Gli apparecchi che permettono di udire a chi ha problemi di sordità sono sempre più sofisticati. E vengono impiantati nel cranio. Così bambini e adulti non dovranno più imparare il linguaggio dei segni
Non si vedono quasi più. I bambini - e gli adulti - che parlano la lingua dei sordi sembrano scomparsi. Ma oggi più di un bambino ogni mille nasce o acquisisce una sordità profonda, e il numero di anziani che vivono a lungo ma con gravi deficit auditivi è in continuo aumento. Ciò che è cambiato sono gli impianti cocleari, strumenti un tempo pionieristici (il primo è stato messo in Italia nel 1983), ma anche voluminosi, aggravati da un rumore di fondo in cui si potevano udire suoni non sempre distinguibili, oggi invece grandi come un paio di monete da un euro per la parte interna, impiantata - con un intervento di un’ora - nel cranio dietro l’orecchio, e come una sola moneta per la parte esterna, colorati, in alcuni casi del tutto impermeabili (e utilizzabili quindi sempre, anche in acqua), compatibili con esami quali la risonanza (un tempo andavano tolti), e regolati da telecomandi wireless piccoli e leggeri.
Mettere a punto questi device è una faccenda così complessa che ha comportato una sorta di rivoluzione, e la nascita di una nuova disciplina, la neuro-otologia, con un’Accademia Europea e un presidente, Franco Trabalzini, responsabile dell’unico reparto italiano dedicato completamente alla chirurgia otologica e della base cranica, presso l’Ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena.
«Avanzamenti tecnici e scientifici sono andati di pari passo. Innanzitutto si è trattato di capire tutte le possibili cause di sordità: alterazioni genetiche, conseguenze di nascite premature, molte malattie autoimmuni e neurologiche, l’invecchiamento. Ognuna di queste condizioni può richiedere un differente tipo di impianto, che stimoli il nervo rimasto in un punto molto specifico. Per questo sono nati dispositivi sempre più adattabili al singolo paziente, e si è sviluppata, appunto, la neurotologia, una iperspecializzazione nata dalla fusione di discipline come l’otorinolaringoiatria, l’audiologia e la neurologia. Per lavorare su una struttura così complessa, piccola e delicata come l’orecchio è infatti necessario unire le diverse competenze, oltre a una significativa abilità chirurgica», riassume Trabalzini.
I nuovi impianti recepiscono le onde sonore tramite la parte esterna, e trasmettono lo stimolo a ciò che rimane del nervo tramite quella interna che, per poter essere inserita, ha bisogno di una sufficiente integrità anatomica della coclea, dove è alloggiato il nervo acustico che porta gli stimoli al cervello. Così, sottolinea ancora l’esperto: «Si può garantire una qualità del suono poco differente da quella naturale, e questo ha enormi ricadute per esempio per i bambini. In età scolare, oggi i piccoli sordi non hanno quasi mai bisogno di un sostegno, apprendono come gli altri e possono condurre una vita normale». Anche per questo sempre più persone scelgono questa strada: gli strumenti moderni teoricamente durano tutta la vita, cioè non vanno incontro a usura come altre protesi, e costano attorno ai 20 mila euro, interamente rimborsati dal Ssn.
Agnese Codignola