questo è quello che sembra andando a leggere l'ultima valutazione dell'Anvur (luglio 2013): l'ateneo umbro si è piazzato 21esimo sui 32 grandi atenei complessivi, con poche punte di eccellenza e ripercussioni negative sui fondi ministeriali (che peraltro, come se non bastasse, verranno congelati visto che l'università perugina sarà l'ultima a recepire la riforma Gelmini). Avremmo voluto parlarne direttamente con Bistoni. Ma "in questo periodo è praticamente impossibile", ci dicono dal rettorato. Peccato.
E gli studenti? Questi, come indica il crollo delle iscrizioni (meno 30% in 8 anni), stanno ormai scomparendo. Ma i professori, quelli no. Restano. Soprattutto se sei "figlio di".