Opportunità ?di sviluppo oppure occasione di sprechi e corruzione? La candidatura ai giochi ripropone il dilemma di sempre. Se il governo vuole dimostrare che Roma non è solo Mafia Capitale, allora occorre una svolta. Subito

Si racconta, e il testimone è fededegno, che quando tre anni fa Mario Monti ricevette a Palazzo Chigi i dirigenti del Comitato per le Olimpiadi 2020, ai quali avrebbe comunicato il no del governo alla candidatura di Roma, sulla sua scrivania facesse bella mostra di sé il numero dell’“Espresso” fresco di stampa nel quale Fabrizio Gatti e il fotografo Lorenzo Maccotta documentavano gli “sprechi olimpici”, cioè il degrado e l’abbandono degli impianti usati per i Mondiali di nuoto 2009 a Roma e per le Olimpiadi invernali di Torino 2006. Parole e immagini dicevano tutto. In più, dall’inchiesta emergeva che a gestire i relativi appalti erano stati i soliti noti, la cricca Balducci-Anemone-Bertolaso & C. che si erano già fatti onore alla Maddalena. Un filo rosso di cemento armato.

Insomma, al premier fu agevole argomentare che un paese con lo spread a 400 (ma due mesi prima era stata toccata quota 575), sull’orlo del default, impegnato in una difficile opera di risanamento, non avrebbe potuto spiegare al mondo intero, che ne seguiva con apprensione gli sforzi, che sarebbero state destinate risorse ingenti a un affare costoso e dagli esiti incerti: dieci miliardi, si calcolava. Il doppio di quanto sarebbe stato raggranellato con la batosta del’Imu prima casa. Troppo. Ma il partito del fare insorse: «Il ragionier Monti deprime l’Italia e Roma», sintetizzò per tutti Francesco Forte, economista, ex ministro socialista delle Finanze.

Oggi si ricomincia, e proprio da dove ci eravamo lasciati. Certo, tante cose sono cambiate: al posto di Gianni Alemanno siede Ignazio Marino; a guidare il Coni non è più Gianni Petrucci, ma l’emergente Giovanni Malagò; se il progetto dovesse andare avanti il presidente del comitato non sarebbe più l’immarcescibile Gianni Letta, ma forse Luca Montezemolo, e a capo del governo c’è Matteo Renzi il rottamatore, non più Monti il bocconiano: dal loden alla giacca senza cravatta, dal rigore ai sogni di crescita, dai tempi bui allo slogan «non c’è alcun progetto troppo grande per l’Italia». La polemica sulle Olimpiadi, però, è ricominciata tale e quale: da una parte quelli che «basta con le colate di cemento e i miliardi buttati al vento»; dall’altra quelli che «ma così non si farà mai niente».

La cosa più facile per ciascuno sarebbe schierarsi decisamente di qua o di là. Come spesso accade, però, le ragioni non stanno da una parte sola. Inutile e fuorviante, poi, generalizzare. Le Olimpiadi di Atene 2004, per esempio, scialo di risorse e di corruzione, hanno aperto la strada al crac della Grecia; quelle di Londra 2012, invece, dividono gli osservatori sui reali ritorni finanziari - il governo Cameron parla di dieci miliardi di spese e 12 di entrate, i giornali non ci scommettono - ma la riqualificazione di interi quartieri e il riutilizzo degli impianti pare che siano riusciti. Insomma, è importante non solo “fare”, ma “come”, e pensare a come riutilizzare le opere dopo l’evento.

Su questo, purtroppo, i precedenti di casa nostra sono deprimenti. Ormai nominare un appalto e pensare a Carminati, Buzzi e Odevaine è tutt’uno, visto che al sud e al nord, nella Roma ladrona e nella Milano capitale morale, dalle mense per gli immigrati all’Expo, dal G8 della Maddalena alle Olimpiadi del nuoto fino al Mose, ogni euro di spesa pubblica è stato accompagnato da tangenti, imbrogli, sprechi. E davvero sorprende che il premier non se ne renda conto, o rimuova psicologicamente la realtà.

O più probabilmente lo sa talmente bene da sfruttare l’occasione per dimostrare che Roma non è solo Mafia Capitale, e che il Paese può progettare grandi opere senza finire necessariamente nelle grinfie dei mazzettari. Su tutto prevarrebbe, cioè, un’operazione di immagine: infatti una cosa è annunciare, l’altra è vincere la candidatura, e comunque il problema ricadrà su chi verrà nel 2024... E vabbè, la politica è anche comunicazione rassicurante. Ma dobbiamo credere a Renzi sulla parola? Scommettere? Magari a una condizione: che per una volta fosse il governo o il suo partito, e non la magistratura, a spodestare qualche re della Terra di Mezzo. Non tra dieci anni, però.

Twitter@bmanfellotto

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