Mondo
9 maggio, 2014

La Cecenia di Vladimir Putin, tra pace e tangenti

Vent'anni fa scoppiava una delle guerre più feroci del Caucaso. Oggi, nella Grozny ricostruita, si vive in un fragile equilibrio retto dai soldi russi e dalla corruzione

Per il governo di Mosca, oggi, la Cecenia è un modello. Un esempio da mostrare alle altre repubbliche del Caucaso come Inguscezia e Daghestan: afflitte da povertà, attentati, una crescente ribellione islamista e centinaia di morti negli scontri tra militanti e polizia. In confronto, la Grozny pacificata a forza è un’oasi di tranquillità. Ma senza i sussidi del Cremlino, sarebbe in ginocchio. Oltre il 90 per cento del budget della Repubblica viene da Mosca: 1,3 miliardi di euro annui. Il governo doveva ridurli, invece ha deciso di elargire entro il 2025 altri 80 miliardi di dollari al Nord Caucaso. Del resto Putin non ha alternative: Grozny è un tassello fondamentale della sua precaria pax caucasica.

[[ge:rep-locali:espresso:285125071]]Una pace salata. Specie ora che Mosca dovrà accollarsi anche i costi dell’adesione della Crimea, due miliardi di euro dalle riserve di governo. Paradossi della storia: la Russia giustifica la separazione della penisola col diritto di autodeterminazione dei popoli, ma vent’anni fa alla voglia d’indipendenza della Cecenia rispose con due guerre feroci.

Oggi a Grozny i sogni d’autonomia sembrano seppelliti. Il premier Ramzan Kadyrov, che ha stabilizzato la repubblica omettendo la democrazia, in una sfacciata esibizione di lealtà a Putin ha offerto di inviare propri “peacekeepers” a Simferopoli in supporto dei «fratelli russi». Un perfetto vassallo. E continua a spendere le sue dotazioni come uno sceicco del Golfo. Tra propaganda, grandeur e regali per mantenere la sempre più ampia corte di fedeli: auto di lusso, case, negozi, posti di lavoro. L’8 marzo ha inviato centinaia di mazzi di fiori a tutte le donne del Paese. Il suo nuovo palazzo presidenziale somiglia a un piccolo Taj Mahal. Nel mausoleo dedicato al padre Akhmat - l’ex presidente ucciso nel 2004 - Putin è dipinto come un eroe: «Ci ha salvato dai wahabiti», i fondamentalisti islamici, recita la guida a una scolaresca attenta. In periferia, in un loft dagli arredi glamour-trash si confezionano videoclip e film in stile Mtv, politicamente corretti. «L’ultimo è una storia d’amore tra giovani», racconta il montatore. «Abbiamo dovuto un po’ aggiustarlo, una delle protagoniste aveva il capo troppo scoperto». Già: come tutto, anche l’islamizzazione procede contraddittoria. Costume islamico per gli uomini il venerdi, velo obbligatorio per le donne in tutti gli istituti pubblici, ma in strada molte lo tolgono senza problemi.

Intanto continuano le comparsate a Grozny di star internazionali adescate con cachet milionari, da Depardieu a Ornella Muti. Putin ha escluso la Cecenia dai megaprogetti di turismo nel Caucaso: non si fida. Ma sui monti di Itum-Khalé, ai confini con la Georgia, il governo ha lanciato il resort alpino di Veduchi: per ora c’è solo uno skilift e uno chalet nel nulla. Sponsor ufficiale è un noto businessman ceceno, ma anche qui dietro stanno i fondi federali. I ribelli? «Sono rimasti solo 5 o 6 shaitani (diavoli), da qualche parte lassù in montagna», vanta Kadyrov; la Cecenia ormai è «più sicura dell’Inghilterra». In effetti la ribellione armata si è spostata nel confinante Daghestan, sempre più instabile e radicalizzato, dove avanza il salafismo. E ad aprile Mosca ha annunciato il colpo grosso: “neutralizzato” Doku Umarov, il Bin Laden ceceno, capo dell’Emirato del Nord Caucaso. Probabilmente morto per cause naturali, ma tant’è: un’altra vittoria per Putin.

L’ultimo sogno del discusso leader ceceno è il “mare di Grozny”. Un grande bacino alle porte della capitale: meta di bagnanti in epoca sovietica, negli anni Novanta vi vennero gettati i corpi di morti in battaglia e vittime dei rastrellamenti. Prosciugatolo, le ruspe lavorano giorno e notte per creare spiagge separate per uomini e donne, relax in barca a vela e pattini, hotel a 5 stelle, luna park, piscine. I soldi? Per Ramzan «vengono da Allah». Molti ceceni invece li considerano un risarcimento per le vittime e la devastazione di guerra; e per il petrolio perduto, tolto al controllo della repubblica e ora gestito dalla russa Rosneft. Quattordici anni dopo la fine ufficiale del secondo conflitto, l’economia locale è inesistente. Nemmeno un’industria. Gli unici lavori disponibili sono nelle strutture pubbliche e nella sicurezza. La corruzione è ovunque: «Bisogna pagare per un posto e metà stipendio va ai superiori», lamentano al mercato. Solo nel 2012, la Corte dei Conti russa ha scoperto un buco di 252 milioni di dollari in malversazioni nel bilancio ceceno. «Aprire un’impresa privata è impossibile senza l’appoggio del governo», dice Mansur, 60 anni che ai tempi dell’Unione sovietica dirigeva una delle fabbriche più importanti di Grozny. Il motivo è ovvio: «Se crei occupazione, crei indipendenza. Non è questo che vogliono».

Risultato: oggi un quarto dei russi sarebbe “contento” di sbarazzarsi della Cecenia. Il 40 per cento è pronto ad accettarne la separazione. Per il 12 per cento la regione è già di fatto uno Stato straniero. E se arrivano le sanzioni internazionali, «non saremo più in grado di dare vagonate di soldi a Grozny», avverte sul suo blog Alexey Navalny, oppositore numero uno di Putin.

Di fronte ai malumori crescenti fuori e dentro la Cecenia, Kadyrov risponde rafforzando le pubbliche relazioni. Sul suo account Instagram che ha oltre 350 mila follower, accarezza gattini, pulcini, cerbiatti, tacchini, perfino tigri; innaffia petunie, regala rose alla mamma; insegue farfalle in giardino, abbraccia i sei figli, scatta “selfie” in ascensore o con le celebrity. Poi visita villaggi, uffici e aziende, striglia funzionari pigri a colpi di boxe. Tra migliaia di like, emoticon e commenti adulatori. Specie femminili. E via Instagram riceve suppliche e reclami dei cittadini, che a centinaia gli chiedono lavoro, aiuto, un incontro, specie dai poveri villaggi. Bypassando governo e parlamento, li esaudisce con un clic. «Misericordia al posto di giustizia», riassume un giornalista.

L’obiettivo sono i giovani. Molti già cooptati nell’apparato statale: l’attuale sindaco di Grozny ha 26 anni, e di cognome, guarda caso, fa Kadyrov. Quella under 30 è una generazione che tuttavia sta cambiando: tra Internet, influsso della diaspora che in parte ritorna dall’Europa, tv russe (quelle cecene, tutte Corano e virtù, sono noiosissime). E vorrebbe più libertà. I più “cool” si ritrovano al Caffè Central Park sulla via Putin: alle pareti foto in bianco e nero di Manhattan, in tv vecchie puntate di “Friends”, il wi-fi è gratuito. Gli alternativi preferiscono il Blues Brothers, uno scantinato dove risuona jazz e rock dal vivo, piccolo miracolo nella Cecenia che ha fatto di musica e danze tradizionali un dovere civico. Tutti sognano di emigrare. Kadyrov? «In questa fase non possiamo permetterci altro» dice Timur, 26. «E va bene così. Adesso possiamo uscire senza che nessuno ci spari. Solo cinque anni fa, qui era un inferno. Le cose cambieranno, sono sicuro. Ma lentamente». Se Putin lo vorrà. La sera al Grozny Style, unico night club ceceno (per l’élite, e alcol-free), tre giovani cabarettisti sul palco mimano una scenetta: “Ramzes” gioca a ping pong con un sottoposto. Squilla il cellulare, si allontana. Il partner continua a giocare da solo. Appena torna, gli stringe la mano: «Congratulazioni, hai vinto». Risate. È un’opposizione innocua e tollerata, questa, in fondo. E poi «oggi il potere usa i guanti bianchi», come commenta un vecchio che ha avuto tre figli ammazzati dal regime. «Non hanno più bisogno di violenza, hanno già ucciso o spaventato tutti quelli che dovevano. E gli altri, li hanno comprati». Finché bastano i soldi.

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app