«Nel cuore non ho mai tolto la toga», spiega all’Espresso. «L’ho messa con orgoglio, perché si tratta di difendere il diritto degli italiani a non vedersi vendere il proprio voto, soprattutto quando a farlo è un leader di partito, Silvio Berlusconi, che fa cadere un governo in carica non per motivi politici ma con un atto di corruzione. Non c’è reato peggiore di questo, se dovesse accertato. Credo che per un reato così grave dovremmo applicare un nuovo titolo: omicidio politico. Omicidio della democrazia».
Che emozione ha provato?
«Mi sento a casa mia, mi sento rivestito da lavoro»
Continueremo a vederla nelle aule dei Tribunali?
«Faccio l’avvocato, quindi continuerò a difendere i diritti di coloro che chiedono giustizia. Ma dirò ai miei clienti che posso difenderli soltanto nel merito, non mi devono chiedere a trucchi e trucchetti che lascio agli azzeccagarbugli di turno. Bisogna smetterla di andare nei Tribunali solo per cercare di allungare i processi e arrivare alla prescrizione, annullare le prove. Insomma, utilizzare le aule di Tribunali per raggiungere l’impunità e non la verità».
Si riferisce al difetto di notifica eccepito dagli avvocati di Berlusconi?
«Certo. Tutte le eccezioni vanno bene, purché non offendano l’intelligenza. Secondo loro la notifica non era corretta perché è stata fatta in luogo sconosciuto a Berlusconi, Arcore. È stata fatta ad una persona a lui sconosciuta, la Signora Marinella, sua storica segretaria. E smettila, Silvio, di prenderci in giro!».
C’è un’altra toga in questa aula e tutti e due, lei e Ghedini, siete citati come testi. Come andrà a finire questa storia?
«Sul piano tecnico si può fare sia il difensore che il teste. Ma sul piano dell’opportunità sarebbe bene che si faccia o l’una o l’altra cosa. Per questa ragione, abbiamo chiesto al Tribunale tramite il PM di valutare se ritiene necessaria la mia testimonianza: in quel caso, rinuncerò a difendere il partito che ho fondato. Ma ho chiesto che si valuti questa opportunità anche per l’avvocato Ghedini, perché anche lui non può stare col piede in due scarpe».