Un sondaggio dell'Unione Europea condanna senza appello il nostro Paese, relegato in fondo a tutte le classifiche quando si parla di libertà sessuale a scuola, sul posto di lavoro o al momento di accedere ai servizi. Anche a causa di una classe politica tra le più arretrate in materia. I nostri grafici per indagare il problema nei suoi vari aspetti

Discriminazione, paura e aggressioni: l'Europa delle libertà e dei diritti si scopre omofobica e transfobica. Un sondaggio condotto dall'Unione Europea su un campione di 93 mila persone Lgbt maggiorenni dei paesi membri non lascia dubbi: a troppi individui è negato il diritto di essere pienamente sé stessi a causa di intimidazioni, attacchi violenti e comportamenti discriminatori in ogni ambito della vita pubblica.

Le difficoltà iniziano a scuola, dove atti di bullismo e atteggiamenti intolleranti sono per molti il primo duro impatto con una società che non comprende e rifiuta le diversità. Un'esperienza che si ripete al momento di trovare un lavoro, cercare una casa, nell'accesso ai servizi pubblici e persino nel tempo libero. Segnando spesso, anche profondamente, la vita di tanti che, come conseguenza, scelgono di reprimere la propria identità in pubblico.

L'Espresso ha analizzato questi dati per capire un fenomeno che ha ancora molte ombre e comprendere la posizione dell'Italia nel contesto europeo.

MENO DIRITTI PIÙ DISCRIMINAZIONI
Per capire il contesto, vediamo con la prima mappa come si sono evoluti in Europa, dal 1998 a oggi, il riconoscimento del matrimonio egualitario (comunemente detto "matrimonio gay"), delle unioni civili e dell'adozione per le famiglie omoparentali (cambiando l'anno è possibile seguirne l'evoluzione nel tempo).



Guardando la mappa al 2014 si può immaginare un'Europa divisa in due: da una parte i paesi di colore viola e porpora, che hanno legalizzato il matrimonio e l'adozione anche per le coppie omosessuali, dall'altra parte tutti gli altri. È una separazione che ritornerà costantemente nel prosieguo dell'analisi. Un'Europa a due velocità in tema di diritti, dove possiamo notare che i paesi individuati in quello che chiameremo "gruppo A", sono quelli che hanno aderito all'Ue prima del 1994, mentre nel secondo gruppo ("B") abbiamo quelli dell'ex blocco sovietico, entrati nell'Ue a partire dal 1994, ai quali si aggiungono l'Italia e la Grecia.

Nei Paesi dell'ex blocco sovietico un vincolo costituzionale impedisce il riconoscimento del matrimonio per le coppie omoparentali, nonostante ciò l'Ungheria ha comunque riconosciuto l'unione civile, mentre l'Italia, che dovrebbe appartenere al gruppo A, in tema di diritti e discriminazione, ha caratteristiche del tutto assimilabili al gruppo B. Questi Paesi, lo vedremo più avanti, sono infatti con l'Italia anche il fanalino di coda di tutte le classifiche sull'omofobia e la transfobia. Una sovrapposizione totale tra assenza di riconoscimento pubblico dei diritti e maggiori discriminazioni.

LA PRIMA EMARGINAZIONE NON SI SCORDA MAI
La scuola e il lavoro sono forse gli ambienti più importanti, che assorbono gran parte del tempo dedicato della vita pubblica. Ecco cosa succede rispetto alla predisposizione delle persone Lgbt ad aprirsi rispetto alla propria identità nei due contesti.



L'età della scuola è quella in cui spesso si prende progressivamente confidenza con l'identità di genere e l'orientamento sessuale, sperimentando anche le prime esperienze di discriminazione. Solo il 5 per cento degli Lgbt europei è aperto con tutti, rispetto alla propria identità di genere a scuola. Lo sono meno gli uomini bisessuali (2 per cento) di più le lesbiche (6 per cento). Le persone transgender italiane sembrano invece tra le più aperte d'Europa. Un raro caso in cui l'Italia si trova in una posizione migliore della media.

Lesbiche e donne bisessuali condividono la propria identità di genere in circa la metà dei casi. Anche in Italia, con valori di poco più bassi. Il dato si abbassa drasticamente per gay, uomini bisex e transgender: meno del 30 per cento quelli che scelgono di essere aperti nell'ambiente universitario o scolastico. In sostanza oltre il 70 per cento degli intervistati preferisce non divulgare la propria identità di genere.

Nell'ambito del lavoro le cose cambiano. Oltre il 70 per cento degli intervistati non fa segreto della propria identità di genere, e ben il 23 per cento delle lesbiche e il 26 per cento degli omosessuali la condivide apertamente con tutti. Una differenza rispetto alla scuola, interpretabile anche con una maggiore consapevolezza di sé. L'Italia però è distante oltre dieci punti percentuali dalla media europea, impaludata tra quei Paesi post 2004 del gruppo B, con una differenza di oltre venti punti dalla media dei paesi del gruppo A.

Questi dati sembrerebbero confortare se letti in positivo, ma il rovescio della medaglia è che un gay e una lesbica su quattro preferiscono non rivelare la propria identità di genere al lavoro, proporzione che sale a uno su tre per donne bisessuali e supera il 50 per cento per gli uomini bisessuali.

IL POLITICO ITALIANO E' IL PIU' OMOFOBO
Analizziamo ora quattro comportamenti discriminatori, in ordine di gravità e tra i quali è possibile vedere un legame.



Ai politici italiani va la maglia nera di più omofobi d'Europa, secondo gli intervistati. Alla domanda su quanto sia diffuso il linguaggio offensivo da parte dei politici verso le persone Lgbt, l'Italia ne esce umiliata: il 91 per cento ritiene che i nostri rappresentanti usino diffusamente un linguaggio discriminatorio. Un risultato scioccante se confrontato alla media europea del 44 per cento, che contiene anche il dato sull'Italia e sui paesi dell'Est Europa, i quali oscillano tra il 60 all'80 per cento. Mentre guardando agli Stati del blocco A, quelli che hanno riconosciuto il matrimonio e l'adozione omoparentale, notiamo che la differenza è incolmabile se pensiamo al 10 per cento della Germania e dell'Olanda e a valori poco più altri di Gran Bretagna, Francia e Paesi scandinavi.

Se è vero che i politici sono lo specchio del paese, allora non è un caso che l'Italia sia tra quelli più intolleranti. Lo si vede con la seconda voce del menù, dove troviamo le battute contro le diverse identità di genere nella vita quotidiana. E vediamo che gli italiani sono all'"altezza" della loro classe politica: ben il 96 per cento ritiene un'abitudine diffusa fare battute offensive. Qui il resto dell'Unione non è molto più brava: 82 per cento.

Segue un tema ancora più serio, quello delle espressioni di odio e avversione contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Un comportamento che in molti Paesi è previsto come reato, mentre in Italia è ancora aperto il dibattito sulla necessità di approvare una norma specifica contro l'hate speech. Anche qui l'Europa non ne esce bene, oltre metà del campione ritiene diffusa l'espressione di odio verso le persone Lgbt. Ma mentre nei Paesi del gruppo A questo fenomeno è stimato al di sotto di un terzo, in quelli del gruppo B (Italia e Grecia comprese) il valore medio si attesta intorno all'80 per cento. Cioè quattro Lgbt su cinque ritengono diffuso l'incitamento all'odio.

L'ultima voce chiude il cerchio dell'odio, che inizia con le battute, le offese in pubblico e lo sdoganamento della violenza verbale da parte della classe politica, e termina con le aggressioni, prodotto di un processo sociale di assuefazione e assimilazione della cultura dell'intolleranza. Più di un terzo del campione, il 38 per cento, ritiene che siano diffusi i casi di aggressione contro le persone Lgbt. L'Italia, tanto per (non) cambiare, è quella messa peggio, il 69 per cento contro il 31 del Regno Unito, il 26 della Germania e il 23 della Spagna.

L'EUROPA DISCRIMINA, L'ITALIA DI PIÙ
Il terzo grafico sancisce tristemente che in Europa le discriminazioni sono molto forti e diffuse pressoché ovunque.



Se l'identità di genere è mediamente poco discriminata (11 per cento), l'orientamento sessuale invece è un bersaglio molto frequente: due intervistati su tre ritengono diffuso questo tipo di discriminazione. I dati sull'Italia, anche in questo caso, si rivelano pessimi, relegandola ancora una volta nel girone dei peggiori. Sulla discriminazione in base all'identità di genere, il nostro Paese registra un 18 per cento, mentre per quella sull'orientamento sessuale la condanna è senza appello: siamo al 92 per cento. Peggio di noi solo Croazia e Lituania.

La notevole differenza tra la discriminazione per l'identità di genere e quella per l'orientamento sessuale significa che il pregiudizio e l'avversione non si manifestano per ciò che le persone sono (l'identità di genere), ma perché manifestano pubblicamente la loro natura nelle relazioni di coppia (l'orientamento sessuale). E ci ricorda il leit motiv dell'omofobo: «Non sono omofobo, ma non devono baciarsi per strada».



NON IN PUBBLICO, GRAZIE
Dall'ex sottosegretario Carlo Giovanardi all'eurodeputato leghista Gianluca Buonanno, che da sindaco di Borgosesia propone 500 euro di multa per i baci gay, in molti sono stati chiari sull'argomento: i gay non devono manifestare il loro affetto pubblicamente.

Un pensiero forse diffuso, visto che in Italia tre intervistati su quattro hanno paura di tenersi per mano in pubblico, temendo aggressioni o minacce a sfondo omofobico o transfobico. Un dato che aumenta di poco in base all'età e che, per gli over 55 italiani, raggiunge il 78 per cento, seguiti da Francia e Regno Unito. In Europa il dato medio si attesta invece intorno al 67 per cento. Un valore comunque preoccupante.

Anche solo frequentare alcuni luoghi pubblici, o parlare di sé con gli amici, ma pubblicamente, può essere un problema. Circa la metà degli europei ha paura di frequentare determinati luoghi ritenendoli a rischio aggressioni. E la paura condiziona anche la libertà di espressione, alimentando forti forme di autocensura. Sono in molti a considerare non sicuri quei luoghi che dovrebbero rappresentare per tutti uno spazio di serenità, come lo sono la propria abitazione, un ufficio pubblico, un luogo di lavoro o una discoteca. Che diventano invece prigioni mentali, luoghi dove le persone, giovani e meno giovani, non possono godere del diritto di essere liberamente sé stessi, chiunque essi siano.