Il progetto "Ciliegino" nella provincia siciliana doveva portare sviluppo e posti di lavoro grazie alle energie rinnovabili. Ma tra soci che si sfilano, trattative mai andate in porto e indagini della magistratura, molte aziende ora rischiano il crack
C’era la promessa di lavoro, sviluppo ed energia pulita, ma a
Gela, di quel sogno green, sono rimaste solo le macerie di una collina rasa al suolo per fare spazio al più grande polo fotovoltaico d’Europa. Si doveva chiamare “Ciliegino”, un nome che oggi suona acido per centinaia di aziende che hanno creduto al progetto e rischiano di naufragare, affondare in un mare di debiti che nessuno, al momento, è in grado di pagare. Dall’elenco delle società che hanno chiuso o rischiano di chiudere, è facile immaginare la mole di lavoro pronta a investire il Tribunale di Gela.
Il progetto
Ciliegino è marchiato cooperativa Agroverde e si basava su un investimento da
300 milioni di euro, in parte da raccogliere con fondi pubblici, in parte – circa 200 milioni – da ottenere grazie all’intervento di un società d’affari svizzera, la Radiomarelli Sa.
Che fine hanno fatto gli investitori made in Suisse? Dopo aver assicurato il loro apporto al progetto gelese, e aver tentato di mettere la mani persino sull’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese (che avrebbe portato in dotazione 350 milioni di euro di fondi pubblici), la
Radiomarelli s’è dileguata tra la fine del 2013 e l’inizio dell’anno successivo. Nessuna notizia, stallo totale, fino a settembre di quest’anno, quando la Procura distrettuale di Lugano ha decretato il fallimento della Sa, guidata da Saverio Ciampi. E non mancano le sorprese.
La Radiomarelli Sa di Saverio Ciampi non ha nulla a che vedere con lo storico marchio di elettronica fondato dalla famiglia Agnelli, ma era semplicemente il restyling di una
società svizzera, la Condri Commerce, finita agli onori delle cronache giudiziarie nel gennaio del 2013, per l’inchiesta su una maxi frode iva portata avanti dalla Procura della Repubblica di Rimini. La Condri Commerce viene definita dai magistrati una delle “cartiere” utilizzate “per non versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta allo Stato”. Se l’inchiesta della Procura di Rimini aveva già acceso i riflettori sulla Condri (Radiomarelli) come è possibile che nello stesso periodo, si sia tentato di affidare i progetti di Gela e Termini Imerese a una “cartiera”? Anche su questo punto i magistrati dovranno fare luce.
Dopo l’addio di Radiomarelli al progetto di Gela si sono susseguite le ipotesi più strambe, dal gruppo cinese pronto a sganciare i soldi necessari per l’impianto, ai fondi di investimento a stelle e strisce. Ma in realtà si naviga a vista e soldi non ce sono. Soprattutto, non sarà più possibile ottenere i finanziamenti pubblici del
Conto Energia – che avrebbe dovuto garantire introiti per un centinaio di milioni di euro – perché i termini sono scaduti.
Se Radiomarelli è finita al tappeto, non se la passa granché meglio neanche il general contractor del Progetto Ciliegino, la Mondello Spa. Sul groppone si era assunta la responsabilità dei lavori di edilizia civile. Di soldi non ne sarebbero arrivati e ora la società ha chiesto e ottenuto il concordato preventivo. L’amministratore della Mondello annuncia battaglia e, dopo avere trasmesso al Tribunale di Gela un faldone di oltre 2.000 pagine, mette nel mirino la Radiomarelli, ma anche la cooperativa Agroverde e il mondo politico regionale e locale che ancora tentano di tenere in piedi il progetto fotovoltaico.
A cascata, le difficoltà economiche del progetto rischiano di travolgere quasi 200 imprese a conduzione familiare, dal benzinaio, al falegname, dalla piccola impresa di movimento terra alle cooperative di manovali. Una catastrofe economica aggravata anche dal fatto che il
Comune di Gela, prima o poi, dovrà risarcire i proprietari di quei terreni che sono stati espropriati per fare spazio a quel campo fotovoltaico ancora nel limbo. Tra le aziende che rischiano il crack c’è anche la piccola azienda di
Ignazio Cutrò, l’imprenditore antimafia dell’agrigentino.
L’unico che ancora crede alla fattibilità del progetto è Stefano Italiano, presidente di Agroverde: “la nostra cooperativa continua a credere in questo progetto. E’ chiaro che il prima possibile devono essere pagati i proprietari dei terreni espropriati, utili per la costruzione dell’impianto e tutte le ditte fornitrici per l’avvio dei lavori. Il debito massimo sarà di 7 milioni di euro. Noi ci abbiamo messo la faccia ed abbiamo investito un consistente gruzzolo di danaro, 1 milione per le spese e 3 per l’investimento. In molti sono ancora interessanti al ciliegio di Gela.
Italiano non lo dice, ma una via d’uscita forse c’è ed è l’accordo siglato tra la
Regione siciliana e l’Eni per il rilancio del polo energetico di Gela. Nel documento, si parla di una compensazione ambientale sotto forma di impianto fotovoltaico, ed è impossibile non pensare a quel “Ciliegino” che rischia di marcire.