La rivendicazione di avvocati professionisti e freelance contro i contributi imposti dalla cassa forense sta contagiando altre categorie di lavoratori autonomi: architetti, farmacisti, medici. Che si considerano vessati dagli inasprimenti previdenziali previsti dalla legge di stabilità

La protesta dei giovani avvocati #iononmicancello è stata come un piccolo detonatore, che ha fatto esplodere le rivendicazioni di professionisti e freelance alla vigilia del nuovo anno: ma soprattutto è montata nei giorni dell'approvazione della legge di stabilità, contestata proprio perché inasprisce il carico previdenziale e tributario sulle partite Iva. Tanto che il premier Matteo Renzi ha dovuto dichiarare che varerà “un provvedimento correttivo ad hoc per i prossimi mesi”.

[[ge:rep-locali:espresso:285141280]]“Dopo l'articolo dell'Espresso sulla nostra iniziativa - racconta l'associazione forense Mga - abbiamo avuto più di cinquecento nuovi iscritti al giorno al gruppo Facebook, e sono piovute valanghe di selfie. Ma ci hanno contattato anche architetti, farmacisti, medici, operatori dell'editoria e dei media: tutti stanchi delle vessazioni, e di riforme che ancora oggi, nonostante le promesse del governo, restano ostili al mondo degli autonomi”.



I professionisti e i freelance, descritti da molti come “i nuovi poveri”, insomma si organizzano. Si sono intensificati i contatti con gruppi come Acta e La fuga dei cervelli, la Federazione nazionale Parafarmacie e i Giovani medici, per tentare di costruire una piattaforma comune da sottoporre al governo. Mentre i giovani avvocati hanno già programmato di recarsi a Roma, per una protesta – questa volta non virtuale – davanti al portone della Cassa forense: “Molti di noi hanno una media di reddito di 5 mila euro annui – spiega Valentina Restainò, di Mga – Come si fa a chiederci contributi minimi uguali per tutti di 3800 euro l'anno? E c'è chi deve arretrati per oltre 10 mila euro. Con che cosa dovremmo mangiare?”.

Senza contare tutte le altre tasse, e le spese varie che si devono affrontare per tenere aperto uno studio. Sì, perché in questo caso la protesta è animata dai titolari di uffici privati, in particolare quelli di fascia medio-bassa, che hanno enormi difficoltà ad arrivare a fine mese. Gli avvocati in Italia sono circa 240 mila, e solo il 10% di loro dichiara redditi superiori ai 90 mila euro: la gran parte dei restanti deve barcamenarsi con una vita sempre più difficile e precaria, con i clienti che chiudono o falliscono, e redditi che quasi mai superano i 10 mila euro annui.

Un po' più tranquilli sono i cosiddetti “sans-papiers”, ovvero i senza contratto: avvocati stipendiati, con un fisso mensile, dagli studi più grossi. Dipendenti di fatto ma non di diritto. Poiché la loro condizione non è normata, fatturano ogni mese sempre la stessa cifra al titolare: si va dai 700-800 euro netti nel Sud (quando va bene), fino ai 3500 euro degli associati di diritto internazionale a Roma o Milano. Infine, ultima ruota del carro, i praticanti: due anni a sgobbare, quasi mai retribuiti.

Un settore in fortissimo disagio, che adesso è esploso: e il malumore è andato a convergere tutto contro i contributi previdenziali richiesti dalla Cassa forense, contestati perché prevedono un fisso minimo, indipendente dal reddito. “Ci teniamo però a precisare – spiega il presidente di Mga, Cosimo D. Matteucci – che non abbiamo mai invitato nessuno a non pagare i bollettini. Piuttosto sosteniamo che chi non ce la fa a saldare in tempo, non debba essere costretto a cancellarsi dall'albo. E chiediamo una riforma: si passi al sistema contributivo, come è per tutti gli altri lavoratori, in modo che quanto dovuto sia sempre proporzionale al reddito”.

Ma l'istituto previdenziale degli avvocati non approva questa richiesta. Anzi ritiene che i giovani legali si sbaglino, e che chiedendo di accedere al contributivo si stiano gettando la zappa sui piedi: “Il sistema attuale, un misto di retributivo e contributivo, è il migliore che potessimo adottare: tutela veramente tutti, soprattutto quelli di fascia medio-bassa che oggi protestano – dice all'Espresso Nunzio Luciano, presidente di Cassa forense – Permette di avere a fine carriera una pensione minima di 800 euro, mentre se adotti il contributivo rischi di prenderne solo 300-400. Ma non basta: assicuriamo l'assistenza sanitaria, una banca dati gratuita, la pensione di invalidità. In più per sei anni puoi accedere al regime agevolato, pagando 831 euro l'anno invece dei 3800, e per ulteriori due anni solo 1400 euro. E' vero che per godere pienamente di questi otto anni, poi si dovranno riscattare più avanti saldando la differenza, ma io chiedo a chi ci contesta: quale altro ente garantisce tanto? E il tutto grazie anche a un contributo di solidarietà pagato dai professionisti più ricchi”.

Un nodo, quello della pensione, che interroga l'intero mondo degli autonomi: se per un verso, con la campagna #dicano33, professionisti, partite Iva e freelance si battono contro il progressivo innalzamento dei contributi Inps dal 27% al 33% (norma confermata dalla legge di stabilità), dall'altro lato è vero che affidarsi al contributivo puro espone al rischio di futuri assegni da fame. Cassa forense comunque lancia una scialuppa di salvataggio ai morosi di oggi: “Abbiamo concordato con Equitalia la possibilità di rateizzare i pagamenti su 36 o 72 mensilità, voglio aiutare il più possibile questi ragazzi”, spiega il presidente Luciano.

Su tutt'altra posizione un ex presidente di Cassa Forense, l'avvocato Paolo Rosa, che invece sostiene le ragioni del movimento #iononmicancello: “Cassa forense sta scoppiando, rischia di implodere: a fronte di un patrimonio complessivo di 7 miliardi ha un debito previdenziale, contando le pensioni in essere e gli spezzoni maturati, di 25 miliardi. Dall'altro lato il numero dei professionisti cresce esponenzialmente: quasi 250 mila solo in Italia, mentre in Germania sono 150 mila e in Francia 50 mila. Credo che il sistema si debba riformare urgentemente. Lasciamo ai giovani la possibilità, se lo vogliono, di accedere a un contribuivo puro. E accogliamo un'altra loro richiesta: chi percepisce la pensione deve cancellarsi dall'albo e non esercitare più, altrimenti a mio parere è giusto che rinunci temporaneamente a quell'assegno”.