118 minuti di racconti sessuali con dettagli e dovizie di particolari, della cinquantenne Joe (Charlotte Gainsbourg). Ma il suo traffico erotico non le fa vincere la paura dell'amore. E il regista non riesce, neppure questa volta, a vincere la paura di esprimersi

Mi chiamo Joe, e sono ninfomane. Così si presenta a Seligman (Stellan Skarsgård) la protagonista cinquantenne (Charlotte Gainsbourg) del film di Lars Von Trier. Poi, solerte e pignola, racconta la sua ninfomania con dovizia di particolari, anche anatomici. Lo fa per 118 minuti, che nell’edizione non tagliata si dice siano 145. Dopo il Volume 1, tornerà a farlo per un altro paio d’ore nel Volume 2, cui seguirà una versione integrale di quattro ore, che senza tagli potrebbe anche salire a cinque e mezza.

Ci attende ancora un duro cammino, prima che ci sia concesso veder la fine di “Nymphomaniac” (Danimarca, Francia, Germania, Belgio e Gran Bretagna, 2013). Nell’attesa, torniamo all’autopresentazione di Joe. Seligman l’ha trovata riversa in strada e se l’è portata in casa. Lì, coperta di ecchimosi e però decisa a non far chiamare né polizia né medici, la donna gli si confida. Solerte e pignolo quanto lei, il regista danese suddivide il suo racconto in capitoli, e nei singoli capitoli inserisce chiarimenti a uso didattico, anche in forma di grafici e animazioni.
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Perché Joe è ninfomane? La risposta verrà nella seconda puntata, forse. Per ora par di capire che, innamorata del padre, abbia paura dell’amore, del suo “contenuto emotivo”, e che si getti con l’anima e con il corpo nella sua “procedura tecnica”. E in questo la signora sa certo il fatto suo.

Lo sapeva già da bambina (Maja Arsovic), ma da adolescente e ventenne (Stacy Martin) ha raggiunto vertici paragonabili a quelli di chi si dedichi anima e corpo, anche lui, alla pesca con la mosca. Così opina il buon Seligman, egli stesso pescatore. Ma perché fermarsi a paragoni ittici, quando il mondo è pieno di similitudini e metafore? Prendiamo il caso del vecchio Leonardo Fibonacci. La ninfomania di Joe ha l’aria di riprodurre la sua famosa sequenza di numeri, tale e quale. E poi, attraverso Fibonacci si arriva dritti a Johann Sebastian Bach. Joe sarebbe una Bach dell’eros, se non le mancasse l’attitudine a quel tale contenuto emotivo, e se perciò non riuscisse a cavarne il ben noto divertimento.


Insomma, c’è moralismo in “Nymphomaniac”.

Del resto, moralistico è tutto il cinema di Von Trier, per quanto ami nascondersi dietro artifici linguistici, giocando a non significare alcunché. A noi pare che lui e la sua Joe si somiglino. Come lei traffica con vari organi sessuali senza mai vincere la paura di innamorarsi, così lui insiste a trafficare con le immagini senza mai vincere la paura di esprimersi, e senza mai trarne il debito divertimento. Alla fine, anche lui potrebbe dire: mi chiamo Lars, e sono ninfomane.

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