Quattro anni di riprese e 18 spedizioni in ogni angolo del globo, per scoprire luoghi sommersi che pochi esseri umani hanno visitato: oscuri fondali sabbiosi e coloratissime barriere coralline, foreste di alghe giganti e ghiacci polari minacciati dai cambiamenti climatici. In streaming gratuito per gli abbonati Espresso+

Che cos’è l’oceano? Come si può raccontare il mare? Forse si può cominciare dal respiro delle onde. Dal loro infrangersi sulla terraferma. E da un litorale popolato da creature anfibie, primordiali abitatori di due mondi separati solo in apparenza.

Sono le prime immagini di “La vita negli oceani” (2010), l’affascinante cosmogonia di Jacques Perrin e Jacques Cluzaud che documenta con passione l’ambiente marino e le sue strette relazioni con il mondo emerso che ci ospita. Come a ricordarci che in fondo anche noi veniamo dal mare. E il nostro stesso futuro si può leggere in ciò che accade sotto lo specchio delle profondità oceaniche.

[[ge:espresso:archivio:1.168159:article:https://espresso.repubblica.it/archivio/2014/06/04/news/oceani-guarda-il-documentario-1.168159]]Dopo i successi di “Microcosmos” (1996), che spiava la vita degli insetti, e de “Il popolo migratore” (2001), spettacolare inseguimento aereo sulle rotte dei volatili, Perrin si dimostra un instancabile esploratore del mondo naturale. E con un’opera di grande impatto visivo, frutto di quattro anni di riprese e 18 spedizioni in ogni angolo del globo, questa volta ci conduce in luoghi sommersi che pochi esseri umani hanno visitato: oscuri fondali sabbiosi e coloratissime barriere coralline, foreste di alghe giganti e ghiacci polari minacciati dai cambiamenti climatici. Con l’intento di svelarci la ricchezza, e al tempo stesso la fragilità, degli ecosistemi marini, il cui ruolo per gli equilibri della vita sul pianeta è cruciale.

[[ge:rep-locali:espresso:285497937]]Sebbene la nostra natura terricola ci abbia a lungo tenuto lontano dagli abissi oceanici, ancora in gran parte inesplorati, i mari coprono quasi tre quarti della superficie terrestre. Tanto che dallo spazio la Terra appare azzurra. Una considerazione che spinse lo scrittore di fantascienza Arthur Clarke a giudicare inappropriato il nome Terra per un pianeta dominato dalle acque.
Ed è laggiù, nelle profondità marine, che potrebbe prendere forma il destino dell’umanità. Perché è negli oceani che rischiano di manifestarsi alcuni degli effetti più gravi dell’inquinamento ambientale e dei cambiamenti climatici.

Nei mari si accumula infatti oltre il 90% del calore prodotto dal riscaldamento globale. Per comprendere come evolverà il clima terrestre sotto l’azione dei gas serra, dovremo perciò studiare gli oceani, che si scaldano sempre più velocemente.

Ricostruendo l’andamento delle temperature del Pacifico, il più grande bacino d’acqua del pianeta, un gruppo di ricercatori della Rutgers University ha appena scoperto che negli ultimi diecimila anni la temperatura oceanica è gradualmente diminuita fino al 1600, dopodiché ha cominciato a salire. Ma ciò che ha lasciato a bocca aperta gli scienziati è la strabiliante accelerazione degli ultimi 60 anni, in cui la temperatura del Pacifico è aumentata 15 volte più in fretta che negli ultimi diecimila.

[[ge:rep-locali:espresso:285124775]]L’aumento delle temperature oceaniche avrà effetti su tutti gli ecosistemi, marini e terrestri. Dal calore degli oceani, infatti, i cicloni tropicali traggono la loro spaventosa energia, e dovremo aspettarci tempeste sempre più violente e distruttive. Il calore gonfierà gli oceani, alzando il livello medio dei mari e mettendo a rischio isole e litorali. Mentre l’acidificazione causata dall’accumulo di anidride carbonica, che ha già raggiunto livelli sconosciuti negli ultimi 300 milioni di anni, minaccia i gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi.

In pochi decenni, l’inquinamento, la pesca intensiva e l’aumento delle temperature hanno messo in pericolo anche l’integrità delle barriere coralline, vere e proprie megalopoli del mondo sommerso, dove un quarto delle creature marine si riproduce. Senza di loro, la vita sottomarina rischia di scomparire.

Purtroppo, nonostante accordi internazionali e convenzioni in difesa della biodiversità, le specie animali e vegetali continuano a estinguersi a un ritmo da cento a mille volte maggiore rispetto alla media naturale. Le attività umane stanno provocando un’ecatombe paragonabile solo alle grandi estinzioni di massa. Secondo l’entomologo Edward Wilson, tra i massimi esperti al mondo di biodiversità, stiamo provocando l’estinzione di una specie ogni venti minuti. Di questo passo, nel giro di pochi secoli (un battito di ciglia sulle scale del tempo geologico), avremo perso tre quarti della biodiversità del pianeta, frutto di milioni di anni di evoluzione. Eppure, come sottolinea il documentario di Perrin e Cluzaud, la volontà di proteggere le specie a rischio non è mai stata così grande.

La vita negli oceani” testimonia la fragilità di un ecosistema prezioso ma vulnerabile. Una visione più che mai adatta nella Giornata mondiale dell’ambiente, promossa dalle Nazioni Unite a sostegno dell’impegno in difesa della natura e quest’anno dedicata alle piccole isole minacciate dagli effetti dei cambiamenti climatici. Puntini nell’oceano che custodiscono riserve di biodiversità tra le più ricche del pianeta, ma che oggi rischiano di essere sommerse per effetto dell’innalzamento dei mari. Un simbolo dei pericoli che incombono sull’intero pianeta, la nostra unica isola condivisa con tutte le altre creature della Terra.