L'Inter di Massimo è in mano a Thohir. Le raffinerie sarde della Saras sono finite nel carrello dei russi di Rosneft. Ecco cosa succede ai fratelli Moratti

Massimo Moratti in panchina con l'allenatore Roberto Mancini
L’Inter a Massimo, il petrolio a Gianmarco. Sembrava questo il destino dei due fratelli Moratti, da sempre convinti che la ricchezza serva a comprare una passione. Finché la passione non consuma la ricchezza e bisogna aprire le porte agli stranieri, magari meno tifosi ma sicuramente più ricchi.

Così oggi l’Inter ?è in mano al magnate indonesiano Erick Thohir e dopo diciannove anni Massimo Moratti non ne è più il presidente, pur restando azionista con il 29,5 per cento. Le raffinerie sarde della Saras sono invece finite nel carrello dei russi di Rosneft che l’anno scorso hanno comprato il 21 per cento dell’azienda nel cui consiglio di amministrazione ora siede anche il capo del colosso petrolifero di Mosca, Igor Sechin, l’amico di Vladimir Putin e ex agente del Kgb finito di recente nella lista nera degli oligarchi del Cremlino stilata dalla Casa Bianca. Un socio scomodo, ma necessario.

Sono infatti lontani i tempi della quotazione in Borsa avvenuta nel 2006 al prezzo stellare di 6 euro per azione. È arrivata la crisi strutturale delle raffinerie e la concorrenza dei colossi che integrano anche la distribuzione. Morale: Saras capitalizzava oltre cinque miliardi, oggi appena 750 milioni e in Borsa vale attorno agli 80 centesimi. Senza i capitali di Sechin i forzieri di famiglia sarebbero quindi rimasti a secco. Due punti cruciali dell’accordo con Rosneft, però, non ?si sono ancora concretizzati: la creazione di una joint venture per la commercializzazione del petrolio nonché l’aumento della quota in Saras da parte dei russi. A fine ottobre sembrava che l’armata di Rosneft fosse pronta a muoversi. La radio di Mosca e alcune agenzie di stampa riportavano infatti la notizia di trattative in corso per acquistare un altro cospicuo pacchetto di azioni del gruppo dei Moratti citando, come fonte, Antonio Fallico.

Ovvero il numero uno ?di Banca Intesa Russia, che starebbe seguendo l’operazione. Eppure solo sei giorni prima, Sechin non si era sbilanciato sull’eventualità di un’ulteriore crescita nel capitale di Saras. «Non è un cattivo asset per noi» ma «c’è veramente bisogno di aumentare l’efficienza con la possibilità ?di sviluppare l’impianto petrolchimico in Sardegna», aveva detto a margine del Forum euroasiatico di Verona, organizzato dallo stesso Fallico. Non solo. I rapporti con i russi sono buoni ma le sanzioni imposte da Usa e Ue per la crisi ucraina stanno bloccando l’alleanza commerciale tra Saras e Rosneft. L’accordo, siglato ?nel 2013, riguardava le operazioni di commercializzazione e lavorazione del greggio oltreché la vendita di prodotti petroliferi dal 2014. Niente da fare, ?la joint venture non parte: «Risente della situazione politica, aspettiamo di capire cosa succederà», ha detto nei giorni scorsi il direttore generale di Saras, Claudio Scaffardi.

L’azienda ha dimezzato le perdite ma nell’ultimo trimestre ha anche visto scendere il fatturato del 15 per cento (a 2,4 miliardi) per colpa del calo delle quotazioni petrolifere. Intanto, ?a metà 2013, la raffinazione è stata conferita alla controllata Sarlux per concentrare in un’unica società tutte le attività del sito di Sarroch. E la stessa Sarlux in settembre ha comprato dall’Eni alcuni impianti dello stabilimento Versalis, sempre nei dintorni di Sarroch. Un assist importante potrebbe arrivare dal governo. Il decreto “Sblocca Italia” trasferisce le competenze dalla Regione Sardegna allo Stato in materia di bonifiche, ricerca ?e costruzione di infrastrutture per il gas. Nei mesi scorsi la Saras si è vista bocciare dalla giunta sarda il cosiddetto Progetto Eleonora sulla ricerca nel sottosuolo di metano in provincia di Oristano. Ma se Matteo Renzi dirà sì, le trivelle partiranno. Spingendo Sechin, sperano i Moratti, ?a riaprire i cordoni della borsa.