L’epidemia distrugge l’Africa, ma di fronte a migliaia di morti e a milioni di bambini che non possono andare a scuola, i media sono paralizzati da un morto in Occidente. Così spendiamo soldi per chiuderci dentro e lasciare che loro affondino

Quasi quattromila morti, ottomila persone che hanno contratto il virus, due terzi delle quali tra i 15 e i 50 anni, la popolazione attiva; migliaia di orfani e sei milioni di bambini che non possono andare a scuola; e solo 30 unità mediche in tutta l’aerea colpita. 32,6 miliardi di dollari bruciati in tre dei paesi più poveri del mondo e in quelli loro vicini, altrettanto poveri. Mentre i raccolti restano nei campi: il 30 per cento del raccolto mondiale di cacao, ad esempio, non sarà raccolto in Costa d’Avorio perché non sarà possibile far venire i lavoratori dalla vicina Sierra Leone; e i commerci sono fermi in attesa che i voli riprendano a decollare. L’anatomia di Ebola l’ha fatta il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong King, il 10 ottobre scorso riconoscendo che in 11 mesi né la Banca né alcuna altra autorità internazionale ha preso misure davvero efficaci per contenere l’epidemia.

Perdonatemi se di fronte a tutto ciò non mi commuovo per l’infermiera infettata a Dallas. Spero davvero che le sue condizioni migliorino come stanno migliorando quelle di Teresa a Madrid. Ma non me la sento di guardarmi l’ombelico mentre un intero contenente affonda. Soprattutto perché la danza della paura ogni volta che un virus esce dai paesi poveri dove è endemico e fa danni serve solo a chi fa i soldi su quella paura.

Le due infermiere si sono infettate perché qualcosa è andato storto nelle procedure di sicurezza. Ho già scritto che era e rimane inevitabile. Che ce ne saranno altri; che anche nel nostro paese è molto probabile che ci sarà un paziente zero proveniente da qualche parte del mondo, e non escludo che qualche sanitario in prima fila potrebbe infettarsi.

[[ge:rep-locali:espresso:285505733]]

Il nostro Ssn è tra i migliori del mondo, ma ricordo che in Calabria si muore ancora di parto, che le infezioni ospedaliere sono la regola, che di taglio in taglio più della metà delle regioni italiane non riesce a far fronte alle nostre malattie (ben conosciute e programmabili), figurarsi con un agente infettivo sconosciuto che nessuno nel nostro paese ha mai gestito. Mi aspetto che in un qualche ospedale massacrato dai tagli e da direttori generali attenti al budget e ai padrini politici più che alla sicurezza accada l’inevitabile.

Ma saranno casi isolati, dolorosi ma isolati. Tutti gli scienziati veri del pianeta lo ripetono da giorni e uno come Anthony Fauci, forse il massimo esperto mondiale di malattie infettive, ha spiegato in dettaglio come la povera infermiera di Dallas possa essersi contagiata, e ha detto che l’unica cosa che non siamo in grado di fronteggiare è un “epidemia di paura”.

Invece gli untori della paura sono al lavoro da giorni. Così magari si potranno vendere un po’ di guanti in più. Farmaci, tute, diavolerie hi-tech di ogni tipo. Si tortureranno i medici delle divisioni di malattie infettive convincendoli a stare belli concentrati su Ebola, mentre in reparto ci sono malati colpiti da altri virus più pericolosi alle nostre latitudini: il settimanale Time ha fatto un intelligente confronto tra il panico Ebola indotto negli Usa da 1 infezione causata da un virus poco infettivo e il disinteresse per un pericolosissimo virus gastroenterico che ha infettato negli stessi giorni 664 persone, uccidendo un bambino di 4 anni.

Ma un virus gastroenterico non ha l’allure esotico di Ebola, non viene dal cuore di tenebra del mondo, non può chiamarsi peste. Ma soprattutto non si può cercare di fermarlo alle frontiere.

Perché è questo lo spettro: un killer che viene da fuori…. Storia vecchia, così raccontata e vista che sembra imbarazzante cascarci ancora. Ma tant’è.

E allora? La reazione è quella di chiuderle quelle frontiere. Annullare voli, fermare la gente negli aeroporti, lasciare che stiano a morire a casa loro. Sembrerebbe l’unica misura di prevenzione. Se non fosse che uno studio di Dirk Brockmann della Humboldt Universitat di Berlino ha analizzato i flussi di voli dall’Africa centrale e scoperto che la stragrande maggioranza dei passeggeri viene smistata negli hub (Bruxelles, Londra, Parigi…): quindi fermare i voli da Monrovia o i passeggeri che vengono da Freetown non serve a un bel niente.

Dunque? Vi ricordate la Sars, l’aviaria? La suina? Titoli e titoli. Panico seminato a larghe mani, soldi buttati via in inutili vaccini o ancor più inutili farmaci. La paura è un grande business. E gli untori, più o meno consapevolmente, lo alimentano. Intanto l’Africa affonda. E io mi vergogno da morire.