Cambiano le proporzioni, l’uomo no. Di fronte alla malattia, soprattutto. A Silvio Berlusconi, colui che nel 2010 voleva vincere il cancro in tre anni, adesso “sono bastati dieci giorni per andare a fondo sui sistemi di cura che si possono applicare” ai malati d’Alzheimer. Solo dieci giorni. Così, annuncia l’ex premier da “Radio Anch’io” mentre si prova a curare la malattia numerica che affligge Forza Italia, “ho in serbo una grande, grande sorpresa” per i ricoverati del centro Sacra Famiglia a Cesano Boscone, beneficiati dalle sue visite a partire da venerdì, per ordine del tribunale. Una sorpresa? Non sarà mica l’annuncio di una cura?
L’Alzheimer, comunque, prima di tutto. Chi frequenta la cerchia ristretta di Arcore sa bene che è questa la faccenda che va davvero, e intimamente, di traverso all’ex Cavaliere. La sintetizzano chiamandola per brevità col nome della malattia: “l’Alzheimer”, la vera condanna. Un peso, forse ancor prima dei sondaggi che non girano. Del resto, bisogna provare a immaginarselo l’impatto tra Berlusconi e una malattia così tremenda. La presidente della onlus Federazione Alzheimer, Gabriella Salvini Porro, dice per esempio all’Ansa che è “un’assurdità” destinare l’ex premier quattro ore a settimana a malati che “hanno difficoltà a riconoscere le persone e hanno bisogno di tempo per abituarsi”; secondo lei, “Berlusconi potrà occuparsi tutt’al più di pazienti in fase avanzata e terminale che stanno a letto e non hanno quei problemi di vagabondaggio, disorientamento e amnesia che rendono davvero necessaria un'assistenza particolare. Ma con pazienti di questo tipo l’ex premier non potrà fare altro che stare lì a guardarli”.
Stare a guardare malati in fase terminale, presumibilmente coetanei, che non si alzano dal letto e non lo riconoscono. Con questa prospettiva e questa premessa, si può capire perché stavolta Berlusconi - la cui voce registrata, secondo la leggenda, fece anche risvegliare più d’uno dal coma - faccia così fatica a “farsi capire dagli elettori”, come gli rimproverava giorni fa pure Maurizio Belpietro, e a far volare i sondaggi almeno un po’ più un alto di due settimane fa.
I numeri infatti continuano a guardarlo storto. L’Euromedia research di Alessandra Ghisleri è stata finora l’unica a dare Forza Italia sopra il 20 per cento: gli altri, sia quelli in tv che quelli riservati, la inchiodano sotto il 18 per cento. Non che lui non si impegni, anzi. Con l’allarme rosso innescato - mentre gli azzurri di milano dedicano il circolo a Putin e anche Emilio Fede scende in campo per appoggiarlo con il suo “Uniti si vince” - l’ex Cavaliere punta ad aumentare ancora la sua presenza in tv, e anche per quanto possibile dal vivo (domani conferenza stampa alla sede romana di Fi). Strenua è poi la ricerca dell’argomento giusto per convincere i cittadini: ogni giorno qualcosa di completamente diverso, per vedere l’effetto che fa.
Se ieri era il turno delle frecciate contro Renzi, oggi invece è l’ora del “non posso escludere” di andare al governo con lui dopo il voto, “per il bene del Paese”. Larghe intese magari sì, riforma del senato no (“il testo approvato dal consiglio dei ministri è inaccettabile”), no anche al fiscal compact (“moratoria o abolizione”), mentre si prova a riabbracciare (con cautela) il no euro: “Oggi sarebbe avventurosa un’uscita immediata dall' euro, ma se la Bce non cambia politica sarà la realtà ad imporre di farlo”, spiega. Almeno Storace è contento.
Affannosa pure la ricerca di tinte per colorare il futuro del suo partito, mai come ora prossimo al rompete le righe (la soglia psicologica è il 25 per cento: un sogno). Torna l’idea delle primarie: Berlusconi non è mai riuscito a farle, ma adesso crede che “siano un passaggio assolutamente indispensabile” provocando qualche scompiglio in Forza Italia. Soprattutto, torna l’idea della discesa in campo di Marina. La primogenita, se volesse, a questo punto potrebbe dichiararsi in politica solo dopo il 25 maggio: inutile, eventualmente, sacrificarla alla tornata europea. Ma per allora l’ex Cavaliere dovrà aver dimostrato ancora una volta l’assioma fondamentale: che il suo cognome ha ancora un peso elettorale decisivo. Per ora, la realtà lo smentisce.